AB QUARTET
Esce “Do Ut Des”, il nuovo disco
di AB Quartet
pubblicato dalla Red&Blue
Da venerdì 21 ottobre 2022 disponibile su tutte le piattaforme di streaming “Do Ut Des”, il nuovo disco di AB Quartet pubblicato dalla Red&Blue
Profondamente ispirato alla musica antica, Do Ut Des è il terzo capitolo discografico firmato AB Quartet, ardimentosa formazione costituita da Francesco Chiapperini (clarinetto e clarinetto basso), Antonio Bonazzo (pianoforte), Cristiano Da Ros (contrabbasso) e Fabrizio Carriero (batteria e percussioni). Il CD consta di sette brani originali scaturiti dalla magmatica vena compositiva del pianista, eccezion fatta per Lente Sed Sine Misericordia e Ut Queant Laxis frutto della fervida creatività del contrabbassista. Su tutte le piattaforme digitali da venerdì 21 ottobre 2022, registrato in studio nel novembre 2021 e pubblicato dall’etichetta Red&Blue, Do Ut Des è un album in solco contemporary jazz che trae ispirazione attraverso l’utilizzo di spunti melodici, espedienti compositivi e metriche dispari, nonché dal richiamo alle atmosfere ancestrali tipiche del canto gregoriano. “Do Ut Des” è un celebre modo di dire latino che, tradotto in gradi della scala temperata secondo la denominazione latino-germanica, può assumere dei connotati motivici: Do Ut Des uguale a Do Do Reb, da cui far nascere sorprendenti e spiazzanti combinazioni sonore particolarmente innovative. Dunque, con questo nuovo lavoro discografico, AB Quartet si prefigge il nobile obiettivo di rappresentare quella formula chiave tramite cui riferirsi per coglierne appieno il senso, corroborando il concetto di rivisitazione della materia musicale con finalità (ri)creative. Il quartetto sintetizza così il mood di questa nuova creatura discografica: «Per il concept del disco siamo partiti dalla musica antica, anche se spesso non sono restati che fugaci accenni del materiale originale. Abbiamo invece lasciato largo spazio alla creazione di una nuova musica, ibrida e di difficile collocazione dal punto di vista stilistico».
Brani
Lux origins / Aetio dicatum / Dies Irae / Lente sed sine misericordia / Do ut des / Ut queant laxis / Beata viscera
Biografia
Animato da uno spirito innovativo e da una spiccata personalità comunicativa, incline all’esplorazione sonora e totalmente libero da gabbie stilistiche coercitive, AB Quartet nasce nel 2009 come progetto di sperimentazione. Dopo un primo periodo con formazioni ogni volta differenti avvicendatesi intorno al leader e pianista Antonio Bonazzo, nel 2015 il quartetto costituisce la Line-Up attuale con Francesco Chiapperini (clarinetto e clarinetto basso), Cristiano Da Ros (contrabbasso) e Fabrizio Carriero (batteria e percussioni), tutti musicisti estremamente interessanti presenti nel panorama jazz underground milanese. I quattro musicisti provengono da esperienze musicali diverse, ma insieme creano un qualcosa di raro, uno stile in cui gli echi di stilemi musicali differenti si amalgamano per osmosi lasciando all’ascoltatore il ricordo di questa musica per giorni. Il progetto AB Quartet riscuote consensi in diverse situazioni concertistiche principalmente in Italia, Svizzera e Francia – e si evolve costantemente perfezionando il suo inconfondibile sound fino al lancio del primo album in studio, intitolato Outsiding, registrato in studio nel luglio 2016 e pubblicato da Soundiva. I brani sono prevalentemente scritti, ma prevedono ampi spazi di improvvisazione sia singola che collettiva. Il risultato, la cui facilità di ascolto nasconde una difficoltà esecutiva non comune, si riassume in un impasto strumentale dalle timbriche insolite caratterizzato da ritmi irregolari e da sviluppi contrappuntistici delle linee melodiche. Nel 2020 la band pubblica il disco I Bemolli sono Blu, un progetto nato nel 2018 in occasione del centenario dalla morte di Claude Debussy e improntato su arrangiamenti di musica del grande compositore francese. I temi originali, quasi fossero standard jazz, vengono trattati con una certa libertà, ma quando anche siano nascosti o solo accennati, riecheggiano comunque inconfondibili le atmosfere di Debussy.
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Intervista
Davide
Ciao Antonio. “Do ut des” segue “Outsiding” e “I bemolli sono blu”, di cui parlammo quasi tre anni fa. In che modo “Do ut des” si richiama alla musica antica e al canto gregoriano? Che tipo di ricerca avete fatto intorno all’antico” e all’ancestrale?
