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Intervista con Danilo Ligato

14 min read

La Vurga, nella mia memoria da bambino, era una vasta vasca per raccogliere l’acqua piovana, delle dimensioni simili a quelle di una piscina olimpionica. Era l’unica fonte d’acqua per il grande orto di mia nonna nella Calabria dei tardi anni ’80. Era un mondo incantato, con verdure dai colori accecanti mai visti prima, in un terreno arido solcato da un’acqua scura e densa che sembrava svanire come per magia in quel paesaggio desertico.

Tra i ricordi delle mie estati in Calabria, quello della vasca è particolarmente vivido. Era costruita in cemento, segnata dal tempo e dalle intemperie, con la natura invadente e selvaggia tutto intorno.

Davanti a quella superficie liscia e densa, che a volte si increspava per motivi misteriosi, rimanevo attonito e ipnotizzato. Ancora oggi, è un ricordo che mi rapisce e che ha influenzato le improvvisazioni che hanno portato alla creazione di questo disco. Quella superficie mutevole era il mio Aleph, il mio passaggio verso mondi immaginari, fantastici, pacifici ma anche inquietanti, a seconda del colore, della densità e dei movimenti dell’acqua.

Chinandomi sulla vasca, sembrava di sentire il rumore del mondo, un profondo rombo in costante mutazione, composto da innumerevoli segnali sonori, dagli acuti ai profondi.

Sembrava di ascoltare il suono del Big Bang.

Le undici tracce del disco sono il mio ritorno intimo a luoghi e persone immersi in una luce intensa e in una cosmogonia magica; undici immersioni nelle acque dense e misteriose del passato.

Composto e eseguito da Danilo Ligato

Prodotto da Vasco Viviani

Mixato e masterizzato da Matt Bordin presso lo studio Outside Inside

La fotografia utilizzata per la copertina è di Alessandro Ligato

Layout di Tiberio Faedi

Nella canzone Griddi è presente un frammento di ‘El Tren Fantasma’ per gentile concessione di Chris Watson Pubblicata da Touch Music/Fairwood Music (UK) Ltd

Un grande ringraziamento al Centro di dialettologia e di etnografia, Bellinzona. Questo lavoro ha assunto la sua forma definitiva anche grazie al mio incontro con le registrazioni e gli strumenti musicali del Fondo Roberto Leydi.

1.Faddhedrha

2.Cerasi

3.Favali

4.Vrasci

5.Griddi

6.Campodorato

7.Stidde

8.L’Affascino

9.Veni sonnu

10.Vurga

11.Nenta

https://www.youtube.com/watch?v=103HyPtumXM

(Cerasi)

Intervista

Davide

Buongiorno Danilo. “Vurga” è la tua terza uscita dopo l’e.p. d’esordio “Rizieri” (EEEE 2021) e l’album in musicassetta “Fernweh” (EEEE 2022). Molto bello, per altro, il titolo “Fernweh”, che in tedesco significa la “nostalgia della lontananza”, ovvero il desiderio di allontanarsi dal noto e dall’ordinaria quotidianità per avventurarsi nell’ignoto straordinario del più vasto mondo. “Vurga” nasce invece dai tuoi ricordi o dalla nostalgia di una terra originaria? È dunque un ritorno a casa, come nella parola contraria “Heimweh” all’altro polo della “wanderlust”, la voglia di viaggiare?

Danilo
Buongiorno Davide, grazie per l’interessamento al mio lavoro. Vurga nasce dai ricordi lontani delle mie estati in Calabria, ricordi permeati da una profonda nostalgia. Provo spesso questo sentimento, non come un desiderio di ritorno a luoghi, persone o momenti, ma più come una commovente visita a quei luoghi, momenti e persone ormai fuori dal tempo e dallo spazio. Il viaggio che ho intrapreso attraverso le improvvisazioni che sono poi confluite in Vurga, e che compio spesso quando suono, è una mia forma di meditazione personale: un abbandono consapevole ma aperto a tutte le eventualità che il flusso sonoro mi porta. Potremmo dire che il viaggio che ho fatto con i miei tre lavori, soprattutto in Vurga, non è né in avanti né a ritroso, ma rappresenta un tentativo ascensionale o un’immersione nelle profondità del suono e di me stesso.

