una formula semplice per ripartire
«L'Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme;
essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto»
(Robert Schuman, 9 maggio 1950)
La situazione attuale
Il quadro descritto dagli ultimi dati forniti da Eurostat[1], l’ufficio statico europeo, non sono per nulla confortanti: a settembre, i 27 Stati membri dell’Unione europea hanno segnato un ulteriore record per la percentuale di popolazione disoccupata toccando il 10,6%, vale a dire oltre 25 milioni di persone!
L’Eurozona non brilla certo, anzi: nei 17 paesi che hanno adottato la moneta unica, il tasso è dell’11,6%!
Analogo discorso vale se prendiamo in considerazione, con tutti i suoi limiti[2], l’indicatore del Pil: modestissima crescita (+ 0,1%) per l’Ue dei 27, calo (- 0,1%) per l’area Euro.
Al di là dei discorsi entusiastici o pessimistici, delle misure draconiane o velleitarie, dei tagli e dei sussidi, si deve riconoscere che l’Europa sta vivendo una continua fase di recessione[3], senza che le sue istituzioni riescano ad indicare un valido cammino per uscirne o un piano sostenibile per affrontarla nel migliore dei modi.
In particolare, l’Unione europea, dopo 60 anni dai primi passi mossi sotto gli auspici di grandi “profeti visionari” quali Karl Adenauer, Alcide De Gasperi e Robert Schuman, sembra aver perduto la propria capacità di porsi quale progetto percorribile e auspicabile per un futuro migliore per i popoli del vecchio continente, nonostante le condizioni storiche siano molto simili: allora, si cercava di riprendere a vivere uscendo dalle macerie di una devastante guerra fratricida; oggi, si vorrebbe evitare di arrivare ad un simile confronto violento, benché la nostra società sia già cosparsa di enormi macerie (fisiche e valoriali).
Si sono smarrite le coordinate lungo le quali si è percorsa tanta strada e si è costruito un modello unico al mondo, fatto oggetto di studi ed imitazioni, ma difficilmente replicabile vista l’unicità del contesto europeo (la comune tradizione culturale, la ricca storia, la particolarità geografica).
I 3 pilastri per una nuova strategia
Il contributo al dibattito per la realizzazione di una nuova Europa che in questa sede si vuole offrire, parte dalla semplice constatazione che si è perduto lo spirito ispiratore che muoveva i padri fondatori e, dunque, dal recupero di alcuni dei principi costitutivi al fine di porli alla base di una strategia condivisa per la rinascita della casa comune europea.
La formula di sintesi, semplice ma efficace nello stile proprio della comunicazione paneuropea, potrebbe essere espressa attraverso un “3S4E”, vale a dire “Subsidiarity, Solidarity & Sovereignty for Europe” (“Sussidiarietà, Solidarietà & Sovranità per l’Europa”).
In una simile prospettiva, dobbiamo ricordare che sussidiarietà e solidarietà hanno da sempre avuto dei ruoli portanti nella costruzione dell’Europa unita e le limitazioni di sovranità che gli Stati membri accettano sono unicamente funzionali ad un potenziamento della capacità d’azione dell’Unione.
Ciò detto, risulta interessante sottolineare come simili pilastri siano presenti nei Trattati oggi in vigore: il termine “solidarietà” risulta ben 10 volte nel Trattato sull’Unione europea (TUE) e 8 nel Trattato sul funzionamento dell’Ue (TFUE), a partire dal loro preambolo; “sussidiarietà”, invece, appare 9 volte nel TUE (fondamentale l’art.5 ai suoi commi 1 e 3)[4] e 3 nel TFUE; “sovranità”, d’altra parte, è rinvenibile solo 2 volte all’interno del TFUE, e non perché non si riconosca importanza a questo aspetto, bensì perché tutto il sistema unionista è fondato sul conferimento e la condivisione delle sovranità statuali all’unico soggetto aggregativo.
