Alla curva delle prime parole si concepisce l’idea di una storia improbabile e affascinante perché di taglio surreale. Il romanzo, uno qualsiasi di quelli arrivati in Italia, da qualunque punto si inizi la scoperta di quel continuo caso letterario rappresentato dalla scrittrice belga Amélie Nothomb, ci introduce in una fenomenologia umana e narrativa capace di lasciarci a bocca aperta. In Dizionario dei nomi propri, avviene, per esempio, che l’autrice riesca a mettere in scena il proprio assassinio.
Insomma attraverso una fantasia accesa e corrosiva fino alla genialità la scrittrice testimonia di passioni forsennate, omicidi, storie gotiche e dark, sempre con finale a sorpresa, scorticando e dipanando le oscurità, fino a cogliere il grottesco della condizione umana.
Nei dodici romanzi pubblicati, della cinquantina che ha scritto, si ricava sempre la stessa stupefatta e ammirata incredulità. Ma al di là di quella prima impressione di esserci imbattuti in casi assurdi, ci accorgiamo a poco a poco che la scrittrice ha solo cambiato punto di vista e modo di occuparsi della psiche e della sorte dei suoi simili. Amélie possiede infatti il talento di svelare senza ipocrisia e senza pietà i mostri che abitano l’animo umano.
Tutto si svolge poi in una limpidezza di stile, spesso due parole appena per un periodo, che solo una lettura non frettolosa consente di apprezzare nella sua complessità e che è frutto di un’ottima formazione classica e di un lungo vagabondare per mete orientali. Prima dell’approdo belga, Amélie Nothomb ha seguito i genitori diplomatici e addirittura il Giappone, che ha lasciato larghe tracce nelle sue emozioni e sulle sue pagine, è la sua terra di nascita.
Come un abito sfogliato da inutili orpelli, le parole si mostrano in trasparenza, quasi ricondotte alla propria radice essenziale. Si capisce che questo logorio, che mostra il cuore semantico sotto la corteccia, è determinato da volontà e applicazione. Nulla è affidato al caso. L’autrice controlla la sua composizione come un matematico il suo teorema. Sorveglia implacabile il gioco di incastro millimetrico che deve combaciare come in un mosaico. Sia per il contenuto che per l’uso della lingua l’autrice pare affidarsi alle stesse regole di rigore, fino allo scioglimento della vicenda.
La prova di un impegno implacabile a dispetto della facilità linguistica è la semina tra le frasi di alti riferimenti culturali, soprattutto di natura letteraria e filosofica. Spinoza scappa in periodi apparentemente colloquiali, Platone lo incontriamo in altre parti. La novità consiste nella disinvoltura con cui il riferimento colto si camuffa e scompare in mezzo alle altre parole.
In fondo l’autrice non fa che regalare al pubblico se stessa, le sue ossessioni e il suo sguardo disincantato. Non solo nei romanzi tornano di frequente alcuni temi di evidente riferimento personale, come il rapporto col cibo, sempre esasperato, l’amore per l’arte, ma anche nei romanzi in cui l’autobiografia sembra ai margini, lei stessa ammette che continua anche in quel caso a parlare di sé. Così, quando in Cosmetica del nemico una persona incontra il proprio nemico in aeroporto, l’autrice confessa di sentire davvero questa nemica forza oscura dentro di sé. Un nemico che le vuole male.
In realtà reduce da una cultura e da una formazione orientale, di cui si è parlato, il rientro a casa in Belgio non è stato esente da problemi, per la scrittrice, che proprio attraverso la disciplina dello scrivere che ha scelto di perseguire in maniera dura e esclusiva, ha potuto districare i suoi assilli.
Quando i riferimenti autobiografici si fanno chiari, conosciamo però una bimba, dalla ricca e fortunata vicenda umana, assolutamente convinta dal suo primo vagito della sua forza e della sua unicità. In Metafisica dei tubi il quadro della sua infanzia nipponica ci viene elargito attraverso l’originale metafora di un condotto apparentemente inerte, che è appunto la nostra Amélie, per di più identificato con dio, cosa che ha anche scandalizzato qualcuno. Ma in fondo la provocazione è implicita in tutte le storie, la ragione di esse, lo scopo. Un modo per informarci delle contraddizioni che scorrono in due ambiti interdipendenti: la nostra voragine interna e l’irrazionalità del mondo.