Davide

Come sei arrivato al suono e alla musica, attraverso quali prime esperienze fondamentali?

Danilo
Penso che siano il suono e la musica che, per chissà quale strano motivo, abbiano deciso di visitarmi, risvegliando in me qualcosa di ancestrale e trascinandomi nel mondo dei suoni. Negli ultimi anni mi sono spesso posto questa domanda, cercando di individuare avvenimenti e persone che hanno segnato il mio percorso sonoro e personale. I passaggi importanti che hanno cambiato il mio modo di percepire il mondo sono tantissimi, e ogni tanto, quando meno me lo aspetto, qualcuno o qualcosa torna alla mia memoria.

Se dovessi indicare quelli che ricordo come fondamentali in questo momento, citerei sicuramente la fiaba del Pifferaio Magico, che già in giovanissima età mi aveva stregato, facendomi comprendere quanto potente potesse essere il suono. Poi c’è la profonda e sofferta ricerca di John Coltrane, che mi ha assorbito in giovane età, e molti lavori di Brian Eno. Se dovessi citarne uno su tutti, forse direi “Discreet Music”. Tuttavia, il disco che più di tutti ha ribaltato la mia visione del mondo è “L’Egitto prima delle sabbie” di Franco Battiato. Ricordo come se fosse ieri la prima volta che l’ho ascoltato, e come tutto ciò che avevo ascoltato fino a quel momento perse di senso in un paio di minuti.

Davide

Alcune tracce, specialmente “Griddi” (suppongo significhi “grilli”), mi hanno rievocato lavori quali“ Ambient 4: On land”, ma anche alcuni lavori di Harold Budd. Quali sono stati gli ascolti più importanti nel determinare il tuo percorso di compositore?

Danilo

Forse ho già risposto a questa tua domanda, ma sono felice delle assonanze che hai rilevato e che ovviamente mi lusingano, vista l’importanza dei due compositori da te citati. Tra le migliaia di ascolti che mi hanno segnato in questi 43 anni di ascolto consapevole, mi piace ricordarne uno avvenuto in età avanzata. Per me, è stato una conferma di molti concetti che stavo elaborando, ma anche una liberazione e una grandissima lezione su come intraprendere e sviluppare un percorso di ricerca. Il disco in questione è “Dell’universo assente” di Luciano Cilio, un’opera e un compositore mai abbastanza citati e ascoltati. A mio modesto parere, è una delle grandi opere del Novecento: contiene tutta la musica che lo ha preceduto e mostra una strada luminosa e illuminante per il futuro.

Davide

Da “Rizieri” a “Vurga”, qual è stata l’evoluzione della tua ricerca e del tuo lavoro, cosa cioè li, cosa li distingue, quale poetica, e quale nuovo approdo costituisce “Vurga”, verso quale possibile ripartenza?

Danilo

Rizieri è stato per me un nuovo inizio. Non suonavo musica da più di vent’anni, anche se nel frattempo ho approfondito ed elaborato progetti sonori. Dopo un’esperienza giovanile in una band, mi sono naturalmente spostato su altri tipi di ricerche e mi sono immerso in letture, visioni, ascolti e incontri. Rizieri è nato come un’esigenza naturale e incontenibile, grazie a mio fratello gemello Alessandro Ligato, con il quale ho intrapreso un lungo percorso di vita alla scoperta del mondo, e a Vasco Viviani, creatore dell’etichetta EEEE, che ha pubblicato i miei lavori fino ad oggi.

Hanno ascoltato circa un centinaio di improvvisazioni per chitarra e sintetizzatore, accumulati in maniera disordinata in circa un anno. Entrambi, con decisione e generosità, mi hanno aiutato a superare dubbi e idiosincrasie, portandomi a pubblicare Rizieri, il mio primo inconsapevole flusso di coscienza sonora. Dopo quel primo lavoro, ho iniziato gradualmente ad acquisire consapevolezza della mia ricerca e abbiamo pubblicato Fernweh, un lavoro dedicato a uno dei più grandi scrittori del Novecento, Robert Walser. In quel caso, ho iniziato a prendere padronanza dei mezzi e a indirizzare le mie sensazioni sonore.

