Un coraggioso cavaliere, armato di lancia e scudo, che si scaglia al galoppo contro un drago spaventoso per salvare una dolce fanciulla, tributo di sangue rapito con forza dalla città.
Un mito atavico, ancestrale quanto i primi uomini che nel buio delle foreste fronteggiavano quotidianamente creature ferali, ormai estinte.
Da Eracle a Beowulf sino a san Giorgio, ogni cultura ha tramandato le imprese dell’eroe che l’ha aiutata a liberarsi dei mostri che ne infestavano la terra, e Vasilij Kandinskij s’inserisce in questa lunga linea mitologica affidando ai posteri il proprio eroe, il proprio mostro.
“Der Bleau Reiter”, “Il Cavaliere Azzurro”, un dipinto dall’atmosfera onirica, metafisica e mistica che contraddistingue l’intera produzione dell’artista.
Ma chi c’è realmente sul campo, chi sono i due sfidanti che si fronteggiano in una lotta all’ultimo sangue? Esiste realmente un eroe, esiste realmente un mostro? O forse, il confine tra i due è così labile da rendere impossibile qualsivoglia distinzione?
Questo sembra suggerire Kandinskij delineando i contorni indistinti e fumosi dei due protagonisti. Basta solo scrutare con attenzione gli elementi del paesaggio.
Sullo sfondo un borgo dai lineamenti fantastici, la cui morbida architettura lo rende un tutt’uno con le candide nubi su cui è sospeso.
Da esso si snoda un sentiero fatato che conduce dritto alla soave principessa da cui proviene un barlume bluastro, colore mistico per eccellenza nella teoria di Kandinskij.
Ogni cosa sembra suggerire purezza, tutto è nitido, immacolato, vergine. Ma ombre scure si aggirano per il dipinto.
Quella del drago, certo, che sbuca minaccioso da una grotta scura, la cui vegetazione è secca e appassita. Ma non solo.
Nel centro esatto del quadro un vortice scuro si libra nell’aria, ben più tenebroso del terribile mostro. È l’eroe, il cavaliere azzurro, che galoppa in sella al suo destriero creando nell’etere una nube di tenebre; il volto è grigio, lo sguardo inesistente, i capelli d’un rosso fiammeggiante.
Pure l’espressione dello stallone non è delle più rassicuranti, anzi il suo occhio color ebano non è così dissimile da quello del mostro.
Se non vedessimo il cavaliere lanciarsi contro il drago sarebbe molto difficile identificarlo come “l’eroe”, poiché la differenza tra il mostro e il paladino è pressoché nulla.
È arduo trovare una soluzione alle scelte di Kandinskij, se non cambiando prospettiva.
In questo dipinto il semplicistico concetto di Bene e Male crolla, poiché non esiste alcun eroe, non esiste alcun mostro, ma soltanto un uomo che affronta i propri démoni interiori; in questa disperata lotta la lancia del cavaliere non è puntata contro il drago, ma contro se stesso.
Il mostro è dentro di noi, la grotta in cui si nasconde è situata nelle recondite gallerie del nostro inconscio; ogni giorno ingaggiamo una battaglia disperata per non lasciarci sopraffare dalla diabolica bestia, brandiamo la lancia e lo scudo e ci avventiamo contro le oscure sfaccettature del nostro animo. Alcune volte vinciamo, altre volte no, ma raggiungere questa consapevolezza è il primo passo per non uscirne sconfitti.