Morte al Villaggio Giardino – Roberto Roganti
3 min readBalzano Editore
136 pagine
romanzo
(cartaceo: euro 11,88)
Questo romanzo, Morte al Villaggio Giardino, è il primo dei libi gialli di Roberto Roganti di una serie che è variata più volte nel tempo. Ma rimane necessario, e l’occasione di una nuova bella veste della Balzano Editore è quindi ghiotta, per conoscere non solo l’alter ego dell’autore – Groggino il becchino – ma anche lo stile del Roganti “reale” e il suo modo di approcciare questo genere. Qui, i 5x1_6 (cinqueperunosei) – ovvero cinque amici per un commissario – sono un modo curioso e originale per mostrare una trama gialla a chi legge, che non si trova in quest’opera né a seguire l’investigatore né ad avere un percorso preciso davanti agli occhi, ma vedrà una situazione precisa (in questo caso la morte di una persona precipitata da un palazzo) descritta da tante “fotografie” scattate nel tempo da personaggi diversi.
Più Miss Marple che Poirot, Roganti riesce infatti a trasportare il crimine (come evento accaduto), di competenza ovviamente della polizia, a un crimine come evento narrato, che riguarda invece tutti. E quindi è in mezzo alla gente comune che verranno trovati gli indizi, raccolti o scoperti da pettegolezzi o discorsi più o meno informali che i tanti attori in scena (in primis, Pulitzer, giornalista, ma reggono il gioco allo stesso modo, per dire, un venditore di vini o un peculiare insegnante di ginnastica) troveranno di volta in volta mentre il tempo scorre, la polizia brancola (in parte) nel buio e il questore si “innervosisce” e cerca di far chiudere l’indagine prima possibile, in un modo o nell’altro.
Questi indizi – questi tasselli – tra l’altro verranno proposti al lettore quando i personaggi si ritrovano, di sera, a chiacchierare tra loro, a mangiare e a bere, per aiutare sì il loro amico commissario (Luigi Guicciardi, detto Cataldo…) ma anche l’altro loro amico, giornalista. Ma, perché anche per loro quella morte è interessante da sviscerare, ne parlano anche solo per il piacere di parlarne. E queste chiacchiere, a volte appunto alcoliche, possono arrivare al lettore tecnicamente in modo discorsivo o didascalico a seconda dei momenti. Per poi finire sul giornale, dove – sempre il lettore del libro – leggerà il riassunto (o l’evoluzione) di quanto appreso, ma con tono diverso, da articolo di cronaca (nera) che però cerca di catturare l’attenzione dei lettori (fittizzi) mascherando quindi parte del contenuto a favore della forma. Un gioco delle parti che regge, esplorando una variante del concetto di narratore inaffidabile, e che sembra appunto un gioco, divertente quanto inconsueto.
La penna di Roganti – in quest’opera – colpisce poi anche per altri due aspetti: la cura delle indicazioni stradali e quella degli aspetti enogastronomici. Si traccia e si percepisce una realtà in mezzo alla finzione, decisamente dettagliata la prima quanto a due livelli la seconda, che sottolinea che il luogo in cui tutto avviene è comprimario. La storia poteva declinarsi ugualmente altrove, ma non l’ha fatto. E quindi è lì con i suoi sapori, odori e colori, che, quasi un overdose, vogliono e devono essere riconosciuti. Il testo non sarà forse tutto per tutti, ma alcune pagine così hanno chiaramente una marcia in più.
Un’opera curiosa e particolare, che potrebbe, tenendo conto delle tante scelte stilistiche, spiazzare qualche appassionato del genere. Ma che, in alternativa, potrebbe invece farvi correre a cercare un seguito che – spoiler – non solo c’è (ci sono altri romanzi già pubblicati che, credo, potrebbero essere ristampati prossimamente) ma che prevede decine (plurale) di altre storie, più o meno pronte, ma non trasformate – ancora – in romanzi.
Roberto Roganti, classe 1957, modenese, ex massaggiatore-massofisioterapista. Appassionato di musica, cura con regolarità seguiti spazi online a tema. E’ stato negli anni anche parte importante di numerose iniziative artistiche locali. Come poeta e scrittore ha pubblicato decine di opere, e suoi testi sono presenti anche in svariate antologie.