Stefano Lorefice ha pubblicato soprattutto poesia ( anche se è molto interessante un suo libro di racconti, Cosmo Blues Hotel, uscito per le Edizioni Clandestine qualche hanno fa) . La sua poesia è storia di svincoli della vita, di situazioni conosciute e rese con un linguaggio che ambisce a una pulita armonia. Pulita e sporca. Bagnata e ostinata nel radicarsi soprattutto nell’asfalto, negli esterni, dentro le periferie, le frontiere delle città. Senza nessuna concessione. Anche ai sentimenti. Soprattutto a quelli. Ci sono, espressi senza distrazione:” Io devo restituire un bacio che non mi spetta/il gelo fuori dai caffè, a Piagalle /io devo restituire la mia faccia vera/ quella senza sconti. “. Si posiziona tra le pieghe del cervello questa nuova raccolta, con incursioni altrove. Brevi, istantanee. Un limare, un cercare l’essenziale, in fondo la frontiera è una linea. Un porsi in mezzo rendendo, cosa rara, la soggettività del poeta, dell’io narrante, sempre più invisibile, sempre meno in primo piano. “Diventando” canto. Parola. Parola scavata, a volte fredda, ma parola..C’è , fra le righe delle poesie, il sentore di una disfatta che non è mai sconfitta autocompiacente. E’ elemento conoscitivo dell’ombra. L’ombra dell’anima che freme e che corre con la testa piegata, a volte, o che guarda. Dai dettagli un’emozione fangosa, una roba da vicolo. Ma detta. Detta come pochi la sanno dire. Lorefice inclina ancora di più il suo microscopio, a volte diventa radiografia. Si muove. Sembra un’increspatura, deve essere una impercettibile increspatura. Fra sentire metropolitano che circoscrive il punto dove dobbiamo indirizzare il nostro occhio, lo sguardo, fra immagini che si sovrappongono, ma senza caos, il caos è lontanissimo dalla voce di Lorefice, dal suo uso del linguaggio.. Una cifra poetica non facilmente accostabile ad altre e visibile con potena già nella sua prima raccolta, Prossima fermata Nostalgiaplatz, edita da Clinamen nel 2002. Il suo lavoro sul linguaggio è proseguito. Una lama, un allontanamento da ogni melodramma, da ogni sbavatura. Raro. Questa raccolta, recentissima, è una ulteriore dimostrazione di un talento vero. Ci offre un testo privo di esercizi di stile, di barocchismi, di dimostrazioni gratuite di una visibilità letteraria d’effetto, racconta metropoli, corpi, spazi e frontiere. Scrive in modo intenso, con una musica che non trabocca ma che viene dosata, che sa unire schiaffo e carezza e stupire. Il lettore è coinvolto. Non rimane indenne. Crogiolandosi sapientemente in quella immagine che sapeva di provare, che sentiva a fior di pelle fino a un momento prima di leggerla ma che non aveva le parole per dirla. Non così. Lorefice appare costantemente in cerca,. Schivo e quasi brusco, i suoi “luoghi- angoli di città” e le sue esperienze della pioggia le rintraccia con l’attenzione di un archeologo sulle tracce di qualcosa di molto ambito. Di molto prezioso. Qualcosa di intricato, da sbrogliare. E lui lo sbroglia. in una ricerca d’armonia che trova momenti compiuti, contemporanei e classici. “Certe ferite che rimarginano/ nell’insistere delle luci esterne- notturne/ la città è nel pieno e resta/ presto saranno i passanti/ agli angoli/ con un bisbigliare compatto/ che non c’è tempo/ e quel che rimane è diviso/come gli amanti nel farsi l’amore/senza mai dire abbastanza/ per quel che sarebbe/ sparsi soltanto/ a rigare il fondo del cuore.” Il piccolo volume è diviso in due sezioni “Corpo/città ” e “Corpo/frontiere”, a rimarcare una necessaria e indiscutibile centralità del corpo attraverso il quale passa e trapassa il lavoro poetico di Lorefice, il suo maneggiare l’incendio del linguaggio senza bruciarsi e bruciare ma mirando a comunicare scosse che restano, a lasciare tracce che si sviluppano come colpi precisi al contesto, al contorno, in una ricerca quasi “benjaminiana” del significato che può trovare un contemporaneo “flaneur” che attraversa città dalle simili fisionomie ma che vengono strette come spugne a sgocciolare emozioni diverse e riconoscibili:”Ci sono queste persone che corrono/una fermata, poi l’altra/ che non basta il fiato/un corpo contro un altro corpo/ con tutte le lingue, tutti gli accenti/ di un popolo in fuga,/perché qui l’amore è sotterraneo/ e di fretta/ servono altri biglietti/ metrò più veloci/ per uscirne vivi/ io apro la bocca e la tengo ferma, forte/ coi denti lì/ a consumare la lingua/ e la mangio tutta / senza scuse/questa voglia di correre/ con le mani in tasca, immobili/ come se aspettare avesse addosso un viaggio/ che solo lo sguardo pare allontanato.” Per avere il libro, se non lo trovate subito, www.campanottoeditore.it , il “diario di viaggio “di Lorefice, a cui fa bene dare ogni tanto un’occhiata, Cosmo Blues Hotel, www.cbh.splinder.com
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