La Manipolazione della Realtà:
Istruzioni per l’uso al servizio dello scrittore
Istruzioni per l’uso al servizio dello scrittore
Facciamo conto di voler scrivere, mettiamo, la biografia di Enrico VIII. Si tratta di un re famoso, che ha caratterizzato un’epoca, un personaggio popolare, che ha avuto sei mogli, tra cui la famosa o famigerata Anna Bolena, quasi tutte morte sul patibolo e accusate di alto tradimento. Re d’Inghilterra, sposo di Caterina d’Aragona, padre di Maria Tudor detta la Cattolica, o la Sanguinaria, e padre anche di Elisabetta I, la Regina Vergine, che attualmente ancora detiene il primo posto nella classifica dei sovrani più amati di tutti i tempi.
C’è dunque da aspettarsi, su una personalità così eminente, di trovare fiumi di informazioni, notizie, citazioni, memorie, lettere, estratti e diari. Qualsiasi scrittore professionista che si rispetti Vi dirà che per un romanzo storico, o per una biografia, di un personaggio realmente esistito occorrono almeno due anni di lavoro.
Di questi due anni uno va impiegato per ricercare, esaminare, catalogare e verificare tutte le fonti disponibili sull’argomento, l’altro viene speso per organizzare le informazioni ottenute in un compendio letterario di sufficiente impatto e di soddisfacente veridicità.
Ma attenzione, quando in una biografia romanzata leggete frasi come queste: “in quel momento il Re stava pensando che….”, oppure “nell’intimità della sua alcova il Re confessò alla sua ultima amante che…”, potete star certi che l’autore sta lavorando di fantasia. Nessuno può davvero sapere cosa stesse pensando il Re mentre era a caccia, o cosa abbia sussurrato in un momento di lussuria alle orecchie, caste o meno caste, di una cortigiana.
L’unica cosa che ci si può augurare è che l’autore, attribuendo frasi, pensieri e opinioni al protagonista, lo abbia fatto tenendo presente e rispettando la sua personalità, le sue attitudini e le sue inclinazioni. Si tratta in poche parole di rendere “veritiero” qualcosa di non dimostrato, ma in ogni caso altamente probabile.
Le cose però non vanno in questo modo, o almeno non dovrebbero andare in questo modo, per la cronaca, passata o presente che sia. Riportare un fatto realmente accaduto e parimenti documentato non dovrebbe essere una procedura soggetta a manipolazioni, il relatore dovrebbe mantenersi neutrale e dare il giusto rilievo a tutti i dati disponibili, indipendentemente dalle sue opinioni personali.
Invece che cosa accade? Accade che alla ricerca di un facile sensazionalismo i giornalisti spesso lanciano delle vere e proprie bombe nella placida acqua dell’opinione pubblica, e poi, come si suol dire, dopo aver lanciato il sasso nascondono la mano, rimanendo belli nascosti ed acquattati ad osservare i larghi centri concentrici, generati dal loro tiro azzardato, che si propagano all’infinito.
Per citare un episodio chiaro, quando negli anni ’60 si sente parlare per la prima volta delle misteriose sparizioni occorse nella zona del Triangolo delle Bermuda, lo scrittore americano Vincent Gaddis si limita a citare alcuni sporadici casi nell’ambito di un libro genericamente dedicato agli “Orizzonti Invisibili”. Circa 10 anni dopo lo stesso testo viene ripubblicato con il titolo eclatante “Il Triangolo Maledetto ed Altri Misteri del Mare”.
Ecco che così quello che inizialmente era solo uno dei tanti episodi misteriosi nella storia della marineria diventa improvvisamente un vero mistero, della portata tale da invogliare altri scrittori ad emulare l’esempio, al punto da generare una e vera propria caccia alla spiegazione più fantasiosa, eccentrica o paranormale.
Sarà poi Charles Berlitz nel 1975 a consacrare definitivamente al mito le misteriosi sparizioni del Triangolo delle Bermuda con la sua pubblicazione omonima che dà ampio rilievo alle statistiche, ai casi segnalati, alla lunga lista di sparizioni, disastri, scomparse e naufragi occorse in quel tratto di Oceano.
La spiegazione avanzata da Berlitz si collega in qualche modo a un altro dei miti più celeberrimi a memoria umana, la scomparsa di Atlantide, e Berlitz ipotizza che il continente perduto, forse sommerso proprio in quel punto, possa essere il responsabile di queste sparizioni misteriose, a causa di particolari onde emesse dall’originaria fonte di energia, ad oggi tuttora sconosciuta, situata nel continente ormai sommerso.
Nel giro di pochissimi mesi si verifica una corsa senza precedenti all’emulazione. Improvvisamente tutti parlano del Triangolo delle Bermuda, tutti sanno tutto, continuamente nuovi casi vengono aggiunti alla lista, antichi vascelli, moderne navi da carico, aerei militari e perfino sottomarini.
Le ipotesi variano dal paranormale alla stregoneria, passando attraverso alterazioni temporali, buchi neri nell’oceano, campi gravitazionali inversi, apparecchiature ultrasoniche di origine marziana, armi segretessime messe a punto dall’Esercito e sperimentate clandestinamente.
