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Proprietà (privata) nell’ordinamento italiano: diritto o libertà?

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La filosofia mi ha insegnato ad amare solo chi mi fa del bene,
ma anche chi mi fa del male; a condividerei beni più che a tenerli per me solo;
a desiderare più quel che è utile a tutti che non quel che può essere utile a me solo.

Apuleio

Le culture politiche che costituiscono le fondamenta dell’intera architettura repubblicana sono, come noto, il cattolicesimo sociale, il socialismo, il comunismo, l’azionismo laico[1], e anche la cultura liberale. Ma nella composizione dell’Assemblea Costituente, eletta il 2 giugno 1946 per redigere la nuova Carta fondamentale, era evidente la prevalenza delle forze in campo sui 556 seggi totali:

  • 207 Democrazia Cristiana,
  • 115 Partito Socialista,
  • 104 Partito Comunista,
  • 33 Partito Liberale Italiano,
  • 30 Fronte dell’Uomo Qualunque[2],
  • 23 Partito Repubblicano Italiano

e altre formazioni con numero di eletti ancora minore.

I liberali risultavano in minoranza, potendosi affermare che oltre due terzi dei costituenti della DC non si riconoscevano in idee liberali, così come nessuna delle formazioni di sinistra: tuttavia la “proprietà”, principio assai caro alla cultura liberale e mai definito come “diritto” nel testo della Costituzione, trovò il suo riconoscimento come “situazione giuridica” nell’art.42 (PARTE I – Diritti e doveri dei cittadini – Titolo III – Rapporti economici), norma (sistematicamente) ben lontana dal nucleo dei principi fondamentali scolpiti nei primi dodici articoli, e “depotenziata” da una non meglio precisata “funzione sociale” che la stessa avrebbe dovuto perseguire[3].

Recita il primo comma dell’art.42 Cost. “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati”

La Costituzione si riferisce, innanzitutto, alla “proprietà” così come definita dal Codice Civile del 1942, cioè a quel “diritto reale” (relativo a un bene o una “cosa”, res in latino) che attribuisce al suo titolare un potere assoluto ed immediato, diretto ed esclusivo, sulla medesima (art. 832 C.C.)[4].

Si parla di proprietà privata, o pubblica, con riferimento allo status, privato o pubblico, del soggetto giuridico titolare del diritto (es. i beni del demanio dello Stato non possono che essere pubblici[5]).

Continua l’art.42: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.”

Con la Costituzione, dunque, si scelse di porre la proprietà tra i “diritti economici”, e non più tra quelli fondamentali del singolo (come previsto dallo Statuto Albertino all’art.29), nonché di stabilire che essa doveva avere “funzione sociale”. Lo scopo del costituente, infatti, era quello di ricondurre la proprietà privata entro una dimensione non più individuale ma, appunto, globale e strettamente economica.

È una delle poche volte in cui la Costituzione riconosce un diritto non all’uomo in quanto tale (come succede invece per il diritto di parola, di associazione, di culto), ma per il volere del legislatore, con ciò rinviando alle norme del Codice Civile che regolano le varie modalità con cui si può acquisire una proprietà (tramite donazione, ad esempio, o con la compravendita, l’usucapione, la successione ereditaria e così via)[6].

Venne, inoltre, stabilita una connessione, nell’ambito dei rapporti economici, tra la “libertà di iniziativa economica” e la “proprietà”, mettendo in testa la prima (art.41 Cost.[7]), quasi a voler “dilatare” il potere di intervento dell’Autorità pubblica nell’attività economica. In pratica se lo Stato assunse il compito di garantire la compatibilità tra libertà di iniziativa e proprietà (solo il privato proprietario di beni può esercitare l’impresa), significa che lo Stato stesso è abilitato a disciplinare la proprietà dei beni economici, per realizzare interessi pubblici[8]. Da quest’ultimo articolo emerge, in altri termini, la tendenza del costituente ad introdurre una forma di economia “mista”, pubblica e privata, in cui, cioè, lo Stato non si limita a porre delle norme di regolamento ma interviene in qualità di soggetto imprenditore, sia costituendo imprese sia assumendo il controllo, totale o parziale, di imprese già esistenti. Una situazione che ha caratterizzato il periodo dal secondo dopoguerra fino agli anni ’90 del secolo scorso, a partire dai quali si è assistito ad un processo esattamente opposto: la dismissione delle partecipazioni statali detenute ed, in generale, una tendenza a privatizzare le imprese pubbliche, iniziò per l’Italia, già prima della trasformazione della Comunità in Unione Europea[9].

L’ultima parte del II comma dell’articolo 42 Cost. stabilisce l’impegno della legge a favorire l’accesso alla proprietà privata a tutti. Qualcuno ha letto queste parole come la proclamazione di un generico “diritto alla casa” in capo a ciascuno, cosa che tuttavia i Costituzionalisti hanno sempre negato. Scopo dei padri costituenti era quello di evitare che la proprietà privata si concentrasse in mano a pochi capitalisti. Da qui l’impegno del legislatore di porre ogni cittadino nella condizione di acquistare i beni di propria necessità e, in particolare, gli immobili[10].

La parte “meno gradita” dell’articolo 42 è il III comma:

“La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.”

L’espropriazione per pubblica utilità è il limite più importante previsto dal nostro ordinamento in relazione al diritto di proprietà. Può essere disposta solo quando v’è la necessità di disporre di un bene privato per realizzare un’opera pubblica: oltre al presupposto della necessaria riserva di legge (le caratteristiche dell’esproprio devono essere previste da una norma), tale provvedimento ablatorio può essere disposto solo per motivi di interesse generale, con un “minimo di concretezza attuale”[11]. L’espropriazione deve sempre essere accompagnata da un “congruo indennizzo”, che, secondo il D.P.R. 327/2001 (Testo Unico sulle espropriazioni per pubblica utilità), deve essere “serio, congruo ed adeguato” atteso che in passato si sostanziava in somme, di fatto, irrisorie.

