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Intervista con Marco Colonna

8 min read

FILI
a Maria Lai

Marco Colonna: clarinetto basso, clarinetto, loop.
Marco Colonna torna con un nuovo album in cui esplora le varie potenzialità del clarinetto basso, strumento che ha scelto da alcuni anni per portare avanti la propria ricerca e diventato marchio di fabbrica dei suoi set solisti.
In questo caso, abbandona la dimensione puramente acustica per contaminare il proprio suono con una loop station ed effetti che però non vanno a snaturare le sue composizioni.
“In “Fili” ho cercato di esplorare le possibilità combinatorie di vari elementi stilistici, ed ho provato a rendere la mia esplorazione delle caratteristiche timbriche e sonore dei clarinetti, base di un approccio orchestrale. L’intervento di un alter ego elettronico è limitato a semplici interventi di sovraincisione e ritardo, per quanto comprenda che le nuove istanze della musica tendano sempre più verso un suono “sintetico” la mia sfera di competenza è sempre il suono acustico e la sua manipolazione, trasformazione e identità. Per cui in questo lavoro le tecniche estese sono elementi strutturali e ritmici di un percorso in cui lo svuotamento di un approccio virtuosistico in favore di una più alta consapevolezza compositiva è l’essenza dell’omaggio a Maria Lai, la cui poetica e visione artistica sono linfa per questo materiale, pensato e composto, prima che suonato e reso vivo. Omaggiando un’artista, ma in definitiva l’arte come strumento di immaginazione.”  Marco Colonna
Tracklist: 1. Maria Pietra / 2. Fili / 3. SOS Berbos / 4. A Matita / 5. Farina e Pianto/ 6. Pane / 7. Pietra / 8. Janas
Un percorso personale ed uno stile unico hanno portato Marco Colonna a diventare uno tra i più interessanti musicisti della sua generazione. Dal 2015 il suo nome ha iniziato a comparire nelle classifiche di fine anno dei media, nominato come uno tra i migliori suonatori di strumenti a fiato d’Italia e, non da meno, dal 2017 appare nella top ten dei migliori musicisti jazz italiani. Nel 2019 è al terzo posto, dietro nomi storici come Enrico Rava e Franco D’Andrea.
Nato a Roma nel 1978, è attivo come polistrumentista, compositore, improvvisatore e scrittore ma in anni più recenti ha scelto di dedicarsi al clarinetto basso per esplorare tutte le sfumature di questo strumento a cui associa il clarinetto suonato contemporaneamente. Soluzione che crea effetti armonici e timbrici inauditi. Marco Colonna si è unito alla formazione Eternal Love di Roberto Ottaviano registrando un album con Zeno De Rossi, Giovanni Maier e Alexander Hawkins, pubblicato dall’etichetta Dodici Lune. Il gruppo ha ricevuto ottimi apprezzamenti dalla critica ed è stato in primo piano in diverse classifiche di fine anno sia come album sia come ensemble. Ha preso parte a Unit di Stefano Giust e Evan Parker, un concerto e un album con la partecipazione di Alberto Novello, Giorgio Pacorig, Martin Mayes, Patrizia Oliva e Michele Anelli, pubblicato dall’etichetta Setola di Maiale. Nel settembre 2019 ha tenuto un concerto in solo presso la Basilica di San Gaudenzio di Novara durante la manifestazione European Jazz Conference, seguito da un tour in Africa.

Link a set solista per European Jazz Conference 2019 – Basilica Di San Gaudenzio – Novara:
 https://www.youtube.com/watch?v=rVp96Nkro4w&feature=youtu.be 

linkhttps://marcocolonnamusic.com/ 

www.niafunken.com 

Intervista

Davide

Ciao Marco. Cominciamo dallo strumento musicale al centro di questo lavoro: il clarinetto basso. Cosa ti ha spinto verso la sua sonorità, così come allo stesso clarinetto, rispetto ad altri strumenti?

