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Divorzio…(breve)

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Il divorzio ha la stessa età del matrimonio,
forse il matrimonio ha qualche settimana in più.
Voltaire

Il legislatore italiano non usa mai, nei testi delle norme, il termine “divorzio[1]“: per definire lo strumento giuridico che decreta la fine di un matrimonio, si preferisce parlare di “scioglimento del matrimonio”, per quello celebrato solo civilmente davanti al Sindaco/Ufficiale stato civile, oppure di “cessazione gli effetti civili del matrimonio” (c.d. “concordatario”), per quello che, sulla base di specifici e formali accordi tra lo Stato Italiano e la Santa Sede, essendosi celebrato in Chiesa, è stato trascritto nei registri dello stato civile, e può spiegare anche ordinari effetti civili[2].

Il Codice Civile del 1942 non conosceva lo “scioglimento” (permanente) del matrimonio, ma si deve attribuire all’abilità dei codificatori, valenti giuristi di stampo liberale[3], l’introduzione di una “separazione” dal funzionamento molto simile allo “scioglimento”, nel caso uno dei coniugi abbandonasse la causa dopo la prima ordinanza di separazione del Giudice, che a questo punto valeva per sempre[4]. Questa forma di separazione personale, cosiddetta “legale”, prevede due forme: la separazione “giudiziale”, pronunciata dal Tribunale su istanza di uno o entrambi i coniugi, qualora vi sia disaccordo sulle condizioni regolanti i rapporti patrimoniali, e soprattutto sui rapporti con i figli[5], e la separazione “consensuale” la quale presuppone l’accordo tra i coniugi, che prevedono e regolamentano reciprocamente le condizioni di separazione, a loro volta sottoposte ad omologazione del Tribunale (altrimenti si configurerebbe una semplice separazione di fatto, priva di valore legale).

L’unica forma di cessazione definitiva del matrimonio era quella, ancora oggi, riconosciuta dall’art.149, I comma, c.c. per cui: “Il matrimonio si scioglie con la morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge”, così come continua il II comma “Gli effetti civili del matrimonio celebrato con rito religioso, ai sensi dell’articolo 82 o dell’articolo 83 (rispettivamente di culto cattolico e di culti ammessi dallo Stato n.d.r.), e regolarmente trascritto, cessano alla morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge”, norme che costituiscono semplici enunciazioni di principi generali, ma che restano aperte alle evoluzioni della normativa ordinaria[6].

Finalmente, dopo un dibattito sviluppatosi per anni in Italia nel secondo dopoguerra, una vera e propria rivoluzione culturale e giuridica avvenne con l’introduzione della Legge n.898 del 1/12/1970, rubricata “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio[7]. Mancando l’unanimità nell’approvazione della legge ed anzi essendo contrario l’allora partito di maggioranza relativa la Democrazia Cristiana, negli anni seguenti si organizzò un movimento politico, sostenuto anche dai partiti politici contrari all’introduzione della legge, che promosse un referendum abrogativo, nell’intento di cancellare la legge[8]. Il 12 maggio 1974 si tenne la consultazione popolare: partecipò al voto l’87,7% degli aventi diritto, votarono no il 59,3%, mentre i sì furono il 40,7%: la legge sul divorzio rimase in vigore[9].

L’istituto giuridico del divorzio è capace di far cessare gli effetti giuridici del matrimonio con effetti ex nunc (da ora), ossia solo a partire dal momento in cui viene pronunciata la relativa sentenza. La sentenza pronunciata dal Giudice, ex artt. 1 e 2 della l. n. 898/1970, accerta la

  • “cessazione della convivenza” e dell’affectio maritalis (la “comunione materiale e spirituale” fra i coniugi, prima condizione di natura soggettiva[10]),
  • l’impossibilità di mantenere o ricostituire l’unione familiare, per l’esistenza di una delle cause tassativamente previste dal successivo art. 3 della legge (seconda condizione di natura oggettiva).

Il legislatore italiano, in particolare, ha compiuto una scelta unica in Europa: far precedere lo scioglimento da una fase di “separazione”, una sorta di anticamera, periodo di intervallo, cui affidare un eventuale ripensamento dei coniugi, la cui durata (originariamente di 5 anni), è stata gradualmente ridotta da due diversi interventi legislativi: la legge n. 74/1987 ha stabilito la durata del periodo di separazione da cinque a tre anni[11]. Infine, la recente legge n. 55/2015 ha ridotto ulteriormente i tempi, permettendo il divorzio dopo un anno di separazione giudiziale e dopo sei mesi di separazione consensuale, tanto da far parlare di “divorzio breve[12]” (il termine viene calcolato dal giorno in cui i coniugi compaiono davanti al Presidente del Tribunale competente[13] il quale deve sentirli, dopo la presentazione del ricorso per ottenere il divorzio, e tentare una riconciliazione, art.4, comma 7, L.898/1970)[14].

