Intervista con Linda Gambino
13 min read“Unexpected”, prodotto da Filibusta records e distribuito da IRD, è il primo album jazz di Linda Gambino, lanciato il 5 aprile 2024, un album che sarà un punto fermo nella carriera della cantante.
“Unexpected” rappresenta un viaggio musicale che attraversa generi ed epoche, dimostrando la versatilità artistica e l’eclettismo creativo di Linda Gambino. Ilo titolo dell’album riflette perfettamente l’origine spontanea del progetto: quello che è iniziato come un semplice confronto sugli accordi di un brano tra Linda e il chitarrista Andrea Zacchia si è trasformato in un album completo, grazie a un pomeriggio di ottobre ricco di ispirazione.
L’album include tre brani originali firmati da Linda Gambino e quattro standard, selezionati per riflettere lìamore e la formazione jazz della cantante, maturata studiando alla prestigiosa Berklee College of Music di Boston. Questa scelta artistica porta una ventata di freschezza e dinamismo all’album, in particolare nella traccia d’apertura, “My favorite things” proposta in una sorprendente versione in quattro quarti che regala al brano un andamento unico e accattivante.
Per le registrazioni in studio, Linda e Andrea sono stati accompagnati da Giordano Panizza al contrabbasso e Maurizio De Angelis alla batteria, entrambi esponenti della scena jazzistica romana. La sinergia tra i musicisti ha contribuito a creare un’atmosfera unica, catturando l’essenza lirica che caratterizza l’intero album.
Con questo lavoro, Linda Gambino non solo conferma il suo talento e la sua passione per il jazz, ma invita anche gli ascoltatori ad abbracciare l’ignoto con coraggio e ottimismo, attraverso composizioni che parlano di resilienza, speranza e della bellezza nel lasciarci sorprendere dalla vita.
Linda Gambino è nata in Italia ma cresciuta negli Stati Uniti, nelle grandi città di Washington D.C., New york, Los Angeles e Boston. I primi anni vissuti in USA l’hanno avvicinata al jazz e al soul, frequenta la Berklee College of Music a Boston. La padronanza della lingua inglese e gli studi presso la prestigiosa scuola contribuiscono notevolmente alla sua completezza professionale. La passione per il jazz la porta ad approfondire la conoscenza delle grandi interpreti che hanno fatto la storia della musica afro-americana: Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan, Betty Carter.
Blue Art Promotions.
Tracklist:
My favorite things / It wasn’t love / Everything happens to me / Let’s take whatever comes instead
Honeysuckle rose / Taking a chance on love / Your hands
Linda Gambino – voce
Andrea Zacchia – chitarra
Giordano Panizza – contrabbasso
Maurizio De Angelis – batteria
Registrato presso il Fusion Music Studio di Monterotondo (RM). Sound engineer: Federico Palmieri. Artwork: Flavia Cordoni.
Intervista
Davide
Buongiorno Linda. A che punto del tuo percorso artistico di cantautrice, iniziato una decina di anni fa, arriva “Unexpected”, tanto atteso quanto inatteso o, appunto, “unexpected”?
Linda
Buongiorno a te Davide! Forse non c’è un momento definito ben identificabile. Come in tutte le cose, si fanno delle scelte nella vita che sembrano casuali e poi viste in prospettiva erano guidate da un desiderio inconscio che si manifesta solo dopo. Con Unexpected è stato così ma, appunto, riesco a vederlo solo adesso. Mi è sempre piaciuto scrivere musica e testi. Mi piacciono le linee melodiche ampie e la mia voce credo sia molto adatta a cantarle e a cantare brani jazz. Infatti è da lì che ho cominciato quando ho frequentato per alcuni anni la Berklee College Of Music. Ultimamente, dopo un periodo di brani pop/soul, si vede che avevo bisogno di qualcosa di più sofisticato per esprimermi. La mia voce, dicono è una voce importante, nel senso che ha una certa presenza e timbro non comuni. Per caso, o forse no, un’estate di due anni fa ho frequentato un workshop di Fabrijazz a Fabriano. Lì mi sono immersa di nuovo in progressioni armoniche che avevo un po’ messo da parte e ho ricominciato a studiare e ad ascoltare i musicisti e le voci jazz che già conoscevo, che mi sono sempre piaciute.
Ero appena tornata da Londra dove per vari motivi avevo dovuto prendere una pausa dallo scrivere. Dopo essermi finalmente fermata a Firenze ho ritrovato la concentrazione necessaria o anche la tranquililtà affinché l’ispirazione mi venisse a cercare. Un giorno ispirata appunto da un incontro, ho scritto un brano e l’ho inviato al mio amico Andrea Zacchia, ottimo chitarrista della scena romana, chiedendogli un aiuto per perfezionare il suono e l’armonia del brano. A lui è piaciuto molto e mi ha proposto di registrarlo. Ma poi ne ho scritti altri e con Andrea al mio fianco li abbiamo completati e abbiamo deciso di registrare un album. Non avevo in alcun modo previsto tutto questo… è stato moto inaspettato appunto.