Dopo Fernweh, ho capito che il dado era tratto e che la mia ricerca personale e linguistica sarebbe stata la musica. Per me, suonare è innanzitutto un lavoro interno sulla mia persona, sul mio modo di percepire il mondo, e un tentativo di trovare, attraverso lunghe improvvisazioni, un punto di incontro tra il mio sentire e le vibrazioni che si disperdono nell’aria.

Ho lavorato a Vurga per circa tre anni, riempiendo diversi hard disk con migliaia di improvvisazioni e bozzetti. Ho poi deciso di contattare il Fondo Roberto Leydi, un’idea che mi seguiva da molti anni. Ho pensato che proprio in quella ricerca visionaria di un passato che è allo stesso tempo presente e futuro si potesse nascondere la chiave per dare forma compiuta al mio terzo lavoro.

Davide

In che modo ti ha stimolato il lavoro di Roberto Leydi, forse il più importante etnomusicologo

italiano insieme a Diego Carpitella? Che tipo di incontro è stato inoltre quello con gli strumenti musicali del Fondo Roberto Leydi? Ne hai potuti suonare o registrare alcuni?

Danilo

Il mio incontro con il lavoro di Leydi è avvenuto molti anni fa attraverso i vinili della Albatros. Dopo averne acquistati alcuni nei mercatini dell’usato, mi sono chiesto quale fosse l’idea di fondo e la mente che avesse creato questa essenziale risorsa per tutti. Così sono arrivato al lavoro di Leydi. Il suo libro “L’altra musica” l’ho letteralmente divorato a quindici anni. Ho poi scoperto che gli strumenti e le registrazioni di Leydi erano custoditi dal Fondo Roberto Leydi, situato a Bellinzona, a pochi minuti da casa mia in Svizzera, dove sono nato e cresciuto.

Quando il mio disco era già a uno stato avanzato, ho intuito che forse era arrivato il momento di rispolverare l’antico progetto di avvicinarmi alle registrazioni e agli strumenti raccolti da Leydi nel corso della sua vita. Dopo molte ore di ascolto delle registrazioni fatte da Leydi, ho preso molti appunti, ascoltando e riascoltando allo sfinimento le antiche composizioni da lui raccolte. Ad ogni nuovo ascolto, percepivo di avvicinarmi sempre più a qualcosa di antico, segreto e che pure appartiene a tutti.

Ho poi ottenuto l’approvazione della Fondazione Leydi per suonare e registrare alcuni strumenti. Sono stati giorni di beatitudine ma anche di grande responsabilità: avvicinarsi e suonare strumenti vecchi di cento anni, facendoli rivibrare, è stata una delle esperienze più intense della mia vita. Tornato a casa con le registrazioni, ho passato molto tempo ad ascoltare e riflettere su quali strumenti e come potessero entrare in questo mio progetto su una Calabria magica, intima ma anche universale. Alla fine, credo che siano stati gli strumenti stessi a decidere come e cosa fare.

All’interno delle 11 composizioni di Vurga, vivono diversi suoni e timbri registrati da quegli strumenti e da me rielaborati grazie a un campionatore e a molti effetti. La mia idea era di lavorare con del materiale vivo, pulsante, arcaico ma estremamente moderno. Nei brani di Vurga ora vivono ocarine, ghironde, percussioni, una lira calabra e molti altri strumenti. Dal mio punto di vista, non è necessario che siano subito riconoscibili, ma anzi, ho tentato l’azzardo di plasmarli e fonderli con tutti gli altri suoni già esistenti, cercando una nuova via sonora, almeno per me.

Davide

Qual è stato il tuo approccio “etnologico”, ovvero di appropriazione di o riappartenenza a quale cultura e a quale mondo, reale o ideale? In che modo hai cioè recepito e rielaborato, dentro una musica ambientale e minimale, le istanze rinvenute in altra musica più popolare e tradizionale?

