LietoColle, 2010
Sono entrata nella prima poesia dellasilloge e d’impeto il pensiero si è affollato di figurazioni. Mi è venuto inmente Montale del male di vivere, ho pensato alla malattia di Zeno, di Ulrich,nell’Uomo senza qualità di Musil, quella medesima dell’Ulisse di Joyce, quella precisache muove sotto lo sguardo nichilista di Nietzsche, di Sartre: mediocrità emorbo della volontà che possiamo definire in breve come il dolore esistenzialedel Nulla che ci attornia.
E ritornando alla copertina, la sceltadell’immagine è ancora rappresentativa. Sono raffigurati ” i vinti” di Verga,coloro che tentano di affacciarsi al mondo, ma quando uno di quegliuomini….volle staccarsi dai suoi…il mondo, da pesce vorace ch’egli è, se loingoiò e i suoi più prossimi con lui.
La pochezza dell’essere, difatti, nonammette riscatto e salvazione.
In epigrafe, poi, alcuni versi di Borges, quellifamosi dedicati alle cose, le quali possiedono itinerari precisi e vitapropria. Più durature della creatura che le attraversa, nemmeno si accorgonodel suo passaggio e della sua scomparsa.
Nell’accezione di G. G. Magro, però, questiconcetti acquistano un senso capovolto, segnano una frattura. Siamo noi glischiavi e le vittime del subdolo silenzio delle cose. Esse rappresentanogli archetipi attraverso cui filtra la nostra vita, che cerca inutilmente ditrovare, attraverso la catalogazione, dei saldi punti appoggio, ma le cose,intese in senso lato come tutto ciò che si fa oggetto e/o accade, conservano inveceuna propria imperturbabilità e impenetrabilità: un muro davanti all’umanorespiro per soffocarlo.
Amo quel che c’è, il niente di pietra/ chemi gira intorno fingendo d’esistere.
La silloge si muove in gran parte attornoall’ostilità del mondo a farsi comprendere e a raccogliersi in una leggeuniversale. Assistiamo a un contrappunto drammatico, nel quale il poeta soffre lapropria inerme unicità, la sua meschina lentezza di lumaca in ambirtisignificanti, mentre si trova contro la freddezza insipiente, quasi ostile delreale, anche quando acquista le sembianze dell’avanzamento scientifico chedovrebbe avviare una nuova era illuministica: l’età dell’oro della saluteeterna e della letizia universale.
Non comprendo la sacra elica del DNA.
La poesia non è altro che l’occhioattraverso/ cui le cose guardano gli uomini/ e non viceversa/ perché le cosesono mute d’enorme. E in altri punti ritorna sul medesimo concetto: lecose si toccano appena/ e non ce lo fanno sapere…la parola è inutile…i poeti hanno/le malattie misteriose delle parole…chiamare per nome gli oggetti intorno/ nonè possedere il mondo/e questo mondo non è certo venuto bene…
Ma immagino che l’accusa del poeta contengain sé anche il rincrescimento e la non rassegnazione, altrimenti non avrebbesenso continuare a elencare i vuoti e le fragilità del percorso dell’uomo.
Inbreve, l’essere umano vagola fra simboli linguistici inutili, che nonchiariscono e non definiscono, in una foresta di corporee misteriose allegorie:l’homme y passe à travers des forêts de symboles/qui l’observent avec desregards familiars, ma al contrario di Baudelaire, Magro non ritiene intutta evidenza che alla poesia tocchi la possibilità della rivelazione. El’ignoranza rispetto alla cosa, quella che ci rende prigionieri col suo silenzio,porta poi all’agnosticismo più ampio, quello che alla fine impedisce di comporreil mondo e dire parole sull’esistenza di Dio.
Quindi,la denuncia di Magro dell’insussistenza di categorie e leggi universali non silimita alla sfera dell’umano e del terreno, ma si spinge all’intera volta delcreato, che non ammette elementi sovrannaturali e la stessa morte si assimilaal sonno notturno, senza spazi di immortalità.
Respiroampio accoglie questa poesia, dove si continuano a enumerare oggetti e a farneil centro della narrazione. In mezzo all’inconoscibile e indefinibile il poetaavverte la sua incapacità a relazionarsi –albatro goffo, incapace almovimento, – ma con la sensibilità e forse la speranza di intravedere altro.
Questa sorta di malinconico passoesistenziale, segnato dall’accettazione, diventa nella silloge un versomelodico, dalla struttura linguistica ben articolata. Voglio dire che noto unacostruzione che si espande bene nei parametri metrico – stilistici, ma anchesintattici, scarna ma senza troppe elisioni, che talora restringono un verso,come un tessuto bagnato, nel sugo di una sola parola che sembra arrogarsil’onere di contenere qualsiasi cosa. Qui gli elementi concettuali e strutturalisi tengono armoniosamente e generano un suono che prende per suggestione.
Per meglio esplicare il concetto, cito unbrano di un critico e anche ottima poeta, Giuliana Lucchini, a proposito dellostato della poesia:
Oggi si prediligono percorsi poetici divalenza enigmatica, scrittura informale che dicendo cela.
Accostamenti imprevisti sul suololessicale, parole a ruota libera, su lastricato scivoloso in quanto si puòsaltare di palo in frasca seguendo i flussi della coscienza, le cadute, se cisono, sono occultate dalla ovvietà del risultato. Tutto è possibile: “fuorchédire qualcosa”, commenta Alfonso Berardinelli.
Poesia oggi: come per un quadro astratto èla pittura, colore liquido gettato sulla tela, poi capovolta a lasciarsiasciugare in verticale.
Ebbene, con la poesia di Magro siamo benlontani da questi tragitti sincopati, spesso indecifrabili. Purnell’asciuttezza dell’espressione, nell’acutezza della proposta filosofica,elemento essenziale della poetica, l’autore ci consegna un canto limpido,fruibile in ogni punto, permettendoci l’accesso pieno al chiaroscuro del suosentimento.