La circostanza della separazione personale, protratta per il tempo stabilito dalla legge, è, di fatto, la più ricorrente causa (oggettiva) che può portare alla pronuncia di divorzio prevista dal richiamato art.3, n.2, lett.B della Legge sul divorzio[15].

Le altre sono:

  • La condanna dell’altro coniuge, con sentenza passata in giudicato, intervenuta dopo il matrimonio ad alcune pene come, ad esempio, l’ergastolo oppure una pena detentiva di durata superiore a 15 anni, ovvero la condanna per alcuni delitti contro la famiglia o contro la moralità pubblica e il buon costume;
  • il fatto dell’altro coniuge, cittadino straniero, che abbia contratto all’estero un nuovo matrimonio oppure abbia ottenuto (sempre all’estero) l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio;
  • il fatto che il matrimonio non sia stato consumato;
  • il fatto che sia stato dichiarato giudizialmente il mutamento di sesso di uno dei coniugi.

La recente riforma legislativa sul c.d. “divorzio breve” ha avuto la ratio di snellire ulteriormente le tempistiche dell’iter per ottenere lo “scioglimento del matrimonio civile” o la “cessazione degli effetti civili di quello religioso”. Il nuovo testo, infatti, pur accantonando l’ipotesi inizialmente prevista del “divorzio diretto” (orientato a superare la c.d. procedura “a doppio binario” che prevede la “separazione” quale passaggio d’obbligo per giungere al divorzio), ha, ridotto sensibilmente i tempi necessari per la proposizione della domanda di divorzio[16].

La riforma ha inciso anche sotto il profilo patrimoniale, disponendo, con il nuovo secondo comma dell’art. 191 Codice Civile, che lo “scioglimento della comunione dei beni” tra coniugi avvenga nel momento in cui gli stessi siano autorizzati dal Presidente del Tribunale a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del verbale di separazione consensuale, purché omologato (art.2 L.6/5/2015, n.55)[17].

Nel primo anno di applicazione della legge, il 1971 i divorzi furono 17.134, raddoppiarono l’anno dopo (31.717), si assestarono nel ‘73 (21.272), calarono l’anno dopo (14.087). A dieci anni dall’introduzione, nel 1981, se ne contarono ancora meno: 12.608. Il dato esplode alla fine degli anni ‘80: nel 1991 i divorzi sono 27.350, nel 2001 arrivano a 40.051, nel 2011 a 53.806. Secondo l’Istat, tra il 1991 e il 2018 si è assistito a un vero e proprio boom dei divorzi in Italia. Basti pensare che nel 1991 i divorziati erano 375.569 ma, nel giro di un quarto di secolo, sono lievitati superando quota 1,6 milioni (1.671.534 persone)[18]. Per capire cosa hanno comportato 50 anni di legge sul divorzio in Italia dobbiamo affidarci ai dati dell’Istat, interpretati alla luce della novità normativa sul divorzio breve del 2015. Rispetto agli altri Paesi europei, in Italia si divorzia meno: il dato italiano è di 1,53 ogni mille abitanti (media del 2016, 2017 e 2018): decisamente meno del valore medio Ue di 1,9. Nel nostro Paese il tasso di divorzio è balzato da 0,9 a 1,4 solo nel 2015 con l’approvazione del “divorzio breve”. Ma se siamo tra i Paesi con meno divorzi per abitante, dato che in Italia i matrimoni sono in calo, siamo tra i primi cinque Paesi nella Ue per divorzi per numero di matrimoni, ben 47,9 (dopo Paesi Bassi, Finlandia, Repubblica Ceca e Danimarca).

Questo significa che in Italia l’instabilità coniugale è in costante crescita, in conseguenza delle importanti trasformazioni socio-demografiche che hanno riguardato la formazione e lo scioglimento delle unioni. Tuttavia, rispetto ad altri contesti, il nostro Paese si caratterizza per un’incidenza più contenuta di separazioni e divorzi e per una prevalenza delle prime rispetto ai secondi. Tradizionalmente si è osservato, infatti, che una volta separati legalmente i coniugi non sempre procedono con lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio che si ottiene solo con la sentenza di divorzio. La legge sul “divorzio breve” ha, quindi, in un primo momento, comportato una crescita che ha riguardato soprattutto i divorzi consensuali.

A partire dal 2017, invece, si è osservata una diminuzione del numero di divorzi, potendosi dedurre che l’effetto congiunturale della legge n.55/2015 stia progressivamente riducendosi.

