Buongiorno Giancarlo, è un piacere ospitarti sulle nostre pagine. Presentati brevemente ai nostri lettori.
Salve, mi chiamo Giancarlo Ghezzani, sono di Livorno, classe 2000, e al momento studio economia e management all’università di Pisa. Sebbene i miei studi non lo suggeriscano (e consentano) più di tanto, mi sono dedicato in tempi recenti alla scrittura di ambito saggistico-riflessionistico per quanto concerne il mondo dell’etica e della natura umana, che sono temi che da sempre mi affascinano.
Tu hai da poco esordito su Il Foglio Letterario con una rubrica dal titolo Largo all’Uroboro. Ti va di spiegarci il perché di questo titolo e qual è l’impostazione che hai assegnato a questo spazio?
L’Uroboro incarna molteplici significati e nel tempo, in un modo o nell’altro ho sempre avuto modo di scorgerli in diversi momenti della vita. Ovviamente la scelta di usarlo come titolo non è puramente autoreferenziale ed estetica. L’imprinting che ho deciso di dare a questa rubrica è funzione del significato intrinseco di questa figura, ovvero il continuo rinnovamento e in particolar modo si parla del rinnovamento intellettuale, opinionistico e tutto quello che concerne i frutti dell’intelletto. Potrà sembrare presuntuoso, ma nel manifesto della rubrica ho spiegato e approfondito molto meglio il concetto nel significato che intendo dare al “rinnovo intellettuale”, e dunque invito il gentilissimo lettore ad approfondire qualora fosse interessato – anche per non rischiare di mummificarlo se dovessi veramente approfondire questo argomento qui in questa sede. A ogni modo colgo l’occasione per ringraziare Gordiano Lupi e Vincenzo Trama, editore e direttore del Foglio Letterario, per la fiducia che mi hanno accordato, e la professoressa Melisanda Massei Autunnali, per la stima e il supporto.
Nel tuo primo articolo hai affrontato il tema dei diritti umani: quali argomenti ti piacerebbe affrontare in futuro?
In questo momento non saprei dare una risposta particolareggiata, le idee sono tante, ma ancora piuttosto nebulose. Tendo a focalizzarmi su pochi argomenti ma in maniera approfondita pur conservandone una concezione d’insieme. Posso comunque dire con sicurezza di star affrontando uno studio piuttosto articolato sulla famiglia, quindi non escludo che questo potrebbe essere un ottimo inizio per il prossimo articolo.
La solidità e la sicurezza con cui affronti gli argomenti che tratti all’interno del tuo articolo fanno trapelare un percorso pregresso fatto di letture e di studi approfonditi. Come si è articolato nel corso del tempo?
Effettivamente l’articolo altro non è che la sintesi in forma scritta di un pensiero che ho formulato e sviluppato nel corso degli anni o, meglio detto, attraverso le letture e gli studi che ho affrontato in quel periodo di tempo. La prima fase di questa riflessione nasce nella fucina scolastica delle ore di storia, dove ho avuto modo di approcciarmi con l’infinita ruota degli errori umani. Man mano che i dubbi mi sorgevano e le analogie erano sempre più forti, la scuola non è stata più in grado (o incentivata) di soddisfare i miei dubbi e così ho deciso di affidarmi a delle letture che tutt’oggi mi sono di grande aiuto. Si parte da tiepide interpretazioni di Canfora per poi proseguire con le intuizioni suscitatemi da Bagnai, senza considerare la grande scorpacciata dei fautori dello Stato Etico, per poi collegare il tutto con grandissimi filologi, da i saggi di Huizinga alle metafore di Tolkien. Questi a grandi linee sono gli autori che mi hanno aiutato a concepire quanto emerso nell’articolo, ma vi sono decine di esperienze e avvenimenti che trascendono la sola esperienza legata alla lettura. Senza la consapevolezza politica e sociale dei nostri giorni nulla di tutto questo sarebbe bastato a suscitare in me la necessità di produrre un pensiero del genere.
Tra i tuoi interessi c’è anche l’opera lirica. Come hai sviluppato e coltivato nel tempo questa passione? In generale quale posto credi che questo genere musicale potrebbe trovare tra gli interessi e i gusti dei giovani della tua generazione?
Mi fu trasmessa in tenera età da mio fratello maggiore. Inizialmente era solo un modo per passare più tempo con lui, ma è bastato poco affinché mi innamorassi di quel magnifico mondo. È piuttosto semplice coltivare una passione come questa, è difficile però saperla sviluppare. Non tutti coloro che bevono vino sono sommelier e non tutti i sommelier sono bravi allo stesso modo. Appassionarsi alla musica classica, in particolar modo alla lirica richiede molto studio, soprattutto per chi come me è un profano dello strumento musicale. Non dico che si debbano conoscere tutti i compositori con le relative opere a memoria: il riconoscere un’opera con relativo autore è un automatismo non degno di particolare attenzione se poi non sai approfondirne il senso e non solo quello del libretto (del quale per molti autori va fatto uno studio separato), bensì capire la qualità dell’esecuzione. Conoscere i direttori d’orchestra, le case discografiche e tutto quello che orbita attorno all’esecuzione di un qualsiasi brano ti rendono capace di coltivare veramente la passione e di portare rispetto a tutto il lavoro dietro a ogni singola nota. Sebbene possa sembrare complicato o pretenzioso dire che per capire l’arte si debba studiare, allora vuol dire non essere portati al pieno apprezzamento della stessa e se la passione è sincera, non si può nemmeno parlare di sforzo. Poi magari tu prediligi un compositore e un direttore diverso dal mio, ma è questo che crea interessanti conversazioni e dibattiti anche, se purtroppo siamo fin troppo abituati a immagini di persone blasonatissime che presenziano altrettante blasonatissime prime serate in teatri di spicco. Spiccare solo per ignoranza o presunzione: questo è anche uno dei motivi per cui molte persone, non necessariamente miei coevi, non vogliono avvicinarsi a questo mondo, temendo o pensando che sia composto sol da pomposi beoti o altezzosi intellettualoidi. Invece l’opera per i miei coetanei non può essere altro che fondamentale, imprescindibile, capitale. L’opera, pone sempre come protagonisti ragazzi e ragazze che affrontano stoicamente l’opprimente e insensibile vita che sono costretti a subire. Sembra di star parlando della quotidianità di un qualsiasi giovane, perché qui i protagonisti non stanno al gioco, si ribellano per ottenere lo spazio di libertà che gli appartiene di diritto. L’opera tramanda queste storie affinché ci siano altri ragazzi e ragazze che si possano identificare in quel grido di sofferenza e gloria, di amore e dolore trasposti in musica e cantati. I soggetti della lirica compiono grandissime imprese per non essere oppressi, per avere voce in capitolo. Come potrebbe un giovane rimanerne insensibile?