Marco

Una storia lunga, cominciata 35 anni fa… A oggi il tratto decisivo è che sento che la “mia” voce sia insindacabilmente legata a questo bellissimo strumento. Dopo averne frequentati veramente molti fra sassofoni e flauti vari.

Davide

Il clarinetto è uno degli strumenti più antichi, non nella sua attuale forma, ma nei suoi predecessori che adottano il principio dell’ancia semplice, come il memet egizio, le launeddas su fino allo chalumeau o salmoè. Spesso tu ricavi dal clarinetto anche suoni primordiali che ricordano il didgeridoo oppure percussioni primitive come le talking drums o lo udu. Quali legami hai attraverso la musica di più remote origini e per farne quale tuo discorso contemporaneo; quale suggestione?

Marco

Mi fa piacere sentire questo. La storia del clarinetto affonda le sue radici nelle culture primigenie del Mediterraneo e attraverso questa riflessione che molto del mio lavoro si sviluppa. Ha avuto uno sviluppo legato alla musica classica, ma in una sua storia relativamente recente. È tratto sonoro di molteplici espressioni tradizionali e folkloriche e capace di essere “voce” in maniera intima e anche deflagrante. Ho frequentato molte di quelle espressioni (dal medio-oriente ai balcani, passando per la tarantella di Montemarano…) e anche quelle più classiche (in primis la contemporanea) e passo la mia vita a sintetizzare i mondi. Che poi è una sintesi che va ben oltre il lavoro strumentale.

Davide

In questo lavoro hai esplorato dunque diverse possibilità e sonorità dello strumento; come si intersecano i fili della ricerca e quelli del processo creativo più spontaneo nel tessuto compositivo di questo lavoro? Qual è per te il senso di compiutezza della linea musicale e come questa si pone rispetto al suono? O il viceversa…

Marco

Questo lavoro ha previsto la realizzazione di tavole grafiche, vere e proprie partiture fatte di segni, selezione di materiali, tracce di testo, evocazioni visive. Uno dei tanti modi per definire lo “spazio” semantico di un’opera. Cerco di darmi una direzione forte quando realizzo un’opera. Cerco di pensare la musica come veicolo di narrazione e senso. Simbolicamente e all’interno del processo di realizzazione. Rivendico il diritto ed il dovere di essere responsabile dei processi interni che portano ad una forma. E che, per ovvia traslazione, indagano il senso nel suo profondo.

Davide

Hai usato sistemi seriali o modali?

Marco

Non sono molto affascinato dalle serie. Sono molto più interessato agli intervalli e a sistemi ibridi. Sono allergico alla definizione di uno spazio chiuso. Ogni volta che ci provo trovo che all’esterno si trovino soluzioni ben più incisive. E nel contrasto fra le varie possibilità che trovo stimolo. Quanta potenza da una pentatonica minore posta come specchio di un processo di interpolazione intervallare cromatico! I materiali scelti sono sempre definitivi (nel senso che definiscono) della narrazione. Il mondo pentatonico è un mondo “naturale”, fisico quasi, di comunicazione. Quello cromatico più culturale e intellettuale. Ennesimo tentativo di sintesi fra mondi diversi immagino…

Davide

Hai avuto e hai tuttora dei riferimenti in alcuni compositori di cui stai portando avanti un pensiero, una didattica, una poetica e, insomma, degli intenti espressivo-contenutistici?

Marco

Mi interessano sempre di più gli intenti espressivo-contenutistici. Non ho una scuola di riferimento (se è quello di cui si sta parlando), ma nel tempo ho incontrato musicisti che hanno aperto porte verso direzioni semantico-formali molto importanti per me. Citando a braccio: Stravinsky, Coltrane, Fred Ho, John Carter, Roland Kirk, Rage Against The Machine, Giorgio Colombo Taccani, Donatoni… (e la lista non si può esaurire in poco spazio)

Davide

Hai dedicato questo lavoro a Maria Lai, suppongo l’artista che per prima ha realizzato un’opera di Arte Relazionale di importanza internazionale. Perché? In cosa ti è stata di stimolo la sua arte per questo tuo disco?