Davide
Dopo numerosi singoli e alcuni album pop soul e pop funk come “Momentum” del 2016 e e.p.
come “Looking back” del 2020, cosa ti ha condotto a un disco interamente jazz?
Linda
Come dicevo sentivo che la mia voce era un po’ fuori dal trend delle voci più commerciali, con l’esclusione di Amy Winehouse che per me è sempre stata un’ispirazione. Lei aveva un background jazz eppure è riuscita a trovare un modo di esprimere la sua unicità anche nel pop/soul. Ho sempre scritto e inventato canzoni e dopo aver ripreso a studiare jazz ho sentito che potevo certamente percorrere quella strada. Mi sembrava che sarebbe stato naturale per me esprimermi attraverso il jazz. Per di più ultimamente ho ascoltato Samara Joy, che mi ha letteralmente travolto con la sua vocalità, ma anche Laufey che canta queste melodie jazzy con testi moto belli, ironici o romantici e anche Veronica Swift che canta jazz, pop, rock con disinvoltura e senza imbarazzo. Non mi sono sentita più sola: anche io potevo esprimermi senza limiti troppo rigidi di genere musicale.
Davide
Ascoltando “Unexpected” ho pensato che il jazz, senza ammorbidirla troppo, esalta la qualità e il
timbro della tua voce già distintivo e particolare, avvicinandolo alle grandi voci del jazz come quelle di Sarah Vaughan ed Ella Fitzgerald, ma certo anche già a Amy Winehouse quando invece
canti la tua musica più pop oriented… Come ti sei avvicinata al canto e alla musica, soprattutto alla
scrittura musicale?
Linda
Ecco, mi fa piacere ovviamente che tu mi dica questo perché sono le voci che più sento vicine… mettiamoci anche Betty Carter!
A casa di mio padre il venerdì si suonava tutti insieme, mia nonna al pianoforte e gli altri intorno, 5 figli, a cantare e suonare. Io questo non l’ho vissuto direttamente perché i miei nonni erano già scomparsi quando sono nata, ma si vede che la musica è rimasta nelle vene. I miei ascoltavano jazz e swing soprattutto quando vivevamo in America. Era la musica che si sentiva nell’aria. E io essendo figlia unica e dato che spesso e volentieri traslocavamo di città in città senza davvero il tempo necessario per stringere amicizie, mi facevo compagnia cantando e inventando canzoni, così, acapella.
Le voci scure mi hanno sempre affascinato forse perché le sentivo simili alla mia, ma anche perché mi emozionavano e quando sono arrivata più tardi a Berklee, appunto, ne ho fatta un’indigestione. Ho deciso che volevo essere brava come loro. Mi struggevo dal desiderio di poter cantare cosi. Dopo Berklee tornata in Italia, ho cominciato a cantare jazz in giro nei locali di Roma e a studiare tecnica vocale con molti insegnanti ma come si dice, il vero maestro arriva quando sei pronto e io da un paio di anni studio con Cinzia Spata, grande cantante e musicista jazz, che mi ha portato sulla retta via. Ho un mezzo vocale forte ma andava ammorbidito e andavano trovate quelle sfumature, quei colori che appunto ti fanno emozionare e che mi mancavano forse.
La scrittura era in me: ho sempre scritto molto anche se non testi di canzoni. Mi piace scrivere e in inglese, sono praticamente bilingue, è più facile scrivere testi che si adattino alla musica jazz e pop e soul. Poi scriverne di sofisticati ma semplici ed emozionanti è un’altra cosa. Io ci provo! Per me nessuna come Amy Winehouse e stata in grado di scrivere con quella profondità e immediatezza e poesia che caratterizzano i suoi testi. Ah si, anche Joni Mitchell!!
Davide
Quali gli incontri e quali i momenti vissuti tra i più importanti nel definire la tua cifra stilistica?