A fronte di quanto sopra, e alla luce della difficile situazione con cui ci si trova confrontati da alcuni anni, va fatto notare che la parola “crisi”, nell’accezione di “crisi economica”, non trova posto all’interno dell’impianto dei trattati. L’unico significato che si riconosce al termine è quello inerente ad eventi che comportino attentato alla politica di sicurezza e di difesa comune[5].
Altrettanto eloquente è il raffronto con gli ultimi nati nel panorama degli strumenti vincolanti, i temuti e misconosciuti Trattati sul Meccanismo Europeo di Stabilità e sul Fiscal Compact di cui ci siamo occupati nei mesi scorsi[6]: una sola volta si cita la bestia che si vuole combattere, la “crisi”, e una sola l’unica arma veramente efficace, la “solidarietà”!
Come alcuni[7] hanno sostenuto, il sistema creato dai trattati europei era un “matrimonio” che prevedeva solo “la buona sorte”, all’interno del quale non potevano trovare cittadinanza concetti quali quello di “crisi” e “ciclicità”, per non parlare di “spread” o “rating”. Sin dal preambolo originario, si era accompagnati da parole evocatrici di ottimismo: si desiderava ardentemente edificare un mondo nuovo, per sé e per i propri figli.
E il desiderio dei padri costituenti fu così forte da portare al concepimento di un sogno visionario che andò a scalzare tutte le categorie classiche sino ad allora conosciute e impiegate. I giuristi si scervellarono per cercare di inquadrare ciò che nacque e si sviluppò da allora in una delle categorie note: una organizzazione internazionale, al pari delle Nazioni Unite, o uno stato federale, come gli Stati Uniti d’America?
Niente di tutto questo! Ci si limitò di uno sbrigativo[8] tertium genus, senza tentare nemmeno di esercitare le intelligenze per elaborare un quid novi che definisse profondamente ciò che nuovo era veramente.
Oggi, alle mutate condizioni micro e macro, è necessario rispondere riscoprendo gli originari pilastri europei e dando loro nuova forza.
Il primo è certo rappresentato dalla sussidiarietà verticale e orizzontale che deve porsi quale sistema generalizzato di ripartizione delle competenze e possibilità di intervento tra istituzioni pubbliche, a livello locale, nazionale ed europeo, e corpi sociali, organizzati e non.
Il secondo è dato da una rinnovata solidarietà sociale intesa nel suo senso più ampio: valore cui conformarsi, obiettivo da perseguire, stile operativo, di ogni attore pubblico e privato, in ogni attività a rilevanza relazionale.
Il terzo è imprescindibile per garantire l’auspicata futura evoluzione dell’Unione: l’ampliamento delle porzioni di sovranità da condividere. Attenzione, non si è detto “delegare” o “cedere”, bensì “condividere”. Solo con una sincera e piena condivisione della propria sovranità da parte di tutti gli Stati membri, si può raggiungere un potenziamento del soggetto unitario e contribuire in questo modo ad accrescere la legittimità, la legittimazione e la credibilità della stessa Unione europea e dei paesi parte tanto ad intra, nei confronti dei propri cittadini, quanto ad extra, nei confronti della comunità internazionale.
Tutto ciò, ovviamente, nel pieno rispetto dei trattati vigenti.
La prossima Europa
Per perseguire in maniera proficua quanto sopra esposto, non ritengo necessario procedere con l’apertura dell’ennesima fase di revisione dei trattati: la bulimia normativa è manifestazione di un disordine organico molto grave che dobbiamo evitare, anche in Europa, mentre la sobrietà è virtù preziosa anche nel legislatore.
Difatti, prendendo in considerazione il sopraccitato art.5 TUE[9], ove non si parla espressamente di sovranità ma si dettano i principi per la delimitazione delle competenze (attraverso il principio di attribuzione) e per il loro esercizio (attraverso la richiamata sussidiarietà) tra istituzioni europee e Stati membri, e leggendolo in combinato disposto con gli artt.2-6 TFUE[10], che trattano regolano dette competenze, si delinea agevolmente il percorso evolutivo che il funzionamento della macchina unionista può seguire.
