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Le Origini del Romanzo Criminale

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Le Origini del Romanzo Criminale

Oggi, che la pena di morte è abolita in quasi tutti gli Stati, è piuttosto difficile figurarsi cosa poteva accadere nelle strade e nelle piazze della Londra Elisabettiana durante un’esecuzione pubblica.
Oltre ad essere un validissimo deterrente per la popolazione, e un sistema di controllo per il dilagare della criminalità, le esecuzioni erano anche, come fu per gli antichi Romani, un sistema di intrattenimento “gratuito” per le masse.
La gente, proveniente dalle campagne, giungeva nella capitale a frotte, a piedi e a cavallo, a bordo dei carri anche diversi giorni prima della data fissata. Intere famiglie si riversavano nelle strade, affollavano le bettole e le locande, e il giorno dell’esecuzione si accalcavano fin dalle prime ore dell’alba per ottenere i posti con migliore visibilità, così come potrebbe accadere oggi per cerimonie pubbliche, tra l’altro anche quelle in via di estinzione, come il palio di Siena.
Nelle piazze, trasformate in un mercato a cielo aperto, venditori ambulanti distribuivano ogni genere di mercanzie, dolciumi, salsicce e bevande, venivano venduti libercoli che narravano le gesta dei condannati e le loro imprese criminali.
Al momento dell’esecuzione, quando il carretto a sponde aperte solcava lentamente la folla, le persone si accalcavano, accapigliandosi, per vedere da vicino il malcapitato, insultarlo, colpirlo con i forconi, lanciargli contro oggetti contundenti e ortaggi.