Linda
Uno dei momenti più importanti è stato quando frequentavo la casa di un mio amico a Roma che aveva un impianto sofisticato per ascoltare musica: piatto con vinili, amplificatore a valvole, casse olofoniche artigianali, insomma un appassionato quasi maniaco. Lì ho ascolto la musica e le voci con una definizione e un calore che mi ha portato a volere ancora di più cantare così con quell’emozione che ti fa venire i brividi. Lui mi ha regalato il mio primo microfono e ho cominciato a rompere i timpani a tutti, tanto che dei colleghi di lavoro, lavoravo all’American Express, mi hanno informato che Renato Zero faceva delle audizioni per un musical che voleva realizzare e mi hanno spinto ad andare. Così ho fatto: morta dalla paura sono salita sul palco e ho cantato un brano a capella di Joan Arrmatrading, voce incredibile, che si chiama “Love and Affection”: lui si e’ alzato dalla platea, sembrava colpitissimo dalla mia voce. Il musical non è poi stato realizzato ma in quell’occasione ho conosciuto un chitarrista che mi ha proposto di provare a suonare insieme e dopo di lui ne ho poi conosciuti altri. Poco dopo siamo partiti per Berklee. Lì, una sera, con un altro chitarrista italiano e altri amici abbiamo cominciato ad improvvisare e mi sono resa conto che qualunque cosa lui improvvisasse, io riuscivo immediatamente a trovare una melodia ma anche una struttura e un accenno di testo a quello che mi usciva così spontaneamente. Mi sono esaltata, mi sembrava di avere un talento!
E lì a Berklee tutte le cantanti ascoltavano e cantavano Joni Mitchell e poi Dianne Reeves e poi Anita Baker, Diane Schure e poi tutte le classiche voci jazz… mi ci ritrovavo perfettamente. Quello è il mio background.
Davide
Hai vissuto in diverse metropoli americane e di recente anche a Londra, ma sei sempre tornata in
Italia. Cosa ti lega ancora e più di tutto al nostro paese?
Linda
Dagli Stati Uniti sono tornata non per rmia scelta ma per scelta soprattutto di mia madre che non ne poteva più di preparare bagagli e traslochi. Io sarei rimasta. Da Los Angeles, che è stata l’ultima città in cui ho vissuto stabilmente per tre anni, mi sono ritrovata a Palermo, che è certamente bellissima, ma non era certo una metropoli come quelle a cui mi ero abituata. Ho sofferto parecchio di questo cambiamento. Ho sempre voluto tornare in USA, ma per vari motivi personali non ci sono riuscita e adesso, e soprattutto dopo Londra, apprezzo lo stile di vita italiano e la ricchezza e la bellezza che l’Italia ha in tutti i campi nonostante tutte le critiche che si possano fare.
Davide
Perché la scelta di alternare ai brani da te composti insieme ad Andrea Zacchìa con alcuni standard
del jazz?
Linda
È stata una scelta strategica nel senso che, dato che questo era un album di esordio, non volevo proporre solo brani originali; mi sembrava un po’ presuntuoso. Penso che l’ascoltatore apprezzi l’ascolto di un brano che già conosce in una versione nuova, riesce a seguire più facilmente e può apprezzare le differenze con le versioni che già conosce.
È stato come mettere un piede nella porta di questo mondo jazz… ma non finisce qui!
Davide
Perché la scelta di quei precisi brani, a cominciare da “My favorite things” e poi quelli di Vernon
Duke, Tom Adair e Fats Waller? Cosa li accomuna e in che modo dialogano con i vostri brani
originali e il viceversa?
Linda
Mi piacciono molto i brani up tempo e avevo sentito “My Favorite things” nella versione di Betty Carter e mi ha ispirato. Ma di più’ mi ha ispirato la versione di Cinzia Spata, di cui avevo visto il video su YouTube.
Degli altri brani mi hanno colpito le versioni sempre molto veloci ma espressive di Samara Joy e Jane Monheit. Il filo conduttore è la mia energia..mi piace cantare con tempi così veloci anche perché non ho problemi con i testi in inglese e quindi vado sicura. Dei brani originali uno è sulla stessa onda, cioè’ “It wasn’t love”: sono tutti brani ironici, swing, leggeri anche quando proposti da musicisti tutt’altro che leggeri. Poi ci sono le due ballad in cui mi sono permessa di essere libera ed esprimere la parte più appassionata di me.
Davide
“My favorite things”, di Rodgers e Hammerstein, brano nato con un tempo ternario, è stato
rivisitato da voi in 4/4. Interpretato innumerevoli volte da artisti non solo jazz in centinaia di
versioni, la più famosa resta probabilmente quella fatta da John Coltrane, suo cavallo di battaglia.
Penso non sia facile reinterpretare in modo originale qualcosa che è stato fatto e rifatto così tante
volte e in molti modi diversi. Come avete affrontato la vostra versione?
Linda
Devo essere sincera… ”My Favorite Things” in quattro quarti l’avevo sentita da Cinzia Spata come ho già detto. Il mood era molto diverso dalla leggerezza dell’originale e ho pensato di fare anche io una versione così. L’ho proposta ad Andrea (Zacchia) e a lui è piaciuta l’idea. Ha creato un arrangiamento secondo me molto riuscito: l’intro è subito trascinante, la melodia più carica, gli scambi dinamici… l’ho cantata con in mente Betty Carter e Cinzia Spata!
