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Un anno – Giuseppe Fava

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Rispolverando i vecchi libri mi salta all’occhio un trafiletto di Antonio Gramsci  -celebre filosofo e politico italiano, lasciato marcire dal Duce in un carcere fascista – contenuto nei suoi Quaderni del Carcere (Einaudi Editore), in cui l’autore disquisisce brevemente sui grandi intellettuali siciliani. Tra le città dell’isola si aggiudica la corona d’alloro Catania, che, come ricorda lo stesso Gramsci, è chiamata “la sicula Atene”. E va giù sciorinando nomi celebri: Domenico Tempio, poeta licenzioso; Vincenzo Bellini, contrapposto al Tempio per la sua melanconia romantica e ancora Mario Rapisardi, Verga, Capuana, De Roberto. Se volessimo “aggiornare” questo elenco non potremmo non inserire il nome di Giuseppe Fava, il direttore de’ I Siciliani  che fu vittima della barbarie mafiosa nell’ormai lontano gennaio ’84. Pippo Fava – così u sapevunu sentiri gli amici– vantava un curriculum vitae mirabile: giornalista, scrittore, saggista, pittore e sceneggiatore di fama mondiale (da uno dei suoi romanzi, Passione di Michele, è stato tratto un film vincitore al festival internazionale di Berlino). La sua biografia può a merito essere inserita fra quelle dei grandi personaggi che, forse per un oscuro presentimento verso una morte precoce, riescono a produrre tanto, in poco tempo. Un anno di articoli sulle colonne del suo giornale, I Siciliani (fondato da Fava nel 1982), che hanno provocato un terremoto nel deserto culturale della città etnea dei primi anni ottanta, fino ad allora impantanata nell’oblio e nel silenzio omertoso. La mafia catanese comincia a far parlare di se, grazie alle inchieste di Pippo Fava. La mafia dal 1982 ha un nuovo nemico, armato di penna e di genio giornalistico.

I Siciliani non si trova  più in edicola da molti anni ormai, ma per coloro che non hanno avuto la possibilità di leggere gli articoli di Pippo Fava, è disponibile un volume, pubblicato recentemente dalla “Fondazione Giuseppe Fava”, che s’intitola Un anno. Questi scritti per tutti coloro che esercitano la professione giornalistica e per gli amanti della “scrittura”, rappresentano un modello di stile, per la freschezza del linguaggio, per le analisi attente, frutto di indagini capillari sugli usi e i costumi della mafia catanese e sull’essenza stessa della catanesità.

 Fava riteneva infatti che il fenomeno mafioso – la sua teoria a quel tempo fu aspramente osteggiata, ma confermata anni dopo dai fatti! – fosse una sorta di rigurgito culturale tutto siciliano, che si caratterizzava in modo diverso da una città all’altra. Catania era la metropoli della mafia imprenditoriale, longa manus dei boss sanguinari, ritenuta dal Nostro ancora più pericolosa di quest’ultima, perché connivente con la classe politica e finanziaria del Paese.

“Sa, i mafiosi non sono quelli che ammazzano.” – affermava Fava il 28 Dicembre del 1983, una settimana prima di essere ammazzato, in un’intervista rilasciata ad Enzo Biagi – “..I mafiosi sono banchieri, sono ministri. Il generale Dalla Chiesa lo aveva capito, era dentro le   banche che bisognava frugare”.

Nel volume Un anno spiccano le grandi inchieste di Fava sui cavalieri del lavoro catanesi, da lui apostrofati “i quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa” e poi minuziosamente descritti in un suo ormai mitico editoriale: ” Costanzo massiccio e sprezzante, Rendo improvvisamente amabile e improvvisamente collerico, Finocchiaro soave, silenzioso e apparentemente timido, Graci piccolino e indefettibilmente gentile”. Sembrano quattro personaggi di un libro di Sciascia ed invece questi signori erano a capo di un oscuro impero economico fondato su una inquietante oligarchia, che dopo le inchieste della magistratura – seguite spesso alle denunzie pressanti di Fava-, si è disgregato come un colosso di sabbia al vento. Il volume edito dalla Fondazione Giuseppe Fava è ricco anche di altre inchieste sull’inquinamento “mortale” di Priolo, i missili americani a Comiso, i sistemi di potere, l’emigrazione meridionale ed il machismo siciliano.

Un anno è un libro che pesa, per contenuti e per stile. Un libro per non dimenticare, per sapere e per lottare.

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