La stessa sorte spettava anche ai nobili che, in punto di morte, venivano considerati allo stesso livello dei comuni criminali.
Quando la vittima giungeva al palco del patibolo, la ressa era all’apice, molti restavano feriti dalla calca, calpestati da coloro che stavano nelle retrovie e spingevano per vedere meglio, le persone si arrampicano ovunque fosse possibile, sui lampioni a gas, sui tetti delle case, si aggrappavano ai comignoli, ai cornicioni, alle finestre, con grande rischio per la propria ed altrui incolumità.
Il culmine della manifestazione era il momento in cui il condannato veniva issato, o trascinato, sul patibolo, la preparazione del boia, l’ultimo discorso, la benedizione del cappellano, poi l’attimo estremo in cui la scure si levava per abbattersi sul collo della vittima, e la sua testa, spesso con gli occhi ancora aperti, rotolava nel cesto di vimini appositamente predisposto.
Qui, spesso, l’umore della folla, sempre mutevole, cambiava di colpo e se il condannato nel momento del trapasso si era comportato con dignità, se le sue ultime parole erano state toccanti, se era morto con stile, allora la gente si accapiglia sotto al patibolo per conquistarsi brandelli delle sue vesti o altri souvenir che spesso venivano difesi a prezzo della vita, nel corso di disordinatissime risse e tafferugli che non di rado lasciavano al suolo qualche vittima e numerosi feriti.
Tali reliquie venivano poi conservate gelosamente, o fatte oggetto di lucrosissimi scambi commerciali, degni dello spirito del più puro, anche se macabro, collezionismo.
Gli stessi condannati che erano stati insultati e vituperati, e contro cui erano stati lanciati ortaggi, venivano poi venerati come dei santi, dei martiri o degli eroi, nell’incostanza mutevole della Storia.
Ecco perché, attorno a queste figure idealizzate e consegnate al mito, spesso ruotava una vera e propria attività commerciale, altamente redditizia.
Infatti fin dal Seicento il cappellano della famosissima prigione di Newgate, denominato Cappellano Ordinario, o più semplicemente “The Ordinary”, aveva facoltà di raccogliere le memorie dei personaggi condannati a morte, dopo averle ascoltate in confessione, e di riportarle al pubblico, opportunamente condite con i macabri particolari sulla loro morte.
Questi rapporti, sotto forma di rudimentali volantini, venivano venduti nella pubblica piazza nei giorni successivi all’esecuzione di modo che tutti coloro che non erano riusciti a trovare posto per assistervi dal vivo, potessero poi rivivere la scena attraverso i racconti del cappellano.
All’epoca era molto in voga assistere alle impiccagioni e questo tipo di resoconti trovò subito un largo seguito di pubblico, attirando addirittura l’attenzione della stampa. Nel 1773, infatti, vede la luce il Newgate Calendar, una specie di riassunto annuale delle pubbliche esecuzioni con una sorta di biografia romanzata e avventurosa che illustrava i misfatti, i crimini e i delitti dei condannati.
Il clamoroso successo di questa azzardata iniziativa suscitò subito una corsa all’emulazione da parte di tutti gli editori dell’epoca, che si diedero a pubblicare le gesta, “eroiche” ma delittuose, tratte dai fascicoli ufficiali dell’Old Bailey, l’antico tribunale di Londra, opportunamente condite da macabri dettagli e variopinte aggiunte della fantasia.
Divennero così consueti nell’immaginario collettivo i nomi dei luoghi “tipici” per le pubbliche esecuzioni. A Newgate venivano detenuti i condannati a morte in attesa del patibolo, sulla piazza di Tybum, che oggi si chiama Marble Arch, venivano eseguite le impiccagioni dei criminali comuni, mentre per i nobili era previsto il taglio della testa a Tower Hill.
In entrambi i casi una cerimonia di tale rilievo, come l’esecuzione di una condanna a morte in una pubblica piazza, richiamava grandi masse di pubblico che accorrevano fin dalle campagne, accompagnando il carcerato nel suo cammino dal carcere fino al patibolo, assistendo ai celeberrimi “discorsi del patibolo” dei condannati, immedesimandosi con essi, parteggiando per loro, salvo poi acclamare il boia quando infliggeva il colpo mortale.
Spesso la popolazione, che letteralmente gozzovigliava il giorno intero sulla piazza attingendo alle cibarie e ai dolciumi messi in vendita dagli ambulanti, mostrava una sorta di dualismo morale, da una parte godeva dell’applicazione della giustizia messa in atto nei confronti dei “malfattori”, dall’altra si identificava con coloro che contravvenendo alle leggi si erano messi in grado di sottrarsi alla miseria e allo squallore della vita quotidiana.
Per cui, mentre a volte era il condannato ad essere sbeffeggiato e fatto oggetto di lanci di frutta e ortaggi, non di rado tale sorte toccava ai pubblici ufficiali, agli esattori, alle forze dell’ordine costituito che per il popolino rappresentavano i mezzi con cui lo Stato angariava, pressava e controllava.
Non di rado allora il malfattore era visto come un eroe, mitizzato subito dopo l’esecuzione, al punto che la gente si accalcava sul patibolo per contendersi una reliquia, una ciocca di capelli, un lembo della veste.
La storia è piena di casi in cui il pubblico, dopo aver acclamato il boia, sia passato successivamente dopo a un immediato processo di santificazione del condannato, acclamato come un eroe, simbolo di ribellione e di riscossa.
Così esplodeva dirompente un cieco e morboso interesse per la sua vita, per le gesta compiute, per le ultime parole pronunciate, per le sue vicende sentimentali, per le cronache giudiziarie del suo caso e per i particolari raccapriccianti dei suoi crimini.
Da questa eterna ambivalenza dunque tra mitizzazione e condanna, tra disapprovazione e ammirazione, tra insulto e tributo, nasce l’interesse popolare per la narrativa criminale e per le cronache giudiziare.
Sfruttando questi stessi temi che saranno poi mirabilmente ripresi da Charles Dickens e Victor Hugo, nella realizzazione del primo, grande, vero filone del romanzo gotico nero, intriso di crimine, di sangue, di violenza, di debolezze morali, di umane passioni e di avventure rocambolesche.
Sabina Marchesi

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