E' superfluo bendare gli occhi alla giustizia; tanto è cieca.
Hans Hermann Kersten
L’espressione
responsabilità civile[1] indica quell’istituto giuridico costituito dalle norme che devono identificare il soggetto tenuto a sopportare il costo della lesione di un interesse altrui
[2]. Questa lesione, di norma, avviene come conseguenza di un "fatto illecito" descritto, in via generale dall'art. 2043 codice civile, che obbliga al risarcimento del danno chiunque cagioni, con fatto proprio, doloso o colposo, un danno "ingiusto" ad altra persona
[3].
Il principio vale (o dovrebbe valere) per ogni attività umana inclusa, ovviamente, la delicatissima attività “professionale” dei Magistrati, che con le loro decisioni vincolanti in materia civile e penale possono letteralmente sconvolgere la vita delle persone o sul piano patrimoniale o sul piano della loro libertà personale, spesso da entrambi i punti di vista.
In estrema sintesi, il nostro ordinamento ha, storicamente, sempre previsto norme circa la responsabilità civile dei Magistrati; nel periodo “liberale”, dopo l’unità nazionale, e in quello fascista, la responsabilità civile per i danni ingiusti provocati dal Magistrato nell’esercizio delle sue funzioni era pressoché esclusa, o comunque considerevolmente limitata. Il Codice di procedura civile del 1865 (artt. 783 ss.) e, successivamente, il Codice di procedura civile del 1940 (artt. 55, 56 e 74), circoscrivevano la responsabilità del magistrato a casi estremamente limitati, ossia ai casi di dolo (danno provocato con intenzione), frode, denegata giustizia, con una notevole disparità di trattamento rispetto agli altri impiegati civili dello Stato, che rispondevano invece anche per colpa grave (danno provocato senza l’intenzione anche se con negligenza non scusabile)
[4].
Ovviamente nel corso del secondo dopoguerra l’evoluzione sociale ha mutato la sensibilità dell’opinione pubblica nei confronti degli errori giudiziari e della responsabilità dei Magistrati. Il caso giudiziario eclatante del presentatore/giornalista televisivo Enzo Tortora, di cui si è ricordato recentemente il ricorrere del trentesimo anniversario dal suo inizio, e l’inasprirsi dei rapporti fra potere politico e ordine giudiziario, portò nel 1987 alla presentazione di una richiesta di
referendum per l’abrogazione degli articoli citati del Codice di Procedura Civile, consultazione che si tenne nel novembre di quell’anno, con un risultato “plebiscitario” a favore della cancellazione delle norme
[5].
Al conseguente vuoto normativo che si verificò, il Parlamento reagì elaborando la Legge n. 117 del 1988 (o Legge Vassalli, dal nome dell’allora Ministro di Giustizia Giuliano Vassalli che la ispirò), la quale andava a ridisciplinare la responsabilità civile dei magistrati nell’ambito dell’esercizio delle funzioni giudiziarie
[6]. Il principio cardine della nuova normativa è rinvenibile all’art.2 che sancisce che tutti coloro che hanno ricevuto un danno ingiusto a causa di un provvedimento giudiziario, un comportamento o un atto messo in pratica dal Giudice con colpa grave o dolo nell’esercizio delle sue funzioni, hanno la facoltà di agire contro lo Stato, richiedendo un risarcimento dei danni (sia patrimoniali che non patrimoniali), eventualmente anche connessi alla privazione della libertà personale.
Il comma secondo dell’art.2 esclude, invece, che possa sorgere responsabilità dall’attività di interpretazione delle norme di diritto né da quella di valutazione del fatto e delle prove, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie (c.d. “clausola di salvaguardia”): quest’ultima attività, a ben vedere, rappresenta il nucleo essenziale dell’attività del Giudice il cui eventuale errore nell’inquadrare l’accadimento specifico (reato o fatto illecito civile) nella fattispecie di legge (generale e astratta, c.d. opera di “sussunzione”), andrà contestato con i normali mezzi di impugnazione previsti (Appello, Cassazione), chiamando cioè diversi Giudici (intesi anche come persone fisiche), a valutare di nuovo i fatti
[7].
Tralasciando l’ipotesi di dolo (danno arrecato intenzionalmente dal Magistrato), che non presenta particolari problemi in quanto perseguibile con gli ordinari strumenti del diritto penale
[8], e unica ipotesi in cui il Magistrato risponde direttamente al pari dello Stato, il legislatore ha ritenuto necessario precisare quando ricorra l’ipotesi di colpa grave, identificandola in quattro ipotesi:
a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente (al di là di ogni dubbio) esclusa dagli atti del procedimento;
c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;
d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.