Ma la cosa più interessante è la spiegazione ufficiale dell’Ente preposto alle indagini, la Coast Guard.
Il rapporto della Guardia Costiera parla, sintetizzando, di normale casualità. Data l’alta intensità del traffico aereo e marittimo in quella zona che, ricordiamolo, interessa un tratto di mare a forma pressappoco triangolare, di circa 2.000 Km per lato, compreso tra la Florida, le Bermuda e Puerto Rico, l’incidenza degli episodi occorsi non è da considerarsi allarmante, o meglio, rientra nella quota statistica normalmente accettabile.
In poche parole il rapporto tra passaggi aerei, marittimi e navali, e il numero di incidenti verificatisi, rientra nelle casistiche. Niente di cui allarmarsi, niente che vada approfondito o spiegato. Mera fatalità.
Naturalmente la Coast Guard è un ente prettamente tecnico, che fa il suo lavoro con competenza ed efficacia, affidandosi unicamente agli unici episodi segnalati, verificati e rigorosamente accertati. Restano esclusi dunque dal loro esame tutti i casi dei vascelli fantasma, delle imbarcazioni trovate deserte al largo della costa, di navi ed aerei dispersi di cui non si è mai avuta conferma, e di tutti i natanti o velivoli che in fondo avevano solo transitato in quella zona, la cui scomparsa quindi, a rigor di logica, sarebbe potuta avvenire anche altrove, magari a migliaia di chilometri di distanza dalla zona incriminata.
Quanto alla mancanza assoluta di relitti, detriti o rottami delle unità disperse o naufragate, la Guardia Costiera liquida la faccenda senza troppi complimenti. Il Triangolo delle Bermuda interessa una zona di mare particolarmente profonda, attraversata da vorticose correnti, in grado di disperdere velocemnente i relitti o di trascinarli in fosse profonde migliaia di metri.
Nessuno sano di mente del resto potrebbe aspettarsi da un ente governativo la conferma o l’avvallo della concreta, o anche solo possibile, esistenza di un mistero. Per cui alla maggior parte di noi non rimane che accontentarsi delle spiegazioni fornite e riflettere sul fatto che, forse, non tutte le voci di quella lunga lista di sparizioni possano corrispondere a realtà.
Per gli scettici invece rimane la possibilità di continuare, a tempo perso, a scandagliare le cronache alla ricerca di qualche ulteriore notizia o informazione in grado di far pendere definitivamente la bilancia a favore o a sfavore di una teoria, piuttosto che di un’altra.
Ed ecco che nel febbraio 1977 parte una spedizione tutta italiana, una missione scientifica in piena regola, capitanata addirittura dal grande Ambrogio Fogar in persona. Quale occasione migliore di questa?
Diciotto partecipanti, divisi in gruppi, per garantire la massima attendibilità e un attento rigore di analisi. Ci sono scienziati interessati solo a ricavare un documentario serio ed imparziale, parapsicologi alla ricerca delle prove evidenti di un qualunque tipo di anomalia, archeologi subacquei che si propongono di rinvenire tracce o relitti sommersi magari ad altissime profondità, docenti di geologia incaricati di appurare particolari caratteristiche morfologiche del sottosuolo.
La spedizione rientra in Patria con oltre settemila metri di pellicola fedelmente girata, materiale per almeno trenta documentari scientifici, appunti per un libro sensazionale, prontamente uscito nel 1977, edito da Rizzoli con il titolo “L’ultima leggenda”, e ovviamente, quattro versioni diverse, nessuna risolutiva.
In effetti, a ben pensarci, si tratta di una zona di oceano vasta quanto tutta l’Europa Centro-Occidentale, non c’era certo da aspettarsi risultati definitivi. Quello che invece, non volendo, hanno trovato gli esponenti della spedizione italiana è stata una vera e propria industria turistica impiantata in loco, con periti, tecnici ed esperti disponibili a vendersi al miglior offerente e ad accreditare impassibilmente qualunque versione venga loro richiesta, ovviamente dietro corresponsione di un congruo compenso, anticipato.
Questo dimostra, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che la verità è oggi più che mai manipolabile.
Chi si fosse dato la pena di sottoporre a verifica i dati riportati nel libro di Berlitz, avrebbe riscontrato che i casi “reali” in effetti potrebbero essere molti di meno di quelli originariamente citati in maniera tanto eclatante dall’autore. Meno disastri, meno misteri. O forse no?
Tornando alle statistiche ad esempio è stato dimostrato che nel 1975 su un totale di ventuno sciagure verificatisi al largo di qualsiasi tratto delle coste statunitensi, in pratica entro il dominio della Coast Guard, solo quattro sono avvenuti nel famigerato triangolo. Stessa cosa per l’anno successivo, sei casi contro ventotto. Nulla di allarmante quindi e nemmeno di atipico. Soprattutto per una zona soggetta a cicloni, in presenza di venti ad alta quota particolarmente violenti, perturbazioni climatiche improvvise e occasionali fughe di gas dalle profondità oceaniche.
