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VENEZIA 2005

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VENEZIA 2005

Ennesima presenza di Kult a Venezia per assistere alla 62a edizione del Festival Cinematografico, la rassegna sicuramente più blindata di tutta la sua lunga storia. Questo delicato periodo storico porta conseguenze in qualsiasi evento di massa cui si assista, e là dove la presenza americana è più influente, ci si è rassegnati, quest’anno, in nome della sicurezza, a subire metal detector e perquisizioni da parte di un quantità di forze dell’ordine mai vista al Lido. E poiché la cosa ha funzionato, ed ha probabilmente contribuito alla buona organizzazione, una volta tanto, della macchina festivaliera, prepariamoci a subirla anche per gli anni a venire, con buona pace della libertà personale.

Se qualcuno ne dubitava, è proprio in queste occasioni, come al Festival, che si capisce come il cinema sia soprattutto un’industria per far soldi, dove i film non vengono giudicati serenamente, ma pilotati nell’interesse dell’uno o dell’altro produttore. Si è assistito negli ultimi anni, ad una massiccia influenza Rai, che ha cercato, spesso inutilmente (e questo dovrebbe far riflettere del precario futuro dell’azienda pubblica) di far premiare le proprie pellicole, di ottenere quel visto di qualità da apporre sulle locandine alle uscite nelle sale, vendere un prodotto doc, come il culatello di zibello o il formaggio di fossa. Più o meno è successo anche quest’anno con la coppa Volpi come miglior attrice a Giovanna Mezzogiorno, ridimensionato dal conseguente premio dato da una spaccata giuria veneziana ad Isabelle Huppert, Leone Speciale per il complesso dell’opera, un’alchimistica formula che in pratica ha consegnato a lei la palma della migliore. Ma lasciando perdere queste noiose chiacchiere da cortile, in realtà il futuro del Festival di Venezia attraversa una fase ben più delicata. Le strutture del Lido sono ormai inadeguate ad ospitare un evento di tale portata, e se il Festival di Venezia vuole continuare a competere con gli altri Festival Internazionali come Cannes e Berlino, dove sono stati già fatti lavori in questo senso, deve per forza ripensare l’intera area e dedicarsi alla costruzione di un nuovo palazzo del cinema. E proprio quest’anno c’è stata la premiazione del Concorso internazionale di progettazione del Nuovo Palazzo del Cinema, che ha visto vincitore lo studio 5+1 & Rudy Ricciotti. Ma il vero problema è che la città di Venezia non ha soldi per affrontare una simile spesa, come ha già dichiarato il sindaco Cacciari, e quindi la palla passerebbe interamente al governo, cosa che il Ministro per i Beni e le Attività Culturali Rocco Buttiglione non ha garantito, visto che in Italia le spese per la cultura sono le prime ad essere tagliate, soprattutto in questo periodo di recessione del nostro paese. Inoltre a Venezia era proprio presente il sindaco di Roma Walter Veltroni, che ha presentato il nuovo Festival Internazionale del cinema di Roma, la cui prima edizione si terrà a metà ottobre del 2006. Va da sé che, nonostante le rassicuranti dichiarazioni di Veltroni, la concorrenza con Venezia potrebbe negli anni farsi impari, visto la preferenza che già l’intera industria cinematografica indirizzerebbe sulla Capitale, tenuto conto anche che Roma attingerebbe solo a sostegni privati. Vedremo…

