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Porte aperte – Leonardo Sciascia

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Edizioni Adelphi
Narrativa romanzo
Pagg. 109
ISBN 9788845902628
Prezzo € 15,00
 
Il grande impegno civile di Sciascia
 
 
La realtà è che chi uccide non è il legislatore ma il giudice, non è il provvedimento legislativo ma il provvedimento giurisdizionale. Onde il processo si pone con una sua totale autonomia di fronte alla legge e al comando, un’autonomia nella quale e per la quale il comando, come atto arbitrario di imperio, si dissolve, e imponendosi tanto al comandato quanto a colui che ha formulato il comando trova, al di fuori di ogni contenuto rivoluzionario, il suo <>.” (Salvatore Satta, Soliloqui e colloqui di un giurista)
 
Verso la fine degli anni trenta (e quindi in pieno regime fascista) a Palermo fu commesso un crimine efferato (un uomo uccise la moglie, il suo datore di lavoro che l’aveva licenziato e l’impiegato che lo aveva sostituito). Il colpevole, individuato dagli investigatori, fu assicurato alla giustizia. La vicenda, accaduta realmente, rappresentò l’occasione per Leonardo Sciascia per imbastire nel 1987 un romanzo storico volto a condannare, senza mezzi termini e senza dubbi, la pena di morte. Sì, perché il colpevole, che per il suo carattere non era individuo capace di suscitare simpatie, né di impietosire, era destinato inevitabilmente ad essere condannato alla pena capitale mediante fucilazione, poiché la pena di morte era stata reintrodotta nella legislazione dal Ministro di Grazia e Giustizia Alfredo Rocco. Non bastasse questo, in un regime che, vantandosi, affermava che gli italiani potevano dormire sonni tranquilli a porte aperte (da qui il titolo dell’opera), non si poteva tollerare che qualcuno contraddicesse con i fatti la pretesa quiete tanto sbandierata. Quindi sembrava già deciso tutto e il processo non avrebbe dovuto che essere una mera formalità, ma ci fu un giudice che intese procedere secondo coscienza e che pertanto né tollerò pressioni autoritarie, né riuscì ad accettare che potesse esistere un diritto legale di sopprimere un essere umano.
Certo, nel libro c’è una chiara condanna del fascismo e della sua violenza innata, ma sarebbe riduttivo dire che Sciascia si è limitato a stigmatizzare un regime, perché la sua denuncia, e da qui il suo grande impegno civile, sta proprio in quella possibilità che ha un tribunale di privare della vita un imputato, atto più che ingiusto in quanto la pena è prevista da una legge,  immorale e inumano, immorale perché si attribuisce un potere eccessivo a chi giudica (decidere fra vita e la morte), inumano poiché togliere la vita a un nostro simile non solo non risolve il problema della delinquenza come statisticamente dimostrato, ma impedisce anche che il reo possa prendere coscienza dell’enormità del suo reato e che con il rimorso si accompagni il pentimento, e quindi la redenzione. Questo giudice, un piccolo giudice a latere esistito veramente,  non volle tradire la sua coscienza e trovando anche un alleato in un giurato popolare, un agricoltore bibliofilo (di grande rilievo ed effetto il loro dialogo), arrivò a comminare una sentenza di reclusione a vita, ben sapendo che in appello sarebbe stata assai probabilmente ribaltata e trasformata in pena di morte. Come uomo, tuttavia, rimase in pace con se stesso, non ebbe contrasti e lacerazioni nella sua coscienza, non si lasciò  condizionare, anche se poi il suo comportamento ebbe effetti negativi per la sua carriera. Ma al di là della bellezza del romanzo, del profondo messaggio che lancia, della capacità di Sciascia di avvincere e di pungolare, ciò che mi sembra sia di particolare pregio è quella necessità espressa affinché ogni essere umano, nelle sue decisioni, debba sempre regolarsi secondo coscienza, mantenendo ben viva quella luce di umanità che ci distingue dalle bestie, e ciò anche se avrà un costo, che non sarà mai così alto e lancinante come invece nel caso in cui si agisca contro il proprio intimo sentire.
Dal romanzo è stato tratto un film di grande successo diretto da Gianni Amelio e interpretato da Gian Maria Volonté, un eccellente trasposizione di un’opera narrativa non certo facile, ma che non può che lasciare un segno indelebile dentro il lettore.      
 
Leonardo Sciascia (Racalmuto, 8 gennaio 1921 – Palermo, 20 novembre 1989). E’ stato autore di saggi e romanzi, fra cui: Le parrocchie di Regalpietra (Laterza, 1956),  Il giorno della civetta (Einaudi, 1961), Il consiglio d’Egitto (Einaudi, 1963), A ciascuno il suo(Einaudi, 1966), Il contesto (Einaudi, 1971), Atti relativi alla morte di Raymond Roussel(Esse Editrice, 1971), Todo modo (Einaudi, 1974), La scomparsa di Majorana (Einaudi, 1975), I pugnalatori (Einaudi, 1976), Candido, ovvero Un sogno fatto in Sicilia (Einaudi, 1977), L’affaire Moro (Sellerio, 1978), Il teatro della memoria (Einaudi, 1981), La sentenza memorabile (Sellerio, 1982),  Il cavaliere e la morte (Adelphi, 1988), Una storia semplice (Adelphi, 1989).

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