Per quel che riguarda il “diniego di giustizia”, invece, esso avviene nel momento in cui il Magistrato si renda protagonista di ritardi, rifiuti o omissioni nel compimento di uno o più atti del suo ufficio, quando la parte poi, una volta scaduto il termine di legge, presenti istanza per ottenere il provvedimento (c.d. messa in mora), e dalla data di deposito in cancelleria di questa richiesta siano decorsi senza motivi giustificati trenta giorni
[9].
L’art.4 stabilisce che l’azione di risarcimento contro lo Stato deve essere esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri
[10], e può essere attivata soltanto quando siano stati esperiti (tutti) i mezzi ordinari di impugnazione e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno
[11].
Il Tribunale investito del caso delibera sull’ammissibilità dello stesso, sentite le parti, e se ammette la domanda, dispone la prosecuzione del processo, ordinando che copia degli atti sia trasmessa ai titolari dell’azione disciplinare
[12]; al contrario la domanda può essere rigettata con decreto motivato, a sua volta impugnabile davanti alla Corte di Appello e alla Cassazione
[13]. Il Magistrato, la cui condotta ha fatto sorgere la controversia, può intervenire in giudizio, al quale comunque resta estraneo, venendo la condanna al risarcimento pronunciata nei confronti dello Stato, e non farà stato nel successivo giudizio disciplinare; diversamente la pronuncia farà stato (avrà piena rilevanza nella decisione finale) nel separato giudizio di rivalsa, qualora il Magistrato sia intervenuto difendendosi (art.6, L.117/1988). La rivalsa dello Stato, che abbia risarcito il danno, sul Magistrato responsabile, è esperibile entro un anno dall’avvenuto risarcimento, e non può superare
“un terzo di una annualità dello stipendio” (fatta eccezione per le ipotesi di dolo, per le quali non vi è limite, art.7 e 8, L.117/1988)
[14]. Tali disposizioni sono valide per i componenti di tutte le classi della magistratura: quella ordinaria, quella contabile, quella amministrativa, quella militare. La responsabilità civile, in sostanza, si applica a tutti coloro che, a prescindere dalla natura delle funzioni, esercitano attività giudiziaria, compresi gli “estranei” che prendono parte all’esercizio della funzione (es. i Giudici Popolari di una Corte d’Assise, il cui comportamento doloso e/o colposo rientri nelle caratteristiche previste). Nei casi in cui il Giudice è collegiale, l’art.16 della L.117/1988 prevede che il componente dissenziente rispetto alla decisione della maggioranza del collegio, manifesti il suo dissenso, succintamente motivato, in apposito verbale, che verrà conservato in plico sigillato e sarà aperto solo nel caso che venga esercitata l’azione di responsabilità.
Sulla validità ed efficacia della legge Vassalli del 1988, nel dibattito politico italiano si contrappongono da sempre due visioni, una più ortodossa, diciamo “politicamente (e giuridicamente) corretta” ed una più “radicale”.
La prima si contrappone a coloro che considerano la maggioranza della Magistratura italiana un ordine sostanzialmente “politicizzato”, tendenzialmente tutelato con l’esenzione da una effettiva responsabilità, di fatto non assicurata dalla Legge del 1988
[15]. Infatti, di fronte ad un danno ingiusto a terzi, causato dall’attività del Magistrato occorre tener conto della “singolarità” della funzione da questi svolta, prima di applicare la regola generale dell’obbligatorietà del risarcimento (art. 2043 c.c.) che appunto deve subire un “temperamento”. I Magistrati, infatti, nell’esercizio della loro autonoma funzione (espressione di uno dei tre poteri dello Stato sovrano), non possono essere soggetti al medesimo regime giuridico cui sono soggetti gli altri cittadini o i “pubblici impiegati” in genere, in quanto potrebbero essere continuamente condizionati da pressioni esterne, ovvero da minacce di azioni giudiziarie nei loro confronti, e ciò comprometterebbe in modo evidente la loro serenità, indipendenza e imparzialità. Ecco il motivo per il quale in tutti gli Stati democratici sono previste delle limitazioni di responsabilità o, meglio, dei regimi giuridici di responsabilità
ad hoc per i Magistrati. In Francia, Germania, Portogallo, Belgio e Paesi Bassi il principio è, in sostanza, lo stesso stabilito dalla legge Vassalli, con qualche differenza. Per esempio in
Francia il cittadino può rivalersi sullo Stato, ma lo Stato, se condannato, può a sua volta rivalersi sul Giudice in caso di “mancanza intenzionale particolarmente grave”. Situazione simile in
Belgio e
Portogallo, con lo Stato che può rivalersi sul giudice solo in caso di dolo (intenzionale). Nei
Paesi Bassi la responsabilità è unicamente dello Stato che non può rivalersi sul Giudice. In
Spagna invece Stato e Giudice possono essere chiamati in solido a rispondere civilmente dei danni causati, ma solo dopo che un Tribunale apposito abbia stabilito il dolo o la colpa grave. In
Germania la responsabilità civile è unicamente dello Stato. Fa eccezione l’
Inghilterra che stabilisce “l’immunità giudiziaria”: i Magistrati non devono rispondere di nessun atto sottoscritto nell’esercizio delle proprie funzioni. D’altra parte la Costituzione Italiana all’art. 28 afferma che «
I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici». La norma, insieme al principio costituzionale di ragionevolezza, non consentirebbe un regime di totale esclusione della responsabilità per i soli Magistrati, ma certamente consente un regime alternativo alla “semplice” applicazione della Responsabilità
Aquiliana ricordata sopra. Siamo di fronte all’ennesimo contemperamento di interessi e di principi: quello di responsabilità di tutti i pubblici dipendenti, al pari di ogni cittadino (art. 28 Cost.) da un lato, e quello di indipendenza e imparzialità della magistratura (artt. 101, 104 e 108 Cost.) dall’altro.