Danilo

Mi sono avvicinato con grandissimo rispetto e anche timore verso le registrazioni sonore e gli strumenti di Leydi, consapevole che lì si nasconde molto di quello che siamo stati e che forse non siamo più. Il portato emotivo, rituale e collettivo della materia a cui mi sono avvicinato mi ha inizialmente impaurito, ma la chiave che penso mi abbia aiutato è stata quella di considerare che quei suoni e quei riti, in un certo senso, già mi appartenevano. Dovevo solo trovare il modo di far riemergere quell’energia sotterranea che portavo dentro, consapevolmente o meno.

Non ho forzato nulla, non ho accelerato il processo né tentato vie che non fossero quelle giuste. Mi sono semplicemente messo in ascolto, in ripetuto e rispettoso ascolto, attendendo che suoni e forme diversi, ma poi non così lontani, si incontrassero. Non sono certo di esserci riuscito pienamente, ma sono sicuro che questa sia la via giusta per me, la strada che intendo seguire nei miei prossimi lavori.

Davide

In “Griddi” hai usato un frammento dalle registrazioni ambientali del viaggio da Los Mochis a

Veracruz presenti in “El Tren Fantasma” di Chris Watson? Disco che, per altro, mi ha ricordato altri due lavori similari, “La stazione” di Herbert Diestel e “Il treno”, ovvero il concerto per treno di John Cage. Un omaggio, una citazione dal preciso significato?

Danilo

“El tren Fantasma” è stato un disco fondamentale per la mia formazione. Oltre a essere bellissimo da qualsiasi punto di vista, è lì che ho capito definitivamente la potenza del field recording non solo come importante e fondamentale documentazione, ma anche come linguaggio fortemente espressivo che, a volte, può andare oltre la musica suonata. In quel disco cadono tutte le barriere di genere e linguaggio, e tutto diviene un unico flusso sapienziale.

La storia della nascita di “Griddi” è indicativa di come, a volte, le cose vadano come devono andare. Durante l’ascolto dei nastri di Leydi, mi sono innamorato di un breve frammento per strumenti a corde registrato sull’isola di Creta. Della melodia originaria, nel brano finale, rimane pochissimo, ma ciò che mi aveva davvero colpito era che il brano fosse accompagnato e accompagnasse il canto delle cicale. Tornato a casa, ho subito pensato a “El Tren Fantasma” e ho cominciato a improvvisare con il Juno 60, lasciandomi guidare dal canto degli insetti. La mia idea era di sostituire il frammento “rubato” dal lavoro di Watson, ma a disco concluso e con i master da consegnare, non riuscivo a trovare un suono adatto. Ho provato molte registrazioni fatte da me, ma nulla sembrava funzionare. Così, ho avuto l’idea folle di scrivere a Watson, che con un gesto di generosità che mi ha realmente commosso, mi ha fatto dono di quel frammento su cui ho modulato tutto il brano.

Davide

Tra il suono e il silenzio, cosa sono per te le risonanze, particolarmente evidenti e significative in questo lavoro, soprattutto nel pianoforte, come nella conclusiva “Nenta” (che suppongo voglia dire“niente”)?

Danilo

Che bellissima domanda! Grazie davvero, perché penso che la forza della musica risieda proprio nella risonanza, negli spazi apparentemente vuoti, nei momenti a cui spesso si dà poca importanza, o perlomeno in certa musica.

In “Nenta”, che giustamente significa “niente”, la mia attenzione era focalizzata proprio sui silenzi, sulla creazione del brano soprattutto nello spazio tra le note. Nel mio percorso sto ponendo sempre più attenzione a questo: non tanto ai suoni espliciti e squillanti, ma alle vibrazioni che si propagano, si intersecano e generano uno spazio e un tempo. “Nenta” è un primo tentativo in questo senso e mi fa davvero piacere che tu lo abbia colto.

Davide

Mingus disse che la sua musica, quando suonata, non aveva mai lo stesso suono che sentiva in testa. Ti capita mai di immaginare un suono e di non riuscire a ricrearlo? O il viceversa, cioè di riuscirvi? Qual è il tuo approccio al suono, alle sue proprietà ideali e alla sua produzione?

Danilo

Ho ascoltato e ascolto moltissimo il lavoro di Mingus, e sorprendentemente il suo disco che preferisco è proprio “Mingus Plays Piano”. In questo lavoro, abbandona tutti gli strumenti e le orchestrazioni per mettersi a nudo, regalandoci, a mio parere, una rara perla di sincerità sonora.