La causa principale dei divorzi è il matrimonio.
Boris Makaresko

[1] dal latino divortium, da di-vertere, “separarsi”)

[2] V. Kultunderground n.120-GIUGNO 2005: “Status Civitatis Vaticanæ (Stato Città del Vaticano)” di Alberto Monari, rubrica Diritto.

[3] Alla redazione del Codice Civile del 1942 lavorarono personalità quali Dino Grandi (al tempo Ministro Guardasigilli), Nicola Coco, Giuseppe Osti, Piero Calamandrei.

[4] Codice Civile – LIBRO PRIMO – Delle persone e della famiglia – Titolo VI – Del matrimonio – Capo V – Dello scioglimento del matrimonio e della separazione dei coniugi – Articolo 150:
“È ammessa la separazione personale dei coniugi.
La separazione può essere giudiziale o consensuale.
Il diritto di chiedere la separazione giudiziale o la omologazione di quella consensuale spetta esclusivamente ai coniugi.”

[5] La “giudiziale” è quella separazione tra i coniugi stabilita con sentenza, quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione dei figli. Il Giudice può addebitare la separazione ad uno dei coniugi, se è venuto meno a uno dei doveri nascenti dal matrimonio

[6] Nell’ordinamento canonico non è ammessa alcuna forma di scioglimento del matrimonio, eccetto la morte di uno dei due coniugi e a meno che non intervenga una sentenza di annullamento dell’atto matrimoniale pronunciata da un Tribunale ecclesiastico competente, unico atto idoneo a far venir meno gli effetti del matrimonio ex tunc (da allora), ossia fin dalla celebrazione.

[7] Pubblicata nella Gazz. Uff. 3 dicembre 1970, n. 306, entrata in vigore il 18 dicembre 1970 (cosiddetta Legge Fortuna-Baslini), risultato della combinazione del progetto di legge di Loris Fortuna (Partito Socialista Italiano), con quello presentato dal deputato liberale Antonio Baslini.

[8] Oltre alla Democrazia Cristiana, contrari alla legge erano anche Movimento Sociale Italiano, Südtiroler Volkspartei e i monarchici del Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica.

[9] In Parlamento i voti favorevoli alla legge erano stati quelli del Partito Socialista Italiano (PSI), del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP), del Partito Comunista Italiano (PCI), del Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI), del Partito Repubblicano Italiano (PRI) e del Partito Liberale Italiano (PLI). Ruolo importante ebbe anche il movimento dei Radicali di Marco Pannella. Fonte Wikipedia.

[10] Assenza di stabile convivenza, di un’organizzazione domestica comune, di reciproco aiuto personale e assenza di rapporti sessuali. Secondo costante giurisprudenza, l’elemento dell’irrimediabilità della crisi coniugale deve essere desunto da circostanze oggettive, quali, ad esempio, un’accesa e persistente litigiosità fra i due coniugi, la mancata comparizione di almeno uno di loro al tentativo di conciliazione davanti al Giudice o la lunga durata della separazione già intervenuta.
Fonte: Le cause e i controlli del Giudice https://www.studiocataldi.it.

[11] L. 6 marzo 1987 n. 74 “Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio”.
Pubblicata nella Gazz. Uff. 11 marzo 1987, n. 58.

[12] L. 6 maggio 2015, n. 55 “Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi”.
Pubblicata nella Gazz. Uff. 11 maggio 2015, n. 107.

[13] Tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio. Art.4 I comma L.898/1970.

[14] Art.4, c.7. “I coniugi devono comparire davanti al presidente del tribunale personalmente, salvo gravi e comprovati motivi, e con l’assistenza di un difensore. Se il ricorrente non si presenta o rinuncia, la domanda non ha effetto. Se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente puo’ fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata. All’udienza di comparizione, il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente poi congiuntamente, tentando di conciliarli. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione.”

[15] Con la separazione si sospendono gli obblighi connessi al matrimonio e si concede alla coppia un tempo per capire se effettivamente è il caso di divorziare. Con la separazione cessa il dovere di fedeltà, di convivenza e di sostegno morale, ma, resta comunque l’obbligo del sostegno materiale da parte del coniuge più “forte” – economicamente parlando – al coniuge più “debole”. Tale assegno non è dovuto se il coniuge “debole” è responsabile della separazione per essere venuto meno ad uno degli obblighi del matrimonio.

[16] Nei casi di separazione consensuale, anche quando il giudizio da contenzioso si sia trasformato in consensuale, basteranno ugualmente sei mesi per presentare la relativa domanda di scioglimento del matrimonio.

[17] Ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione sull’atto di matrimonio, l’ordinanza con la quale il Giudice autorizza i coniugi a vivere separatamente, è comunicata all’ufficiale dello stato civile.

[18] Cfr. “ La legge sul divorzio in Italia ha 50 anni” di Antonella Baccaro, in https://www.corriere.it/cronache/

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