Davide
Ci presenti i musicisti che hanno suonato con te in questo disco? Come è stato lavorare insieme a
loro?
Linda
Andrea Zacchia, che è stato il motore di tutto questo progetto, è un bravissimo chitarrista e compositore che ho conosciuto qualche anno fa quando ci siamo ritrovati a suonare insieme con una band funk. Credo che lui abbia apprezzato la mia voce come io il suo talento. Siamo rimasti amici con l’intenzione di suonare ancora insieme e ultimamente ci siamo sentiti spesso per aggiornarci su quello che stavamo facendo, ma soprattuto sullo studio che stavamo approfondendo entrambi e la spinta che volevamo dare alla nostra carriera musicale. Insomma eravamo sincronizzati. Andrea poi è un tipo entusiasta ma anche elastico e quindi mi ha reso le cose più facili cercando di far sfumare tutti i dubbi che mi venivano durante la realizzazione dell’album. Giordano Panizza è stupendo, mi piace moltissimo come suona… non lo conoscevo prima. A me il contrabbasso piace molto e ho pensato anche alla parte che avrebbe potuto avere quando ho scelto i brani. Maurizio De Angelis è un bravissimo batterista che suona molto spesso con Andrea e mi diverto molto a suonare con lui. Posso dire che mi hanno accolto molto bene perché sono musicisti di talento e persone empatiche ma non se la tirano, per dirla in termini sintetici. Quindi ci siamo trovati, abbiamo cercato di comprenderci e rendere il processo più fluido possibile. Senza parlare del sound engineer Federico Palmieri che è fatto della stessa pasta!
Davide
“Tutto mi dà ispirazione, tutto ciò che accade nella vita”, disse Amy Winehouse. Non solo sei
autrice dei testi, ma anche una compositrice. Con quale strumento componi musica? Come e
quando solitamente nasce un tuo brano? Hai una tua metodica peculiare di approccio all’ispirazione
e alla creazione?
Linda
Quando compongo musica metto le mani sulla tastiera e suono a caso: accordi e piccole melodie e da lì si apre la strada. Per me la melodia è predominante. Per quanto riguarda i testi l’ispirazione la trovo da qualcosa che mi è successo, che ho vissuto in prima persona oppure che ho sentito da amici o anche da quello che succede nella nostra società. Durante il covid ho scritto un brano che si chiama “Open Your eyes”, che parlava appunto di come percepivo quello che ci stava accadendo: sentivo che in Italia si stava vivendo con una grande ansia, lo sentivo dai miei amici preoccupatissimi, mentre a Londra, dove ero in quel periodo, nonostante il lockdown che anche lì c’è stato, l’atmosfera era senz’altro molto più leggera. Quindi invitavo tutti ad aprire gli occhi perché mi sembrava esagerato che ci mettessero le catene per chiuderci dentro casa mentre io, come tutti, avevo bisogno di aria e di essere libera.
Altre volte sento una frase che mi colpisce per la musicalità e per la ritmica delle parole e quindi me la appunto sul cellulare e da lì elaboro. Altre volte ancora leggo testi di artisti che mi piacciono e trovo lo spunto per partire.
Davide
Perché alcuni tuoi lavori sono usciti per un periodo recente, ancora nel 2023, come Linda aka Sand?
Essere tornata con “Unexpected” Linda Gambino senza un “aka”, magari internazionalmente più
funzionale, ha un significato preciso?
Linda
Si direi decisamente di sì! Linda aka Sand è nato come nome d’arte quando ho pubblicato un brano mio “Freedom” che è uscito con la Lion Music, perché l’editore voleva marcare la differenza dalla mia produzione precedente. Ho inventato io il nome rifacendomi alla pasta un po’ sabbiosa e ruvida a volte della mia voce da cui “sand”. Però mi sembrava un nome troppo pop e mi stava stretto. Già da un po’ volevo cambiarlo, ma con l’occasione di questo ultimo album ho preso finalmente la decisione di tornare al mio vero nome… mi sembrava più adatto a quello che sto facendo adesso.
Davide
Cosa seguirà?
Linda
Il mio obiettivo e di diffondere questo album per ritrovarmi a cantare su palchi più importanti, nelle varie rassegne e festival che si svolgono in Italia ma anche all’estero. Non mi pongo limiti. E voglio scrivere al più presto nuovi brani e con più coraggio e determinazione affermare quello che sono. Forse non una cantante di jazz “puro” ma riconoscibile ed emozionante… è quello che mi dà piacere!
Davide
Grazie e à suivre…
Linda
Grazie a te Davide e certo, alla prossima!