Antonio
“Do ut des” è partito inizialmente dallo studio del repertorio gregoriano sul liber usualis che si usa per la messa in chiesa anche se ammetto di non aver avuto la pazienza di affrontare direttamente la scrittura neumatica sul tetragramma e ho quindi ripiegato su una versione trascritta in notazione moderna. Dalle melodie gregoriane ho tratto diversi spunti melodici molto interessanti che alla fine sono diventati temi o parte di questi all’interno dei pezzi del disco. Poi parallelamente al lavoro sui temi c’è stato quello di riscoperta delle tecniche compositive antiche come il contrappunto, i procedimenti imitativi i madrigalismi e così via. Per ultimo un ripasso del latino per non fare errori nei titoli!
Davide
Nonostante i tanti mutamenti nei secoli nel fare e ascoltare la musica, quale continuità sostanzialmente immutata tra l’antico e l’odierno evidenzieresti in “Do ut des”?
Antonio
In alcuni casi il tema stesso è diventato un topos della letteratura musicale e qui la continuità col passato risulta quasi automatica. Mi riferisco in particolare a “Dies irae”, uno dei temi più ricorrenti nella storia della musica che vive oramai di vita propria. Anche “Beata viscera”, questo canto meraviglioso, a distanza di secoli riesce ad essere assolutamente attuale senza perdere il suo sapore arcaico. Ma in generale in tutto il disco ho cercato di non perdere il contatto con l’antichità e il suo carattere austero. Come ti avevo già accennato per “I bemolli sono blu” non mi interessa un approccio tipo Bach-Loussier, peraltro un lavoro che stimo. Quello che cerco è qualcosa che non è più musica antica e non è più jazz ma in qualche modo ci riporta in entrambi i mondi. Una musica cangiante che ingannando l’ascoltatore lo accompagna in una realtà sonora in cui si mischiano le eco di epoche tra loro lontanissime ma che, paradossalmente, riescono a convivere senza che nessuna sovrasti l’altra.
Davide
I vostri brani sono prevalentemente scritti, ma prevedono ampi spazi di improvvisazione sia singola che collettiva. Prima della solmizzazione di Guido D’Arezzo, Ut queant laxis, Re sonare fibris ecc. e l’invenzone dei neumi, a parte eccezioni come la scrittura musicale mesopotamica o una forma rudimentale di scrittura greca con le lettere, la musica venne per secoli trasmessa oralmente. Che tipo di ricerca o di sperimentazione “Do ut des” ha progettualmente implicato da questo punto di vista, cioè della scrittura o della oralità? Avete assegnato allo spazio improvvisativo una funzione di oralità?
Antonio
Sicuramente l’improvvisazione si richiama alla tradizione orale e anche nel nostro caso riveste una funzione di libertà comunicativa condizionata dal contesto in cui è inserita. I nostri pezzi sono basati su parti obbligate, parti improvvisate e parti aleatorie, che lasciano margini di libertà più o meno ampi agli strumentisti. In generale cerco di scrivere il meno possibile, di lasciare il maggior spazio possibile all’inventiva dei musicisti e proprio perché ci conosciamo così bene posso gestire i margini di libertà della scrittura portandoli al limite senza correre il rischio di perdere la coerenza delle idee musicali.
Davide
“Do ut des”, anche “do do (ut) e des (re bemolle nella notazione tedesca)… Avete usate queste tre note come in un tema BACH, BEBA, CAGE o altri motivi firma o crittogrammi musicali?
Antonio
Si, proprio il brano “Do ut des” è interamente basato sulle tre note DO-DO-REb ogni volta organizzate in una formula ritmica differente. Questo è uno dei pezzi che non provengono da materiale musicale preesistente ma in cui sono stati usati espedienti compositivi tipici del periodo intorno al ‘500. Questa stretta connessione tra musica e testo era tipica del madrigale: il cromatismo in corrispondenza delle parole che esprimono dolore, i melismi per l’acqua fino ad esempi al limite del grottesco come gli occhi rappresentati dalle note da un intero (bianche, grosse e senza gamba) in “Occhi dolci e soavi” di Marenzio.
Davide
Ma “do ut des” è anche la locuzione latina “dò a te affinché tu dia a me”. Che tipo di scambio ideale ricercate tra voi artefici e l’ascoltatore?
Antonio
Si tratta di un rapporto di mutuo scambio in virtù del quale questo titolo risulta alquanto calzante. Ma rappresenta anche la legittimazione di rivisitare la materia musicale con finalità ri-creative, di giustificare cioè esteticamente l’appropriarsi di invenzioni altrui per farne alimento di alcune delle proprie. “DO UT DES” ovvero “Ecco a voi le nostre invenzioni musicali. Ve le doniamo a patto che possiate in futuro esprimerci la vostra gratitudine, omaggiando con le vostre ri-creazioni la memoria dell’imperitura spectabilitas et suavitas della nostra ars”.
