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Stella Errante – Jean-Marie G. Le Clézio

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GUERRA: SUPREMO ERRARE

 

Poi c’era il vuoto, come quelle pellicole con i fotogrammi in bianco[1]

 

Guerra, appunto: il Vuoto che tutti i Vuoti incarna; causa ed effetto a un tempo di quei Vuoti sociopolitici, di quelle defezioni della società che portano al potere fondamentalismi, imperialismi, dittature d’ogni ordine e grado e colore (se di colore si può poi parlare).

La citazione d’apertura è tratta da un altro libro che, come quello dello scrittore nizzardo, parla di donne rese profughe da dinamiche superne e sconcertanti: la Guerra.

E sempre madre e figlia; madri e figlie sballottate, rese erranti dall’oggi al domani.

Autobiografia, nell’un caso; romanzo nell’altro.

La differenza tra Le Clézio e la Sarli Gianfaldoni risiede altresì nel fatto che il primo sia stato pubblicato da “Il Saggiatore”; la seconda da una minuscola editrice, la Schena, di un paesone periferico, ai confini con la Valle D’Itria, nell’estremo Sud-Est italico (Fasano, forse celebre per lo Zoosafari e la Selva). “Chissà perché”….

 

La Francia era bella/in quel mese di maggio non sembrava/che tutto intorno a loro fosse guerra[2]

 

Guerra disorientante; guerra falcidiante; guerra destabilizzante. Destabilizzazione che chiede conto, cura e sedazione dopo quarant’anni:

Era come se avessi una piaga dentro al cuore, volevo vedere il male, capire ciò che mi era sfuggito, quello che mi aveva proiettato in un altro mondo (pag. 265)

Dopo quarant’anni dacché questo Io narrante e sua madre furono rese – per dirla ancora con Marco Ferradini – due coriandoli di vita in fuga verso sud/verso un’altra casa dal regime collaborazionista del maresciallo Pétain, instauratosi nel sud della Francia dopo che la restante parte dell’Éxagone ebbe subito l’invasione e la conquista naziste.

 

Bisogno esistenziale, quello succitato, di Esther-Helène; bisogno ineludibile, fattosi urgenza dopo la calata del sipario causata dalla morte di una delle due dramatis personæ: sua madre Élisabeth.

Hester-Heléne: dalla necessità dell’avere avuto un doppio nome: uno ebraico ed uno “gentile”, già s’intuisce il Dramma. Che non è Olocausto, stavolta, ma poco ci è mancato.

È piuttosto un’Odissea atroce, resa ancor più vivida dalla tecnica mista della narrazione, che sapientemente intreccia la terza persona narrativa stricto sensu ed il flusso di coscienza dell’Io narrante.

Che ad un certo punto incrocia il proprio percorso, proprio il percorso fisico, con un altro Io narrante, una parallela Deuteragonista: Nejma la Profuga palestinese. Profuga resa tale proprio dalla nascita dello stato d’Israele e dai conflitti arabo-israeliani che immediatamente nacquero, e ancora con l’arte lor la fanno trista.

 

Nejma la Profuga, ancora più nuda, ancora più cruda di Esther, nel rendere testimonianza dell’Atrocità, perché i campi profughi “organizzati” dagli israeliani non hanno nulla da invidiare ad i lager nazisti. Ancora più tranciante e tranciata dallo strappo coatto dalla sua vita. E senza neanche la Speme Suprema di Heretz Israel, che aveva animato la sua omologa Esther-Helène ed i suoi compagni di sventura imbarcati nella stiva di una nave. Nave italiana, guarda caso, quasi ad evocare il Caron dimonio dantesco. Che però stavolta è gentile e si chiama Silvio, e traghetta AL DI QUA, non AL DI LÀ, della Selva Oscura.

Nejma non ha neanche bisogno del secondo nome: nessuna, seppur fittizia e temporanea protezione, è accordata verso sud/verso un’altra casa, a chi in quella casa abitava già, ed ha “dovuto” esser sfrattato.

Nejma deve vedere atrocemente in faccia la Morte; e la prima creatura innocente che vede morire di sete, assistendo impotente all’ultimo atroce di essa supplizio, è la cagnetta di un anziano arabo.

