[1] Codice civile, LIBRO QUARTO – Delle obbligazioni – Titolo II – Dei contratti in generale – Capo I – Disposizioni preliminari
[2] Manifestazione di volontà, rivolta a uno scopo pratico, che consiste nella costituzione, modificazione o estinzione di una situazione meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Si tratta di una figura elaborata dalla dottrina e non presente nel codice civile, che parla invece delle specifiche forme negoziali quali i contratti, gli atti unilaterali, etc.
[3] “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, pubblicata nella Gazz. Uff. 21 maggio 2016, n. 118, in vigore dal 5 giugno 2016, presentato dalla Sen. Monica Cirinnà (PD) e altri, il 6 ottobre 2015.
[4] Quello della “patrimonialità” è il requisito che distingue l’obbligazione in senso tecnico da obblighi di altra natura (es. morali, affettivi, etici etc.). Significa che la prestazione deve poter essere valutata economicamente, ossia deve essere tale da potersene determinare il valore in denaro. Diversamente mancherebbe la possibilità, in caso di inadempimento, di stabilire la somma per la quale il “creditore” può rivalersi sui beni del “debitore”.
[5]Cfr.“Matrimonio e Omosessualità” di Alberto Monari, in Kultunderground n.227-GIUGNO 2014, rubrica Diritto. Art.1 comma I, L.76/2016
[8] Per maggiori approfondimenti “La convivenza di fatto ed il contratto di convivenza” di Giovanni Rizzi, in Notariato 1/2017. Cfr. “I rapporti patrimoniali tra conviventi: il contratto di convivenza” Redazione Altalex 23/5/2016, www.altalex.com
[9] L. 26-7-1975 n. 354 “Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà” in Gazz. Uff. 9 agosto 1975, n. 212, Serie Ordinaria. Cfr.“41-bis OP: carcere duro” di Alberto Monari, in Kultunderground n.181-AGOSTO 2010, rubrica Diritto.
[10] Cfr. “L’Amministrazione di sostegno” di Alberto Monari, in Kultunderground n.199-FEBBRAIO 2012, rubrica Diritto.
[11] Nella stessa logica si pone l’esclusione dallo status di convivenza di persone che, pur coabitando, siano legate “fra loro” da legami di parentela, affinità (rapporto che lega chi è stato coniuge con i parenti dell’altro coniuge) o adozione, o ancora legate da matrimonio o unione civile con altra persona.
[12] Comma 37: “Ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 13 del regolamento di cui al DPR. 30 maggio 1989, n. 223”
D.P.R. 30-5-1989 n. 223 Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente. In Gazz. Uff. 8 giugno 1989, n. 132.
[13] Non esistono, cioè, due diversi tipi di “convivenza”: quella dei conviventi “registrati” all’anagrafe, e quella dei conviventi “non registrati”, soggetti, questi ultimi, il cui rapporto ha tutte le caratteristiche previste dal comma 36, ma che non hanno potuto ottenere la suddetta iscrizione anagrafica in quanto non coabitanti in modo stabile o con indirizzi anagrafici in luoghi diversi per qualunque motivo. La “coabitazione” non è prevista tra i presupposti della convivenza, e rimarrà per questi soggetti, ovviamente, il problema della dimostrazione con altri mezzi dell’esistenza del loro rapporto.
[14] Fedeltà: secondo la giurisprudenza, la fedeltà è da intendere non solo come astensione da relazioni extraconiugali, ma quale impegno di non tradire la reciproca fiducia ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi, che dura quanto dura il matrimonio. Assistenza morale e materiale: consiste da un lato, nell’obbligo materiale di soddisfare le reciproche esigenze economiche; dall’altro, in quell’impegno di natura morale-spirituale alla comprensione e al rispetto reciproco. Collaborazione nell’interesse della famiglia: consiste nell’obbligo di agire sempre nell’ottica di mantenere l’unità e la continuità della famiglia. Coabitazione: condivisione della stessa casa tra i coniugi. E’ uno dei doveri che nasce con il matrimonio, ma per entrambi resta possibile fissare anche residenze o domicili in luoghi diversi.
[15] In caso di morte del convivente proprietario, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni(che diventano tre anni ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite) o per un periodo pari alla durata della convivenza, se superiore, e comunque non oltre i cinque anni. Il diritto in ogni caso viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza ovvero contragga matrimonio, unione civile o intraprenda una nuova convivenza di fatto. In caso di recesso dal contratto di locazione, il convivente ha facoltà di succedergli nel contratto.
[16] Ai sensi del comma 45, nel caso in cui l’appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto.
[17] Si estende al convivente di fatto la disciplina propria dell’impresa familiare, e inserisce nel codice civile un nuovo articolo 230-ter in base al quale riconoscere al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente (e tale collaborazione non derivi da un rapporto di lavoro subordinato o di società) una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato.
[18] La legge 76/16 equipara la convivenza di fatto al rapporto coniugale ai fini del risarcimento del danno in caso di decesso del compagno.
[19] Nel nostro ordinamento vige il divieto dei patti successori: ogni persona può disporre dei propri beni solo con il testamento. Art.458 Codice civile – LIBRO SECONDO – Delle successioni – Titolo I – Disposizioni generali sulle successioni – Capo I – Dell’apertura della successione, della delazione e dell’acquisto dell’eredità
[20] L’ordinamento utilizza questo termine per indicare le norme che, per la loro importanza, non possono essere derogate dalle parti. Di regola, infatti, i contraenti possono escludere l’applicazione di norme generali al loro specifico rapporto: non possono, però, farlo se tali norme (es. tutte le norme penali) sono state previste come inderogabili (cogenti) dal legislatore. La contrarietà a norme imperative determina l’illiceità di un negozio giuridico.
[21] Quello “di ordine pubblico” è un concetto complesso, che ha una varietà di contenuti in rapporto alle diverse branche del diritto. In generale, si può definire come l’insieme dei principi dell’ordinamento giuridico, che costituiscono il fondamento etico dello stesso. I valori giuridici che compongono il concetto di ordine pubblico servono, tra l’altro, ad “arginare” l’ingresso nel nostro ordinamento nazionale di principi stranieri (es. la bigamia o altri trattamenti discriminatori riservati alle donne), incompatibili con i principi fondamentali di livello costituzionale.
[22] Infatti, in caso di mancata espressione di volontà nella scelta della comunione dei beni, i patrimoni dei due conviventi rimangono separati. Il contratto non tollera l’apposizione di termini o condizioni (che, ove previsti, si hanno per non apposti, comma 56) e può essere modificato, anche relativamente al regime patrimoniale prescelto, in qualunque momento con le medesime forme richieste per la sua sottoscrizione (comma 54).
[23] Si deve cioè riconoscere ampio spazio all’autonomia privata, con possibilità per i conviventi di inserire altri contenuti per meglio regolare il proprio rapporto (es. accordi relativi alla suddivisione delle spese per il mantenimento dei figli), purché meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art.1322 c.c.)?
[24] La prassi, favorita dal Nortariato, dei contratti già conclusi prima dell’emanazione della legge da soggetti conviventi e particolarmente previdenti, è arrivata a prevedere l’attribuzione al convivente, non titolare dell’immobile, di una quota di comproprietà ovvero un diritto reale di godimento (es. diritto di abitazione).