Marco

Supponi bene. L’incontro con l’opera di Maria Lai è stato deflagrante per me. Riconoscere lo spirito indomito della ricerca attraverso materiali poveri, quotidiani. quel suo interrogarsi sul perchè e sul come fare dell’arte uno strumento, un grimaldello da poter usare per comprendere il Mondo. Il suo essere parte di una storia millenaria, ed il suo essere appartata ma potentissima. Tutto ha stimolato in me questo lavoro.

Davide

Isabel Allende scriveva che la vita è un arazzo e si ricama giorno dopo giorno con fili di molti colori, alcuni grossi e scuri, altri sottili e luminosi, tutti i fili servono. Cosa soni i “Fili” del titolo?

Marco

I fili del titolo sono un rimando ai materiali dei libri di Maria Lai. Le parole che ancora dobbiamo inventare per descriverci, i nomi che dobbiamo dare alle cose che non conosciamo, e sono il legame con la comunità, con il sentire “umano”. Sono la trama del nostro vivere e lo strumento principale per tenere insieme l’arte alla vita, la poesia alla storia, la vita con la morte.

Davide

Scorrendo i soli titoli di ogni singola traccia, che racconto ne faresti partendo da “Maria Pietra” fino alla conclusiva “Janas”?

Marco

“Maria Pietra” è una figura simbolica, madre che rischia e affronta la divinità per curare il proprio figlio, pronta ad un estremo sacrificio per ottenere la pace per questo. Personaggio di uno dei racconti più toccanti di “Miele Amaro” di Salvatore Cambosu rappresenta una presenza totemica dell’opera di Maria Lai. Da questo totem si dipanano i “Fili” che tessono trame, percorrono le differenze, tenendole insieme ma rispettando le loro identità. I “Sos Verbos” sono le formule magiche, impronunciabili, della tradizione sarda. Formule per curare, per fare male, per capire i segreti di un Mondo sconosciuto. “A Matita” è un modo di prendere appunti, per selezionare da ciò che vediamo qualcosa che ci colpisce, che trasforma la percezione del momento, che ne fa qualcosa che rimarrà dentro di noi e che non può essere obliato.

“Farina e Pianto” sono gli ingredienti del pane che impasta Maria Pietra a cui dà vita attravero le formule magiche per intrattenere il figlio malato. Ma sono anche gli ingredienti dell’arte per Maria Lai. La trasposizione è continua ed il simbolico è perennemente in relazione al narrativo.

“Pane” è il frutto della combinazione, il miracolo dell’opera finita, che mantiene una funzione necessaria come alimento insostituibile e come sintesi perfetta fra “natura”, “lavoro” e “ingegno”, di per sé una forma di opera artistica che si ripete nelle nostre case custodita dalle mani sapienti di chi sa panificare. Contraltare perfetto a Pane è “Pietra” materia primigenia, antica e immobile. Ma anche custode di memorie più antiche di noi, e qui l’omaggio si estende ad un altro artista sardo che ho avuto il privilegio di conoscere : Pinuccio Sciola. “Janas” è un omaggio alla magia, alla scoperta, al senso del mistero a cui non possiamo sottrarci se vogliamo mantenere forte la capacità di immaginare, vero e proprio processo di creazione artistica proprio di ogni essere umano.

Davide

Cosa c’è della Sardegna in questo tuo lavoro e in generale nella tua musica?

Marco

Immagino che dalla risposta precedente si capisca. La Sardegna per me è una seconda casa. Sia fisica che ideale. Ho scoperto molto delle mie radici sull’isola, delle mie radici di uomo del Mediterraneo, di umano in relazione alla natura, di nodo fra fili di energie misteriose.

Davide

Cosa seguirà?

Marco

La ricerca. La narrazione ed il senso. 

Davide

Grazie e à suivre…

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