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Racconti solidi come castelli di carte – Oschi Loschi

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La difficoltà nel proporre la recensione di una raccolta di racconti è costituita in primo luogo dallo sforzo necessario per rappresentare in maniera unitaria ciò che, salvo specifici casi, non lo è per definizione. Seppure “Racconti solidi come castelli di carta”, un volume prodotto da quello che potremmo definire un gruppo di scrittura (la parola collettivo sarebbe più appropriata ma ha assunto, nel tempo, una connotazione specifica), abbia scelto i semi delle carte da gioco napoletane come pretesto per raccogliere e organizzare i racconti, anch’esso non si distacca dalla variopinta eterogeneità di temi e stili che contraddistingue molte antologie.
Come regola per descrivere il contenuto del volume ho quindi scelto un metodo più da lettore che da recensore: evidenziare quello che mi ha stimolato e divertito, considerando il resto come un inevitabile pegno da pagare quando ci si imbatte, positivamente, in questo tipo di opere. Il risultato non potrà che essere una visione parziale e di stomaco, forse distante dalla necessità di fornire resoconti articolati e di testa, ma per una volta caratterizzato da una maggiore sincerità e immediatezza. La parzialità, in questo caso, rappresenterà sia una specifica porzione rispetto al tutto sia il prodotto di una certa partigianeria che, da lettore a lettore, potrà connotarsi di tinte diverse. Ma tanto fa: dal mio punto di vista, è sufficiente presentare anticipatamente le avvertenze e modalità d’uso del caso.
Giovanni Vergineo (“Binario morto”) ripropone una nuova versione dell’eterna storia di un sodalizio di ragazzi (ma dovremmo dire di uomini) il cui equilibrio viene intaccato dalla presenza tutt’altro che remissiva di un’appartenente a una razza diversa: quella delle donne. Il racconto è in realtà una confessione del protagonista[1] scritta perché “si sa, chi confessa è salvo”. Il viaggio rivissuto nei suoi ricordi porterà i giovani a scendere nelle viscere della Terra, seguendo le gallerie delle vecchie miniere in cui lavoravano adulti e bambini, dirigendosi verso un inferno che inevitabilmente lascerà addosso dei segni sia ai redenti sia ai condannati. Per alcuni di loro, infatti, la meta è tutt’altro che rassicurante perché, “la vita (…) non è altro che questo. A volte l’amicizia e l’amore non sono altro che questo. Non sono altro che un binario morto”.
Ben diverso è il punto di vista di Marcello Serino (“Un amore che brucia”). La vita di Gigio e della sua ragazza trascorre serena, senza grandi progetti o sguardi sul futuro. “Però si amavano e quando c’è l’amore di sicuro c’è anche qualcos’altro”. Passione? Fiamme, sicuramente, ma di ben altra natura.
Se per Gigio è il caso a far muovere i personaggi sulla scacchiera come pedine e a decidere del loro futuro, il protagonista di “Quello che rimase del cielo” di Umberto Di Lorenzo cerca nel mondo esterno i segni che possano indicargli la strada. E anche quando i segni sembrano non arrivare e ci si dedica allo studio “con la stessa passione che si può avere per una colica renale”, ci si può trovare  vicino quella che diventerà la propria moglie. Peccato soltanto per la parentesi strappalacrime che prelude a un dialogo tra padre e figlia da incorniciare.
Di alcuni altri mi rimangono brandelli di frasi o pensieri. Luigi Furno (“Si è ammazzato uno”) ci ricorda che “vivere è un’imprudenza continuata”, a cui aggiunge un’aggravante insita nella natura stessa dell’uomo: “facendo la somma dei fatti, tutto sommato, non mi trovavo con i conti”. Sulla stessa lunghezza d’onda si inserisce Isabella Pedicini a cui deve essere tributato il ringraziamento per la biografia più coerente e significativa: “è nata a Benevento. Detesta le biografie, figuriamoci la propria”.
In ultimo lascio il racconto “Nero Latte” di Stella Iasiello, deliziosa quando scrive “Ci frugavamo sotto i vestiti e nelle intenzioni cercando di sciogliere i dubbi accumulati in un anno e io, inoltre, cercavo di aprire la porta di casa. Pier mi tolse le chiavi, senza smettere di baciarmi e riuscì a far scattare la serratura”. Fortunato l’uomo che ha ispirato queste parole.
 
Oschi Loschi – Racconti solidi come castelli di carte
ISBN 978-88-906142-0-0
Pag. 180 – € 10,00
Never Mind 2011

[1] “Ma visto che non mi conoscete, non sapete che faccia ho e che film affitto, non potrete giudicarmi se non da ciò che leggerete e quindi in ogni caso sono redento”.

 

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