Il salto dell’acciuga
(Nico Orengo – Einaudi)
Nico Orengo mica lo conoscevo ma questa fortuna m’è toccata alla Fiera del Libro di Imperia dove c’ero pure io, microscopico Davide davanti a un enorme Golia. Ho ascoltato Nico Orengo mentre presentava Il salto dell’acciuga con la compiacente lecchineria di un intervistatore prezzolato che non la finiva di sperticarsi in complimenti. Nico Orengo è un grande, c’è poco da fare. Non fosse altro per come va vestito stile beat generation o per come porta i capelli, scaruffati e scomposti stile vecchio intellettuale che la sa lunga sul mondo. E allora io lo devo proprio ascoltare questo santone della letteratura, questo guru che dirige Tuttolibri e che decide cosa è bello e cosa non lo è, lo devo proprio sentire, mica me la posso perdere la sua conferenza sulle acciughe. Tanto allo stand del Foglio ci resta mia moglie e poi ci sono pure un paio di autori venuti proprio per promuovere i loro libri. Io invece devo ascoltare il mitico Orengo, ché lui dallo stand del Foglio c’è passato ma ha tirato dritto, mica poteva perdere tempo con gli editori dilettanti. E allora scopro che Nico Orengo ha scritto Il salto dell’acciuga perché un medico aveva consigliato a sua moglie di mangiare un’acciuga al giorno. Orengo sostiene che tutti abbiamo un barattolo di acciughe in casa e noi diamogli ragione che ci costa poco, pure se in casa mia di acciughe ce ne sono sempre state poche. Insomma a Orengo in quel periodo le acciughe uscivano pure dagli occhi, ché s’era un po’ rotto i coglioni di mangiare acciughe, pure se era parecchio interessato a un libro sulla storia del sale che però non trovava. Continuo ad ascoltare le esternazioni del vecchio beat coi capelli al vento e mi tasto se ci sono, come diceva mio nonno quando non capiva se il pazzo era lui o se invece le bischerate le dicevano gli altri. Apprendo che le acciughe si chiamano pesci di montagna e che gli antichi romani erano esperti nel metterle sotto sale dentro i famosi carretti di acciughe. Adesso mi sento più sollevato. Meno male che ora lo so e che Orengo me l’ha detto, se no chissà come facevo se non lo sapevo. Il salto dell’acciuga è un libro finito che però potrebbe non finire mai perché le storie sull’acciuga sono infinite, sostiene Orengo. E poi ti sciorina una storia sulla golosità dei cibi e sulla golosità della lettura che io mica la capisco, però tanto lo so che lui è un intellettuale, non posso mica capire tutto. Certe cose se non si fissano c’è il rischio che vadano perdute e allora meno male che Nico Orengo ha scritto proprio tutto sull’acciuga e su come si mette sotto sale, se no chissà come andava a finire questa storia qui. Il vecchio Nico racconta la sua formazione letteraria che mica è quella di uno scrittore qualsiasi, no, lui è stato a Torino e ha letto Pavese, Calvino e pure Fenoglio. O bravo Orengo, li ho letti pure io che sono stato sempre a Piombino, tanto tanto mi sono spinto verso Pisa e Grosseto, ma per leggere Bianciardi non è che ho aspettato di vedere Grosseto, no mi sa che l’ho letto prima. Orengo ci racconta la sua vita, ci dice che a Torino la scuola era rigida e che a lui mancavano i colori. Allora il padre l’ha fatto studiare a Roma che invece era bella colorata e poi qui ha conosciuto tanti scrittori che hanno contribuito alla sua formazione letteraria. Ma il passo fondamentale della sua vita mi sa che Orengo lo fa quando a ventitré anni entra all’Einaudi e ora mi spiego tante cose, pure il fatto che il suo editore si chiama Einaudi. Bravo Orengo! Così si fa una presentazione, mica come tutti quei dilettanti del giorno prima che si affannavano a farsi ascoltare. Tu fai un po’ l’aria sacrificata, assumi un’espressione scocciata, muovi gli occhialoni e ti tocchi i capelli mentre esprimi una mimica a base di smorfie e firmi autografi alle vecchie babbione che vogliono sapere tutto su come si marina un’acciuga. Parli di letteratura gastronomica e di crudeltà della cucina e alla fine, in questo ventoso pomeriggio imperiese che vorrebbe essere estivo, ci insegni come si cucinano le acciughe. Polemizzi sui culti barocchi della cucina moderna, non ne puoi più dei cuochi di oggi e dei sommelier da strapazzo. Fondamentale, direi. E io invece non ne posso più degli scrittori contemporanei, guarda. Non ne posso più davvero, ché credevo di essere venuto a una presentazione di un romanzo e invece mi tocca sorbire una lezione di cucina. Dice Orengo che se uno leggesse il cibo in maniera corretta vedrebbe tutti i segni della nostra decadenza. Secondo me pure leggendo tutta la cacca che producono i nuovi narratori italiani ci si sta bene dentro a questa definizione, guarda. La cucina di uno scrittore secondo Orengo è la concretezza ed è una cosa insopportabile tutta questa raffinatezza e il fatto che siano tutti sommelier. E io mi domando se Orengo è uno scrittore o un cuoco e soprattutto mi chiedo cosa cucina di buono ai suoi molti lettori. Me lo domando proprio. Nico conclude affermando che l’acciuga è una cosa seria e lui nei suoi racconti la fa vivere delle sue molte differenze, pure se in cucina lascia massima libertà sull’utilizzo dell’aglio. Ma ci rendiamo conto? Dimenticavo di dire che Nico Orengo ha scritto una raccolta di racconti ambientata nel mondo dell’acciuga sotto sale e che Eianudi gliela ha pure pubblicata. Non solo. Un grande come Mario Rigoni Stern non s’è vergognato punto a firmare la classica marchetta da quarta di copertina. Un Nico Orengo per amico fa sempre comodo. Dirige Tuttolibri, mi pare. Pure se dopo questa bella chiacchierata lo vedrei bene a fare il cuoco.
Gordiano Lupi