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La nascita del Che – Davide Barilli

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Racconti da Cuba
Aragno – Pag. 225 – Euro 13
 
Ho letto quasi tutto di Davide Barilli, giornalista parmigiano in prestito alla letteratura (o viceversa, visto che è molto bravo in entrambi i campi), soprattutto le cose a tema cubano, per le quali continuo ad avere un debole, nonostante tutto. Lui è più fortunato di me, ché a Cuba ci può tornare, non si è fatto revocare il permesso di varcare i confini caraibici per aver seguito una persona che non meritava tanta dedizione. Ma lasciano da parte il veleno e parliamo della poesia contenuta nei racconti cubani di Barilli, che già ci aveva esaltato nel letterario Le cere di Baracoa (2009) e nel suggestivo Carte d’Avana (2010), realizzato con la collaborazione di Francesco Barilli, regista che amo con tutto me stesso. In questa nuova incursione cubana Barilli scrive: La nascita del Che, Il gallo in bicicletta, Il maggiordomo di Caruso, Il coleottero del Malecon e La baia di Regla. Editore Aragno, che pubblica sempre letteratura di buon livello, ma ha il limite di non personalizzare le copertine, tutte rigorosamente uguali. Cinque storie orgogliosamente fuori moda, lontane mille miglia dal niente che si pubblica adesso, costruite con puntigliose descrizioni del paesaggio, degli ambienti, delle situazioni e con pochi dialoghi. Barilli ama Cuba e non ne fa mistero, sogna di perdersi tra le sue braccia e nelle sue strade, magari all’interno di un taxi collettivo, in una guagua scassata e puzzolente, in un lungomare cittadino al tramonto del sole, sorseggiando rum e mangiando riso con fagioli. Barilli racconta la mia Cuba, leggo le descrizioni dei luoghi che tanto ho amato e che continuano a violentare le mie notti e mi sembra di leggere me stesso o i miei scrittori cubani preferiti. Per questo il racconto che più amo è Il coleottero su Malecon, appunti per un diario di viaggio scritti in terza persona che riflettono momenti di vita vissuta, che sono anche la mia vita. Barilli racconta l’odore di Cuba, quel mix di benzina, frutta marcia e sentori di magia tropicale che ti afferra alla gola appena scendi dal tuo aereo e cominci a percorrere le lunghe direttrici della capitale. Un libro che racchiude i misteri del fascino cubano, le piogge d’ottobre violente e improvvise, il tanfo implacabile che si leva da strade spesso di terra battuta, l’aroma del caffè e delle pastel di guayaba, la scia profumata di orchidea lasciata da una ragazza che passa per strada. Barilli come tutti noi, mezzi pazzi, innamorati di Cuba, scrive in italiano e in spagnolo, cita un sacco di termini cubani, per esorcizzare l’assenza, quel senso di paradiso perduto che dopo un po’ di tempo provoca la mancanza da Cuba. Bravo Barilli, continua a scrivere quelle storie che non sono più capace d’inventare perché da troppi anni manco dal Caribe. Leggerti mi fa bene, lenisce il dolore della lontananza.

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