Tuttavia la legge Vassalli e il sistema che essa crea è stato, negli ultimi anni, criticato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale, attraverso casi divenuti celebri, ha affermato alcuni principi che non sarebbero rispettati dalla legge: che
lo Stato deve ritenersi responsabile “quando il Giudice abbia violato in maniera
manifesta il diritto vigente” (caso
Kobler, 30 settembre 2003, causa C-224/01), e che la responsabilità dello Stato deve sorgere anche quando detta violazione “risulti da un’attività di
interpretazione di norme di diritto ovvero di valutazione dei fatti e delle prove”, giudicando incompatibile con il diritto europeo una normativa, come quella italiana, che limita la responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave. Dunque per la Corte di Lussemburgo i Magistrati nazionali devono diventare responsabili anche di “interpretazioni creative” (ma manifestamente infondate). In secondo luogo lo Stato deve essere chiamato a risarcire i cittadini non solo quando il danno ingiustamente patito dipenda da una violazione del diritto comunitario, ma anche quando discenda da violazioni del diritto interno (come suggeriscono ragioni di logica e di ragionevolezza). Anche le statistiche per le quali dal 1988 al 2012 sono state appena 406 le cause effettivamente avviate da cittadini nei confronti di un Giudice, quelle dichiarate ammissibili sono state 34, le condanne effettive sono state appena 4, dimostrano plasticamente la sostanziale inefficacia/inadeguatezza della legge Vassalli, che disegna una procedura particolarmente “articolata” per usare un eufemismo, e la cui riforma costituisce un problema rilevante per il sistema giudiziario italiano
[16].
L’obiettivo delle modifiche alla legge dovrebbe essere l’estensione della responsabilità civile del Magistrato (oltre che per “dolo”, “colpa grave” e “diniego di giustizia”) alla “manifesta violazione del diritto” anche nell’attività interpretativa/valutazione prove, e per questa via la eliminazione della c.d. “clausola di salvaguardia”. Infatti, e qui ci addentriamo nella visione più “radicale” della tematica, una disciplina di rigorosa responsabilità, in realtà, non mina l’autonomia della magistratura ma la rafforza, ancorandola a un “
nomos” (principio-regola), riconosciuto. E rende la Giustizia più rispettabile, condizione necessaria perché essa sia davvero rispettata. La responsabilità del Magistrato sarebbe un tema marginale, se fosse possibile parlarne in modo “normale”. Invece, nel nostro Paese, diventa un tabù perché la preponderante influenza degli interessi personali e corporativi rende costantemente il parlare di giustizia un parlar d’altro
[17]. Il 2 febbraio 2012, la Camera dei Deputati, discutendo la legge comunitaria 2011
[18], ha approvato un emendamento (proposto dall’On. Gianluca Pini- Lega Nord), diretto a modificare la L.117/1988, per cui “
chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento” di un Magistrato “in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni o per diniego di giustizia”, possa rivalersi facendo causa sia allo Stato che al magistrato per ottenere il risarcimento. Le novità “dirompenti” rispetto alla legge Vassalli sono due: la responsabilità è genericamente estesa alla “manifesta violazione del diritto” (quindi anche nell’attività interpretativa quando “abnorme”), e il cittadino è in grado di citare in giudizio direttamente il Magistrato e non solo lo Stato. La fine anticipata della legislatura ha interrotto l’
iter della legge, e l’argomento non risulta più presente nei disegni di legge attualmente all’esame del Parlamento. Presto il nodo tornerà al pettine…
Non è sempre facile presentare al popolo
il volto della giustizia e raccoglierne gli applausi.
Ezio Vanoni
L'azione può essere esercitata decorsi tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno se in tal termine non si è concluso il grado del procedimento nell'ambito del quale il fatto stesso si è verificato (art.4, III comma, L.117/1988).