Cinque libri che ti hanno emozionato, colpito, interessato.
Sebbene io non riesca più a trovare lo stesso interesse che nutrivo una volta nei confronti della narrativa convenzionale, non posso esimermi dall’inserire almeno un trio di racconti in questo elenco. Il primo è anche uno dei primi libri con cui mi sono affacciato a Tolkien. Nella sua apparente semplicità il Cacciatore di Draghi mi suscita una grande nostalgia e tutt’oggi mi è spunto di riflessione su diverse tematiche. Il secondo racconto è già meno convenzionale come il precedente; Esercizi di stile di Queneau nella traduzione di Umberto Eco mi ha sempre divertito un sacco, magari è soltanto merito di Eco nell’adattare ma di fatto anche la semplice idea dietro al libro è geniale. Ultimo e più recente dei libri a primario scopo ludico è Controcorrente di Huysmans: ha attratto la mia attenzione anni addietro quando ho scoperto che era quello il libro che Dorian Gray trovò tanto interessante e scioccante, ma solo in tempi recenti ho avuto modo di approcciarlo rimanendone più che soddisfatto. Passando ai saggi in prima fila spicca Psicologia e Alchimia di Jung, un grande saggio rivolto a tutti e di incredibile contenuto. Ultimo, ma non meno importante e anche perché sennò questa lista non finirebbe mai, Il tramonto dell’Euro di Bagnai, grandissimo economista e sublime scrittore: questo è stato il primo saggio economico a cui mi sono rivolto e lo stile con cui è scritto lo rende di una piacevolezza e semplicità di comprensione disarmante.
Qual è il tuo punto di vista sull’ampliamento che in questi ultimi ha conosciuto il concetto di cultura (inclusione di cinema pop, letteratura di genere, addirittura serie televisive…)? Sei favorevole a questi allargamenti o credi che la cultura debba conservare un suo rapporto privilegiato con la tradizione?
La cultura è un inno alla vita, un incentivo capitale al proseguimento della stessa, per alcuni ne è l’unico scopo o quantomeno il carburante. Ciò che noi consideriamo tradizionale è indubbiamente di grande spessore, ma anche la più antica delle tradizioni è stata un tempo qualcosa di innovativo e/o avanguardistico. Allo stesso modo con cui Giotto tornò a dipingere i cieli azzurri, un giorno potrà essere considerato come espressione culturale e intellettuale alla stregua di un regista di serie tv che esce dal canone. Ovviamente quest’esempio potrà sembrare estremo ma il nostro unico limite per assimilare le novità e canonizzarle è il tempo. L’unico appunto che possa fare è che sotto un certo punto di vista la cultura di reminiscenza storica-tradizionalistica ha un vantaggio intrinseco che le permetterà sempre di essere apprezzata di più rispetto alla cultura del futuro. “Tradizionale” è qualcosa che si è radicato nel tempo in una determinata realtà culturale portandola a diventare parte integrante di quella società; lo scambio culturale altro non era che l’interfacciarsi di culture e tradizioni diverse e fu proprio questa diversità a sviluppare tale concetto facendo quindi riconoscere nei popoli il concetto e l’appartenenza culturale. Oggi purtroppo per scambio culturale si intende solo l’imporsi di una cultura su l’altra, mancando totalmente di rispetto al retaggio con cui si intende approcciare. Un domani non potremo mai parlare della tradizione pop o della psicopatologia dei registi di serie tv, perché saranno solo definibili come folclore globale, un’abitudine del tempo. Perché oggi come oggi, qualsiasi novità in un qualsiasi ambito viene immediatamente condivisa e resa di pubblico possesso. Da un lato tecnologico/scientifico/umanitario è incredibilmente utile, ma culturalmente parlando è un disastro. Non esisterà più un’ identificazione da parte dei popoli nel mondo culturale che andrà creandosi e sebbene mi potrete dire che anche prima esistessero ad esempio le scuole di pensiero che avevano impatto globale e che trascendevano dalla regione di nascita, oggi non si è più neanche in grado di capire se il materiale o l’idea di cui si usufruisce sia stato plagiato o malamente copiato dall’effettivo creatore. Non è solamente territoriale il problema della delocalizzazione culturale ma anche sociale. Tutto questo per dire che purtroppo temo non esisteranno più tradizioni, perché saranno solamente abitudini alla stregua dei roghi di streghe e del caffè al mattino anche se perlomeno, la produzione culturale non interromperà mai il suo corso, solo che il suo impatto e la sua sussistenza nel tempo saranno radicalmente diversi e di concezione globale.