Ancora una volta la vendetta. Qualcosa per cui vale la pena aspettare, soffrire, ragionare a mente fredda. Qualcosa da preparare nei minimi dettagli, da organizzare, da compiere.
Dopo un periodo di detenzione Geum-ja esce dal carcere dove era finita per l’omicidio (ma scopriremo che non era colpa sua) di un bambino. Questa è la parte più bella e originale del film, come Chan-wook Park attraverso una serie di incastri narrativi e temporali crei la storia che sta raccontando, come attraverso la coralità di piccoli personaggi si vengano a formare anche la psicologia e le motivazioni della protagonista.
La strega, così veniva chiamata in prigione Geum-ja. C’è chi dice che dal suo volto emanasse una luce (il bianco, il candore, la santità).
La strega,sempre pronta ad aiutare le compagne più sfortunate ma anche a commettere un altro crimine, facendo pagare alla donna dominante della cella il conto dei suoi soprusi.
I riferimenti iniziali alla dottrina cattolica sul peccato e la redenzione e i rimandi iconografici (già dalla stupenda locandina del film) ci fanno pensare al martirio e alla passione come passaggi necessari per redimersi. Ed infatti quello di Geun-ja sembra presentarsi come un percorso di purificazione che passa attraverso il martirio della carne (si taglia un dito) e soprattutto quello dell’anima (nel fervore con il quale si abbandona alla propria vendetta).
Il rosso intorno agli occhi di Geum-ja segna la sua trasformazione in un angelo vendicatore che cerca l’uomo per il quale ha dovuto soffrire così tanto. La ricerca della vendetta diventa quindi il motore del film.
Poi veniamo a scoprire che Geum-ja ha anche una figlia da cui è stata separata quando è stata costretta ad andare in prigione.
La trama quindi si sdoppia (da una parte l’odio lucido e feroce verso un uomo, dall’altra la riscoperta di un possibile amore materno) e con molta abilità il regista riesce a non farla aggrovigliare su se stessa. Grazie anche ad una messainscena esteticamente suggestiva (come in Old Boy i tagli dell’inquadratura sono molto ricercati e geometrici) il film mantiene una notevole dose di lucidità nell’accompagnare la sua protagonista verso il proprio scopo.
Una volta che l’uomo è stato trovato (dopo una scena a mio avviso geniale, nella quale questo individuo si scopa sul tavolo della cucina la sua donna per poi sedersi, riprendere il piatto e continuare a mangiare) Geum-ja scopre che egli oltre ad essere un assassino è anche un pedofilo (sadico e torturatore).
Come vedremo in seguito i genitori dei bambini uccisi da questo pedofilo avranno la possibilità di vendicarsi. Costui, ormai immobilizzato su una sedia (con due pallottole nei piedi) sarà a loro completa disposizione. Il torturatore diventa la vittima. A questo punto il funzionamento della vendetta è chiaro. La vendetta se ne frega della presunta giustizia sociale (la Legge) e si basa solamente sulla giustizia umana (faccio a te quello che tu hai fatto ai miei figli). Ed è in questo preciso istante che la morale del film si capovolge. Perché tutto il candore e l’ardente volontà che la protagonista mette nel portare a termine la sua vendetta non la riscattano da nulla, né dai peccati che ha commesso e né dalle colpe che vorrebbe far espiare al pedofilo.
La lunga sequenza che riprende i preparativi per le sevizie e le torture che immaginiamo i genitori delle vittime faranno al pedofilo è volutamente grottesca. Si azzera qualsiasi possibile psicologia del pedofilo (confessa – nessuno è perfetto) e si delineano i genitori come gente impaurita dalle stesse azioni che stanno per compiere proprio perché consci di stare per diventare come il pedofilo. Ovvero dei sadici torturatori.
Facendosi giustizia da sola e facendola fare anche gli altri Geum-ja non trova la tanto sospirata redenzione che cercava, forse perché il concetto stesso di redenzione si rivela un’idea fasulla. Forse proprio perché non esiste nessuna giustizia divina o morale e quella umana si riduce ad un semplice scambio di ruoli. Ed è in questo modo che la violenza continua a perpetuarsi negandoci ogni possibilità di catarsi.
Accantonati, quindi, i riferimenti religiosi dell’inizio rimane solo questa donna con addosso i peccati che ha compiuto e che nessuno potrà mai togliere. Quindi è inutile pregare, è inutile vendicarsi, è inutile piangere e compiangersi. L’unica cosa veramente importante (e che forse vale la salvezza della propria anima) è insegnare ai bambini a mantenere intatta la loro purezza.
Perché purtroppo nessuna vendetta e nessuna atrocità ci potrà mai render migliori di quelli che hanno fatto del male alle persone a cui volevamo bene.
Ma è anche vero che sia dannatamente umano volersi vendicare.
Quindi non rimane altro che continuare a vivere sballottati dalle nostre mille contraddizioni, cercare di fare quanto ci è possibile per aiutare gli altri e soprattutto riscoprire quel candore (bianco come la neve o come la panna di una torta) che la vita, nel corso degli anni, sporca con le sue ingiustizie e le sue meschinità.