Davide
Il vostro disco mi ha piacevolmente colpito per la eccellente qualità delle composizioni (e ovviamente anche degli arrangiamenti e delle esecuzioni), che risultano gradevoli fin dal primo ascolto ma, a un orecchio attento, anche di una certa complessità. Come avete gestito questo riuscito equilibrio tra semplicità e complessità?
Antonio
In effetti la concezione musicale dei nostri pezzi è piuttosto complessa ma cerco sempre di nascondere questa complessità all’interno di un ascolto il più possibile gradevole. Del resto penso che il livello più profondo della musica, quello della sua costruzione, sia un problema che non deve riguardare chi semplicemente ascolta e legittimamente si ferma a questo primo livello di approccio. La complessità compositiva non deve essere d’intralcio al fluire della musica che ha come fine ultimo quello di essere ascoltata senza che sia necessario analizzarla o spiegarla. Per farti un esempio lo special di “Lux originis” è un canone a cinque voci ma questo non rende il discorso musicale meno fluido nonostante il tipo di scrittura sia abbastanza complesso. In questo ho sempre presente la scrittura di Mozart. Non è sicuramente uno dei miei autori preferiti ma resto sempre sorpreso da come riesca a veicolare una tale complessità di scrittura nella sua musica dall’invidiabile leggerezza.
Davide
Il jazz, se è vero quel che disse Dave Brubeck al riguardo, è sinonimo di libertà. Libertà non solo di improvvisare, ma anche di attingere a qualunque genere musicale? In che modo avete attinto anche ad altra musica non solo e strettamente “jazz”?
Antonio
Ho sempre pensato che il linguaggio sia un mezzo e non il fine stesso della musica. In tal senso non mi sono mai fatto problemi ad attingere da qualunque genere musicale senza preclusioni. Per esempio la parte della batteria di “Dies irae” prende le mosse dalla musica elettronica, in particolare dalla trap. Secondo me qualunque linguaggio può essere calato in un nuovo ambiente e trasfigurato così da dare vita a qualcosa di nuovo senza mai strappare quel filo sottile che, rifacendosi a qualcosa di già noto, lo rende comprensibile.
Davide
Dopo la scrittura dell’autore principale, come si sviluppa un pezzo successivamente in quartetto? Che spazio ha ogni musicista dello AB Quartet di scrivere o riscrivere e integrare la propria parte? Come avviene, insomma, il processo di elaborazione condiviso?
Antonio
Normalmente cominciamo con la lettura delle parti che sono abbastanza dettagliate e ognuno propone al compositore cambiamenti della propria. È molto raro che una parte vada rifatta completamente, di solito sono piccoli aggiustamenti di passaggi troppo scomodi ma in ogni caso è il compositore che riscrive la parte sulla base dei suggerimenti del singolo strumentista. Più frequenti sono invece i cambiamenti delle strutture e quelli di solito li decidiamo a livello di gruppo. Per quanto riguarda le parti improvvisate invece massima libertà.
Davide
L’album è stato registrato a Biella da Piergiorgio Miotto a ottobre del 2021. Esce dunque ora, un anno dopo, per un qualche motivo in particolare?
Antonio
Quando abbiamo registrato pensavo di uscire nel giro di pochi mesi. Poi c’è stato un nuovo picco della pandemia, abbiamo cambiato etichetta, abbiamo cambiato il regista e con lui l’intera idea del videoclip. A quel punto era fine giugno che non è il massimo per uscire con un disco quindi siamo finiti ad ottobre.
Davide
Quando si fa musica per un quartetto e una strumentazione ben definita (nel vostro caso pianoforte, clarinetto e clarinetto basso, contrabbasso, batteria e percussioni), in che modo viene esclusa l’idea di usare altri strumenti e relative sonorità, e come viene anzi usato questo limite in risorsa per gli strumenti a disposizione?
Antonio
Io ho bisogno di trovarmi bene con le persone prima che con gli strumenti. La scelta di non cambiare organico da un progetto all’altro è dovuta a questo aspetto in massima parte. Inoltre mi piace scavare alla ricerca di nuove soluzioni sempre con gli stessi strumenti, trovo questo aspetto molto stimolante oltre al fatto che dopo anni di lavoro insieme conosco molto bene il mio quartetto e mi trovo molto a mio agio a scrivere per questa formazione con questi strumentisti.
Davide
“Per me la musica è il colore. Non il dipinto. La mia musica mi permette di dipingere me stesso”, ha detto Bowie. Cos’è per voi la musica e cosa vi permette di rappresentare?
Antonio
Per noi la musica è una necessità, una specie di droga. È il linguaggio con cui più facilmente ci relazioniamo al resto del mondo.
Davide
Cosa seguirà?
Antonio
Stiamo mettendo le basi per un nuovo lavoro in collaborazione con un progetto vocale ma al momento non ho ancora le idee molto chiare sull’impronta che vorrei dare a questo nuovo progetto.
Davide
Grazie e à suivre…