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Canti in Carnia – Gianni Moroldo

4 min read

Samuele Editore

Poesia

Pagg. 79

ISBN 9788894944068

Prezzo Euro 12,00

Elegia carnica

Di cosa potrebbe scrivere, sia pure in versi, un ottuagenario? Del presente che ogni giorno che passa scandisce inesorabile l’approssimarsi dell’ultimo, in una società che diventa per lui sempre più incomprensibile? Del futuro, di cui consapevolmente non tiene conto, anzi cerca di non pensarvi? E allora non rimane che il passato, l’unico che dia la certezza di aver vissuto, e nel passato inevitabilmente si privilegia l’età più bella, mitizzandola, perché la giovinezza, arrivati a una certa età, sembra lo specchio di un modo perfetto, quel mondo che abbiamo sempre sognato e che oggi ci sfugge di mano.

E’ certamente di un’epoca diversa ciò che nel raccontare, poetando, rappresenta per noi l’esperienza irripetibile della nostra esistenza e i versi di Gianni Moroldo riescono perfettamente a fissare il ricordo, prima ancora per l’autore che per i lettori, una memoria conservata prima gelosamente e che ora viene riesumata come antidoto alla malinconia dell’età (  Vorrei. / Come vorrei lanciarmi senza respiro / lungo il ripido pendio d’un prato / appena rinverdito,/ camminare fischiettando una villotta / gli occhi a un nastro di cielo / che sbircia a nascondino tra le case, / di un nulla ridere nell’acqua / scherzando con gli amici, / rotolarsi sulla linea di sabbia del fiume / e tuffarsi nell’onda veloce / tagliando la pozza fonda di un vortice / e vivere pienamente nel presente /

senza alcun pensiero molesto / per la vita o il domani. /….). E tutto riemerge il trascorso, le immagini di un paese in cui la vita scorreva quieta, e con esse la sua gente che non c’è più, che prima di noi si è accomiatata dal mondo; comprendo bene lo stato d’animo di Moroldo, perché anch’io sono in quell’età in cui così male si rammenta il da poco accaduto e in cui invece così bene si ricorda quanto avvenuto in un lontano passato; possono cambiare i luoghi, possono essere diverse le persone che abbiamo conosciuto, ma quella riesumazione equivale quasi a una rinascita di noi stessi, è lo strumento non solo necessario, ma addirittura indispensabile per poter andare avanti.  E per non smentire ciò che è stato, tutto si fa più bello e la memoria nei versi si tramuta quasi in elegia (... verso Carnia s’alzano i monti contro un cielo / che l’ora riveste di veli /tra l’arancio e il croco. / Con dolcezza lentamente incupiscono / bruno-rosati e viola / mentre gli ultimi raggi, rallentando, accarezzano profili che ci illudiamo / eterni. /…). Moroldo riesce così a dipingere a parole un tramonto nella sua terra, con pennellate tenui e con colori altrettanto delicati che coglie dalla tavolozza conservata nella sua anima. Sono sincero quando dico che probabilmente questa silloge incontra i miei favori anche perché, a parte una certa comunanza di età, sono temi, immagini che pure io tendo a mettere in versi. Non intendo tuttavia paragonarmi a un uomo che, prima ancora che poeta, denota un’accentuata sensibilità, quello che lo porta a vedere il placido fluire delle acque del suo fiume, oppure quello che accosta le stagioni passate alle attuali, entrambe vissute sotto l’aspetto delle sensazioni, di ciò che si avverte nel proprio intimo e che solo in parte altrimenti riverbera al di fuori. E poi vi è da considerare che ci troviamo di fronte a dei Canti, cioè a poesie che per loro natura presentano una particolare musicalità, a cui si perviene solo con un attento studio della struttura, il cui equilibrio in ogni parte, in ogni verso è essenziale. Non sono comunque solo il trascorso e la sua memoria a rappresentare particolare interesse per l’autore, ma vi è anche un amore viscerale per la sua terra, visto sia nelle sfaccettature della natura ivi presente, sia nelle testimonianze operose degli uomini, come i borghi, i paesi (Ciò che senza lacrime ancora piange / come tristezza ben nota ai miei giorni / è un canto lontano di mio padre / che viene rincasando nell’ultimo ritorno:/ messaggio di un dolore per anni soffocato / giunge ora al cuore inatteso e pur gradito / sulle nubi leggere o cupe di questa sera / col calore mai obliato di un abbraccio / dai borghi amati del mio tempo passato.). Tutto questo però non basta, perché Moroldo deve aprire al mondo tutto ciò che intende dire, perché sa che il tempo corre e il futuro diventa ogni giorno più incerto. Forse è suggestionato da leggende, forse egli stesso inconsapevolmente vuole essere leggenda e allora pare di udire i suoni melodiosi e arcani dell’Arpa celtica (E’ strano, la nebbia oggi è qui, / ma già si scioglie e sale / mentre ci avvolge leggera / e subito svanisce / dalle cime delle mie betulle. / Ora già lumeggiano in oro pallido / trasparenti / le foglie più alte. / ….). E per finire un’amara riflessione sull’oggi (Fuggono nel gran mare dei ricordi / emozioni e pensieri di questo tempo / che segna ormai di ruggine rossastra / le ore tarde della mia vita. / E pure tardivi, nella bassa vallata, / risuonano gli striduli suoni / d’uno stormo in ritardo, qui / mi restano compagni / ultimi progetti, piccole attese. / Salgono intanto le ombre della mia sera. / Quale mai vita è senza rimpianti? / E tuttavia per nulla è sterile lamento, / solo un canto di leggera / forse un po’ patetica elegia.). No, non è un po’ patetica elegia, è un rimpianto sussurrato che scende dritto fino al cuore.

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