Ecco che allora il lettore, anche il più accanito sostenitore del paranormale, è costretto a rassegnarsi, forse dopotutto non c’è alcun mistero. Eppure, eppure, in questa epoca di rinnovati disastri aerei, forse, am dico forse, conviene tenere comunque d’occhio le pagine dei quotidiani, potrebbe ancora esserci qualcosa, dopotutto.
E infatti, puntuale, esce uno studio approfondito, effettuato sull’analisi di tutti i casi di denuncia, scomparsa, incidente o naufragio risultanti dall’archivio dei Lloyds di Londra. D’altronde se non lo sanno le compagnie assicurative, chi può saperlo? Lawrence David Kusche pubblica il volume “The Bermuda Triangle Mystery – Solved”, il Mistero Svelato, e le speranze degli scettici crollano defintivamente.
Perché infatti ricercare spiegazioni paranormali atte a giustificare la perdita del Rubicon, quando le testimonianze parlano chiaro di un uragano che lo ha investito mentre era ormeggiato, portando via addirittura l’intero molo?
Perché sostenere disperatamente la tesi dell’anomalia magnetica per la scomparsa della Marine Sulphur Queen, quando è stato chiaramente dimostrato il cedimento strutturale derivato dall’infuriare della tempesta?
Perché addebitare all’emissione di potenti gas sotterranei la colpa del naufragio della Stavenger e dell’Elisabeth, quando dall’esame degli archivi navali queste navi non risultano essere mai state registrate?
Perché continuare ad attribuire agli Ufo le responsabilità della tragedia del peschereggio Sno’ Boy quando dagli archivi risulta chiaro che l’imbarcazione fu ritrovata intatta, fuori rotta, ma con l’equipaggio vivo e vegeto, e ricondotta fortunosamente in porto?
E perché infine perseverare nella ricerca del buco nero nell’oceano dentro cui sarebbe scomparso il Bill Verity, quando il battello, dopo essere stato dato temporaneamente per disperso, risulta regolarmente tratto in salvo al vicino attracco della baia di San Salvador?
Occorre rassegnarsi allora, dopotutto non esiste alcun mistero, ma una fantasiosa parabola costruita a tavolino per scopi tutt’altro che limpidi, per puro interesse editoriale.
Ed ecco che nel 1991 una notizia giunge a dare il fatale estremo colpo al Mistero delle Bermuda. Sui fondali al largo di Fort Lauderdale un’equipe impegnata in recuperi sottomarini rinviene i relitti della fantomatica squadriglia degli Avenger, forse il disastro maggiormente celebrato tra quelli del Triangolo Maledetto.
Termina così, ingloriosamente, un mito durato cinquant’anni che ha infiammato la fantasia di molti e attirato l’attenzione di una fitta schiera di scienziati, tecnici e semplici appassionati.
Una leggenda che finisce dunque, e nel modo più infame. Semplice manipolazione della realtà, fandonie vendute per verità, mistificazioni date in pasto alle folle di lettori affamati.
Ma è davvero così?
Difficile a dirsi soprattutto se consideriamo che la smentita, perché di smentita si tratta, appare solo su pochi, pochissimi giornali, relegata nella migliore delle ipotesi in un trafiletto in ultima pagina.
I resti della pattuglia ritrovati non corrispondevano affatto a quelli della celebre Squadriglia 19, che risulta ancora scomparsa.
Allora il mistero riappare?
No, perché esce fuori che già nel 1987 era stato rinvenuto il relitto di uno degli Avenger ufficialmente dispersi, completamente fuori rotta, 20 miglia ad Ovest della Florida, avvalorando la tesi da sempre accreditata dalla Marina, gli aerei a causa di un difetto della strumentazione si erano trovati incapaci a stabilire la loro esatta posizione, disperdendosi, allontanandosi dal tragitto loro assegnato per finire poi costretti a un ammaraggio forzato per mancanza di carburante, molto, ma molto lontano dal triangolo delle Bermuda.
Pare dunque che la verità, alla fine, non la sapremo mai.
Probabilmente no, ma sarà prudente ricordarsi che non è tutto oro quello che luccica, che gli scrittori a volte imbrogliano, che non sempre un Re ha detto ho pensato quel che gli è stato attribuito, e che perfino gli scienziati, ahimè, proprio coloro che dovrebbero essere a rigore il nostro faro e la nostra guida, rimangono tentati da quella che è forse il più accattivante miraggio dell’essere umano, falsificare le prove pur di dimostrare di aver avuto ragione.
E al povero lettore non resta che, ascoltate tutte le testimonianze, escusse le ripetute prove portate a carico e a discarico e verificate le informazioni, trarre alfine le proprie personalissime convinzioni, rassegnandosi però a doverle rimettere interamente in gioco ogni volta che un piccolo, piccolissimo, quasi invisibile trafiletto di giornale riporterà l’ennesima notizia, vera o fasulla che sia, e sarà necessario ripetere tutto il procedimento da capo.
Sabina Marchesi