Dal punto di vista cinematografico, il secondo anno di Marco Müller ha confermato le sue capacità di esplorare a 360° tutte le migliori cinematografie che attualmente si possano trovare sul mercato, anche se devo personalmente dire che, specialmente la rassegna ufficiale, ha mostrato qualche passo indietro rispetto all’anno passato. Soprattutto non si sono potute apprezzare pellicole di eccezionale qualità, una discreta media, ma senza punte di rilievo. In fondo, il Festival di Venezia, ha ancora una volta rappresentato abbastanza fedelmente quella che è la tendenza cinematografica mondiale, che non ha espresso nelle ultime stagioni particolari exploit. Discorso che si può applicare in parallelo al cinema italiano, presente qui al Lido a concorrere per il Leone d’Oro con tre pellicole, “La Bestia nel Cuore” di Cristina Comencini che si è aggiudicato il premio per la migliore attrice (Giovanna Mezzogiorno), “La Seconda Notte di Nozze” di Pupi Avati, ed il film di Roberto Faenza “I Giorni dell’abbandono”, sicuramente la vera delusione dell’intera rassegna. Cristina Comencini ha portato sullo schermo una storia difficile (tratta dal proprio romanzo omonimo) di tragedia familiare e d’omosessualità femminile, sulla quale la censura era intervenuta in un primo momento, revocando solo in un secondo momento il divieto ai minori di 14 anni, troppo tardi per evitare le ovvie polemiche sull’intero accaduto e sul senso dell’utilità, oggigiorno, di questo organo. Il film è discretamente costruito e girato, il tema importante, anche se, come ci hanno un po’ abituato i film italiani degli ultimi tempi, non esalta, manca sempre quel qualcosa che lo porti al salto di qualità in proiezione più europea e mondiale. Un po’ lo stesso discorso che si può applicare anche a Pupi Avati, ottimo comunque artigiano del cinema, che continua nel suo genere di esplorazione dei sentimenti e dell’anima, fissando sullo schermo ogni volta in maniera perfetta spaccati di storia d’Italia (in questo caso l’Italia del dopoguerra). Sicuramente deludente il film di Roberto Faenza che, nonostante la bravissima Margherita Buy, non riesce a decollare, in una trama ovvia, scontata e per nulla originale. Fastidiosa anche la reazione del regista che accusa la critica di pregiudizi nei confronti del cinema italiano, che indubbiamente in generale si possono avvertire, ma che purtroppo in questo caso sono pienamente giustificati. Premesso che, malauguratamente, non sono riuscito a visionare la pellicola di George Clooney “Good Night, and Good Luck”, giudicato da tutti come il miglior film in concorso, e vincitore morale del Festival, nel resto della rassegna non esaltante, la vittoria del film di Ang Lee “Brokeback Mountain”, struggente storia d’amore omosessuale fra cowboy del Wyoming nei difficili anni 60′, ci può stare, anche se fra la quaterna di film che ho preferito “Brokeback Mountain”, appunto, “Vers Le Sud” di Laurent Cantet, “The Constant Gardener” di Fernando Meirelles, e “Chin-jeol-han Geum-ja-ssi (Sympathy for Lady Vengeance)” di Park Chan Wook, l’ho trovato il meno efficace.

“Vers Le Sud”, è una storia di turismo sessuale vista in un’ottica femminile nella travagliata situazione politica di Haiti della fine degli anni 70′, con uno strepitoso cast recitativo di attrici fra cui spicca l’intramontabile Charlotte Ramplin; “The Constant Gardener”, attraverso una spie story ambientata negli ambienti diplomatici inglesi e dell’industria farmaceutica mondiale, ha il merito di portare sullo schermo gli innumerevoli problemi del continente africano, troppo spesso sacrificato per il benessere dei paesi occidentali industrializzati, che Fernando Meirelles, il regista brasiliano fotografa splendidamente; “Chin-jeol-han Geum-ja-ssi (Sympathy for Lady Vengeance)” di Park Chan Wook è la storia di un’eroina vendicatrice: dopo il successo di “Oldboy” il regista coreano porta a Venezia il film che più ho apprezzato nel concorso ufficiale e che più ha cercato di essere originale anche nella costruzione cinematografica, e che conferma come il cinema asiatico sia in questo momento fra i più attivi del panorama mondiale. Nel resto del Festival sono emersi alcuni temi importanti: la conferma della costante e massiccia avanzata del cinema cinese che gode di ottima salute economica anche in campo cinematografico, oltre che nell’economia mondiale generale, concorrendo alla pari in termini economici con i colossi americani ed affacciandosi anch’esso a megaproduzioni; la genialità di un regista come Tim Burton che ha presentato qui a Venezia probabilmente il film più bello dell’intero Festival ed il più applaudito dalla critica e dal pubblico, “Corpse Bride”, dove recupera le tecniche cinematografiche e di animazione del precedente “Nightmare Before Christmas” per rappresentare un’antica fiaba ebraica russa; la vitalità della sezione Orizzonti, che mi permette di segnalare un trittico di buone pellicole: “Workingman’s Death di Michael Glawogger, documentario che fotografa alcuni luoghi del pianeta dove gli uomini lavorano in condizioni terribili di sopravvivenza; “Everything is Illuminated” di Liev Schreiber, pellicola che recupera la memoria dell’olocausto in equilibrio fra situazioni comiche e drammatiche; “East of Paradise” di Lech Kowalski, film underground dedicato alla madre polacca deportata da giovane nei gulag sovietici, pellicola premiata con il premio Orizzonti.

E per ultima la scelta azzeccatissima del Direttore Marco Müller di attribuire al regista Hayao Miyazaki, uno dei più grandi registi del cinema giapponese e un maestro del cinema d’animazione il Leone d’Oro alla carriera.

Andrea Leonardi

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