A maggior ragione, alla luce di quanto previsto dal Protocollo n.25[11] al Trattato di Lisbona, sull’esercizio della competenza concorrente, e dalla Dichiarazione 18[12], relativa alla delimitazione delle competenze, si rafforza l’opinione circa l’inutilità di nuovi strumenti pattizi per regolare interventi straordinari di politica economica e monetaria o manovre di coesione sociale: tutto poteva, potrebbe e potrà essere realizzato soltanto volendolo fermamente! I popoli europei lo vogliono, i governi europei devono operarsi in questa direzione senza accampare scuse meschine o trincerarsi dietro egoismi machiavellici.
Procedendo, inoltre, dalla definizione che la politologia offre dell’Unione europea, «un sistema politico multilivello»[13] fondato su di una «allocazione autoritativa di valori»[14], e fermamente convinto che la costruzione europea non possa reggersi su verità rivelate con modalità top down, ne propongo una evolutiva all’interno della quale sia rinvenibile pure una sorta di manifesto d’azione: “diffusione pandemica di valori e pratiche”, i tre pilastri e le azioni che da essi sgorgherebbero come necessarie conseguenze.
Alla luce di simile categoria, l’Europa risulta essere una realtà da scoprire di continuo, radicare in profondità e in ciascuno, diffondere in modo ampio e capillare, attuare concretamente con moto policentrifugo (e modalità bottom up), quasi una novella peste di cui contagiare tutti gli europei.
Serve un rigurgito di entusiasmo, di euroentusiasmo, avviabile forse solo con un nuovo movimento culturale e politico che coinvolga tutti, cittadini e istituzioni, in tutta Europa: la formula 3S4E non è certo magica, ma se riuscisse a dare nuovo respiro al vecchio continente, sarebbe più esplosiva della più nota e micidiale TNT!
[1] Cfr. http://epp.eurostat.ec.europa.eu.
[2] Cfr. dello stesso A., Oltre il PIL, per calcolare la vera ricchezza delle nazioni, in KultUnderground, n.158, settembre 2008.
[3] Cfr. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-11-16/leuropa-torna-recessione-063647.shtml?uuid=AbzgKN3G.
[4] Art. 3, 1 e 3 TUE: «1. La delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul principio di attribuzione. L'esercizio delle competenze dell'Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità. […] 3. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione.
Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo la procedura prevista in detto protocollo».
[5] Cfr. artt. 42 e 43 TUE.
[6] Cfr. dello stesso A., Ingegneria finanziaria in risposta alla crisi: l’Europa al lavoro, in KultUnderground, n.189, aprile 2011; Il Trattato sulla stabilità economica: rafforzamento o fine dell’idea di Europa, in KultUnderground, n.200, marzo 2012; The European dream has failed: a new project is needful!, in KultUnderground, n.204, luglio 2012.
[7] Cfr. Giulio Tremonti al Forum Ambrosetti, Cernobbio (Como), 7 settembre 2012.
[8] Cfr. Draetta U., Elementi di diritto dell'Unione Europea. Parte istituzionale. Ordinamento e struttura dell'Unione Europea, 2009.
[9] Cfr. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:083:0013:0046:IT:PDF.
[10] Cfr. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:083:0047:0200:IT:PDF.
[11] Cfr. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:083:0201:0328:IT:PDF.
[12] Cfr. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:083:0335:0360:IT:PDF.
[13] Cfr. Paolo R. Graziano al laboratorio Europa: radici e futuro, Milano, 17 novembre 2012.
[14] Cfr. Foradori P. e Scartezzini R. (a cura di), Globalizzazione e processi di integrazione sovranazionale: l'Europa, il mondo, 2006.