 

Heretz Israel, ecco cosa si evince tra l’altro da questo romanzo inchiavardato alla continuità del Male, è nata sotto il segno della continuità dell’atroce dramma che ha vessato i propri figli per secoli. Altro che Historia magistra vitæ… Questa è barbarica, atroce, coazione a ripetere!

 

La Morte, invece – quella brutta, atroce, orrifica nella sua evidenza ineluttabile, causata dalla follia della Guerra – Esther la rivive solo quarant’anni dopo, dilatando il proprio tempo esistenziale, in una magica e drammatica congiunzione tra Passato e Presente nei luoghi in cui un vile manipolo di SS massacrò a tradimento suo padre, attivista della resistenza francese, ed i profughi che egli aiutava a scappare per gl’irti sentieri delle Alpi, verso l’Italia.

Prima di allora, una serie di flitri (in una parola: sua Madre) l’aveva protetta dal guardarla dritta negli occhi. Ora, le sue ceneri l’accompagnano verso il viaggio sulle Alpi (Berthemont, per la cronaca), verso l’Epifania del Tragico che dà la stura alla Verità atroce e suprema, l’atomo opaco del Male: il Palazzo detto L’Ermitage, l’Inferno in Terra (e non solo nizzarda!), laddove, nella calma e nel lusso del grande parco, sotto le finestre della casa bianca, nonostante il tubare delle tortore e le grida dei merli, regna il silenzio della morte (pag. 266).

Ora Esther è pronta a ricordare la voce di mio padre, nella cucina della nostra casa di Saint-Martin, che parla di queste cantine dove ogni giorno torturano e uccidono, le cantine nascoste sotto la casa sontuosa, dove ogni sera si sentono le grida delle donne picchiate, le grida dei torturati attutite dai cespugli del parco e dalle vasche dell’acqua (pagg. 266-267).

 

Un ricordo per lei liberatorio; un ricordo che la restituisce ad uno straccio di vita “normale”. Non a caso l’autore inizia e finisce la narrazione con la terza persona, la propria.

Ma con un monito: Sente una grande stanchezza e una grande pace. Alcuni pipistrelli danzano intorno ai lampioni (ult. pag.).

 

Prima di dare addosso alla recensora per avervi spiattellato il finale, tenete presente che finale in realtà non è… Perché la follia marziale, la voglia della Guerra, non ha fine; è un tragico cerchio senza soluzione di continuità.

I Mostri sono ormai fuori dall’Europa, dopo più di un millennio. Ma non sono fuori dal globo terrestre.

Nejma la Profuga è lì ad ammonirci: il testimone della staffetta del Male è passato dall’Europa al Medioriente. E ci è passato perché la follia dell’ultimo Despota (Hitler) ha originato l’Olocausto e l’Olocausto lo Stato D’Israele…

E come dare torto a Le Clézio? Basti vedere cosa accade in Iraq, nel Libano, nella striscia di Gaza…

 

 

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Jean-Marie Gustave Le Clézio (Nizza, 1940), romanziere francese.

La prodiga bandella di terza di copertina c’informa che è considerato uno dei maggiori scrittori francesi contemporanei. E che Il Saggiatore ha tradotto varie di lui opere.

 

Jean-Marie Gustave Le Clézio “Stella errante”, Il Saggiatore, Milano, 2000.

 

Titolo originale e prima uscita:

Étoile errante, Éditions Gallimard, Parigi, 1992 (stesso anno di uscita delle memorie autobiografiche della Sarli Gianfaldoni: spettacolare coincidenza!)

 

Traduttrice dell’edizione italiana: Ela Asserta.

Edizione italiana troppo disvelatrice, a mio parere, di trama ed intrecci narrativi, nella bandella di seconda di copertina.


[1] Da: Elvira Sarli Gianfaldoni “Il cratere nella pianura”, Schena Editore, Fasano (Brindisi), 1992; pag. 22

[2] Da: Marco Ferradini, “Jean e Paul”; Sound Music international s.r.l., Milano, 2005

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