Dunque la proprietà privata è sia una libertà (di essere proprietari), che un diritto, ma non assoluto né illimitato. Questo significa che il proprietario di un bene non può fare ciò che vuole con esso, ma deve rispettare le norme che tutelano l’interesse pubblico e quello degli altri privati.

Ad esempio, il proprietario di un’auto deve rispettare le norme ambientali, stradali e fiscali; il proprietario di una casa deve rispettare le norme urbanistiche, edilizie e condominiali; il proprietario di un terreno deve rispettare le norme agrarie, forestali e paesaggistiche. Inoltre, la proprietà privata può essere soggetta a vincoli, servitù, ipoteche o altri diritti reali che ne limitano l’esercizio in favore di altri soggetti.

La proprietà privata è un diritto perché è riconosciuta e protetta dalla legge, che ne garantisce il godimento e la difesa contro eventuali attacchi o turbative. In un ordinamento moderno, come quello italiano, il diritto di proprietà non è più assoluto e inviolabile, esso deve fare i conti con i suoi contenuti, il potere e la libertà: la proprietà infatti è stata vista volta a volta come fonte di potere o come fonte di libertà. Non c’è invero un nucleo della proprietà che sia diverso da queste due posizioni.

Quando l’uomo si misura con i beni materiali, in realtà misura il proprio potere o la propria libertà nei confronti degli altri[12].

Le ricchezze in mano al sapiente servono,
in mano ad uno stolto comandano.
Seneca

  1. Il Partito d’Azione (PdA) è stato un partito politico italiano di centro-sinistra fondato nel 1942.

    Trasse il nome dall’omonimo partito fondato da Giuseppe Mazzini nel 1853 e scioltosi nel 1867, che aveva avuto tra i suoi obiettivi le elezioni a suffragio universale, la libertà di stampa e di pensiero, la responsabilizzazione dei governi nei confronti del popolo. Venne ricostituito il 4 giugno 1942 nell’abitazione romana di Federico Comandini. Ebbe vita breve e si sciolse nel 1947. I suoi membri furono chiamati “azionisti” e il suo organo ufficiale era “L’Italia libera”. Fonte Wikipedia

  2. Il Fronte dell’Uomo Qualunque (UQ) è stato un movimento e, successivamente, un partito politico italiano sorto attorno all’omonimo giornale (L’Uomo qualunque) fondato a Roma nel 1944 dal commediografo e giornalista Guglielmo Giannini, portando avanti istanze liberal-conservatrici, populiste, anticomuniste e legate all’antipolitica, Fonte Wikipedia
  3. Cfr. “Il Padreterno è liberale-Antonio Martino e le idee che non muoiono mai” di Nicola Porro, ed. Piemme Milano 2022, pp.65-66.
  4. Codice Civile – LIBRO TERZO – Della proprietà – Titolo II – Della proprietà – Capo I – Disposizioni generali

    La proprietà si differenzia dagli altri diritti reali, definiti limitati per via delle minori facoltà che concedono: ad esempio, l’usufrutto è un diritto reale limitato perché permette all’usufruttuario solamente di godere del bene, ma non anche di disporne (ad esempio, di venderlo) o di mutarne la destinazione economica. Il proprietario può fare ciò che vuole del proprio bene, potendo finanche distruggerlo.

  5. Codice Civile – LIBRO TERZO – Della proprietà – Titolo I – Dei beni – Capo II – Dei beni appartenenti allo stato, agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici. Art.822 Codice Civile:

    “Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale.

    Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico”.

  6. Cfr. “Articolo 42 Costituzione: spiegazione e commento” di Angelo Greco, 11 Gennaio 2022, in laleggepertutti.it
  7. Art.41 Cost. “L’iniziativa economica privata è libera.

    Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

    La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.”

  8. Cfr. “Interpretazione costituzionale” di Giorgio Berti, II° ed. CEDAM-Padova 1990, pp.456 ess.
  9. Va precisato che l’art. 41 Cost. rappresenta una delle disposizioni che più di tutte ha risentito dell’adesione dell’Italia alle Comunità Europee prima e all’Unione Europea poi, dato che l’economia “mista”, auspicata in origine dal nostro ordinamento costituzionale, si poneva in astratto contrasto con le regole della concorrenza e del libero mercato, tipiche del “liberale” ordinamento comunitario. L’affermazione dello Stato sociale ed il riconoscimento dei suoi principi si è dovuta integrare e rendersi compatibile con la logica dell’economia di mercato, a sua volta proclamata dal costituente.
  10. Sono vigenti, rinnovate nel corso degli anni, norme con agevolazioni e incentivi fiscali, come il “bonus prima casa”: si tratta, come noto, di un forte sconto sulle imposte da versare all’atto del rogito riconosciuto a chi acquista un’abitazione nel Comune di residenza, in presenza di una serie di condizioni stabilite dalla legge. Si pensi ancora alle detrazioni previste sugli interessi passivi del mutuo in caso di acquisto della prima casa. E si pensi, infine, a tutte le garanzie sui prestiti offerte dallo Stato in favore dei più giovani.
  11. Si pensi alla realizzazione di un’autostrada o di una scuola. Si deve comunque trattare di un’opera non altrimenti realizzabile.
  12. Cfr. Berti, op cit, pag.455-456.

 

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