Tornando a me, anche qui hai colto una parte essenziale del mio lavoro. Da sempre sono alla ricerca di un suono che non ho ancora trovato, un suono che a volte mi sembra di scorgere nei dischi degli altri, ma che non è esattamente quello. Pertanto, continuo nella mia ricerca. A volte immagino dei suoni che riflettano un mio personale sentire e per giorni, a volte mesi, suono, registro e scarto tutto per poi ricominciare. Alla fine, per fortuna, ho sempre trovato un suono che mi sembrasse avere la luce giusta. In generale, però, ho sempre in mente un suono che, ad oggi, non ho ancora trovato e forse non troverò mai. Ma questa ricerca mi appassiona, emoziona e mi permette di scoprire sempre nuove cose su di me e sulla realtà che mi circonda.

Davide

Personalmente non amo la definizione di musica ambientale perché può essere confusa con la “musica per ambienti”. Al contrario, non si tratta di musica per il sottofondo a una qualunque attività, ma che anzi evoca e ha bisogno di un ascolto profondo (o deep listening) e magari anche sognante, intimamente risonante. Un genere di ascolto, purtroppo, sempre più diseducato dai media elettronici oggi disponibili e da una musica sempre più consumata velocemente, frammentariamente e accessoriamente. Cosa pensi della situazione musicale odierna?

Danilo

Il discorso sull’ascolto è infinito e non credo di essere in grado di affrontarlo completamente qui, né di risolverlo. Tuttavia, ho sempre pensato e continuo a pensare che ci siano infiniti modi di ascoltare, così come ci sono infiniti modi in cui il suono arriva a noi, senza una gerarchia o una scala di valori. Posso ascoltare “Satie” o “Neroli” di Brian Eno con grande attenzione o mentre faccio altro, e quelle vibrazioni mi raggiungono certamente in modo diverso, ma non necessariamente migliore o peggiore.

Sono il primo a essere felice quando il mio lavoro viene ascoltato con attenzione, ma penso sia anche giusto e naturale che venga fruito in innumerevoli modi. Per me, è già una grandissima emozione che le vibrazioni da me create vengano ascoltate, e poi che accada quello che deve accadere.

La situazione musicale odierna, dal mio punto di vista, è entusiasmante. È vero che la cultura musicale predominante può sembrare deprimente e riflette una civiltà al suo massimo abbrutimento, ma io preferisco seguire e ascoltare tutte le musiche interessanti e stimolanti che nascono ogni giorno. Non esagero affermando che ogni giorno viene prodotta una quantità enorme di musica di qualità eccelsa, consapevole della propria storia e in costante ricerca. Direi che con un minimo di sforzo si può davvero essere invasi da innumerevoli suoni contemporanei che ci fanno sperare nel meglio.

Tra gli ascolti che mi hanno profondamente colpito quest’anno ci sono Alessandra Novaga, “Fasfari” di Alessandro Bosetti, Giuseppe Ielasi, Massimo Carozzi/Muna Mussie, Shabaka e Tashi Wada.

Davide

Cosa seguirà?

Danilo

In questo momento sto improvvisando molto alla ricerca di nuovi suoni e strutture per la sonorizzazione di *Lucania Magica* di Luigi Di Gianni, che realizzerò in autunno. Grazie alla collaborazione con la Cineteca di Bologna, potrò continuare la mia ricerca sonora in armonia con le immagini di Di Gianni, cercando suoni essenziali, arcaici e contemporanei allo stesso tempo.

Per il momento, tutto sta procedendo nel migliore dei modi, e chissà, forse questo progetto di sonorizzazione potrebbe trasformarsi in futuro anche in un lavoro musicale su supporto fisico. Penso sempre che la nota, il suono, il brano migliore sarà quello che suonerò domani. Con questo atteggiamento di profondo ascolto e dedizione alla ricerca, mi sveglio ogni giorno curioso ed esaltato da ciò che potrebbe arrivare.

Davide

Grazie e à suivre…

Danilo

Profondamente grazie a te per queste belle e stimolanti domande.

 

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