Why Don’t We Do It In The Road?
Un filo teso di nailon divide la platea rialzata dallo spazio scenico invaso e invasato da prolunghe e cavi, alcuni dei quali collegati alle due postazioni dei due musicisti: Luca Venitucci (fisarmonica, oggetti e dispositivi sonori elettroacustici) e Massimo Lella (chitarra battente ed elettrica). Sono già in scena insieme alla performer Alessandra Cristiani, quando il pubblico entra, mentre in sottofondo ci sono rumori della strada. Why don’t we do it in the road? Cominciano a spogliarsi, si cambiano d’abiti per prepararsi allo spettacolo. La ballerina si posiziona nel mezzo della scena sopra il groviglio di fili. Iniziano a farsi sentire i suoni-rumori, noises a tinte scure oppure suoni acuti che danno l’imput al corpo della ballerina di tendersi a terra in una sorta di riscaldamento teso come il filo che ci divide da lei. Così quest’ultimo appare ancora più chiaramente come allegoria dello stato d’animo interiore della performer e anche di una musica che si cerca, cerca sé stessa come un equilibrista sopra l’elastico dell’armonia’.
Sebbene ci troviamo di fronte all’ambito dell’espressivismo svincolato da concetti di tipo naturalistico ritroviamo nell’attenzione ad una espressione facciale minima attenta allo sguardo a volte anche nascosto dolcemente mentre la bocca sussurra qualcosa che non possiamo sentire; un’interpretazione interiorizzata dell’angoscia e non una maschera. Così si crea il contrasto tra un viso che esprime a volte anche tristezza per un corpo continuamente martoriato dall’esterno (rappresentato dalla musica), un corpo che si esprime convulso in una danza contemporanea e che interagisce con i capelli tirandoli e facendosi icona di tensione, un corpo che ripetutamente cerca di pulirsi i pantaloni in un’ossessione costante, un corpo che infine cerca di recuperare la serenità infantile ma si ritrova legato e impossibilitato da prolunghe e cavi tutti aggrovigliatisi intorno. Un corpo che cade. Un corpo che se ne va, esce di scena. Venitucci registra la sua voce che canta e se ne va anche lui. La scena è vuota, solo l’eco di “Why don’t we do it in the road” che sdrammatizza la tensione di prima e trascrive nel vuoto la tanto introvabile serenità.
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