Intervista a Gianfranco Turano
Gianfrancesco Turano: venditore di Enciclopedie, Autore Teatrale, Scrittore, chi sei veramente?
Un contenitore di persone.
Come è andata finora la tua avventura editoriale con la Dario Flaccovio? Raccontaci, siamo molto curiosi.
Bene. Lavoro con una persona di rara bravura, competenza e cortesia che si chiama Raffaella Catalano. Cerco di darle una mano dall’alto della mia esperienza di venditore porta a porta.
E le tue esperienze prima di questa, come sono state, ti senti di dare qualche consiglio agli autori esordienti in cerca di un editore?
Sono state pessime. Le case editrici sono piene di gente che ha letto 10 libri e ne ha circa altrettanti nel cassetto in attesa di pubblicazione. In media, non distinguono un buon romanzo da un paracarro però hanno un’idea precisa di ciò che la letteratura dovrebbe essere. Consigli non ne ho ma posso dire che uno scrittore è come un pugile. Ci mette la faccia e ne prende parecchie. Se non sei Mohammed Ali, ti conviene imparare a incassare.
Dice Stephen King che per ogni scrittore esiste un libro con cui si è perduta la verginità, ossia il primo libro che si è posato dopo averlo letto con la precisa sensazione di sentirsi capaci di fare di meglio. A te è capitato? O sei uno di quelli che ha sempre sentito di saper scrivere e aspettava solo il momento giusto?
Io nasco brocco, purtroppo. L’unica cosa che sento è che devo lavorare.
Parliamo di Ragù di Capra, un esperimento davvero interessante, a parte Chandler, credo sia la prima volta che mi capita di vedere uno stile veramente elegante messo al servizio della narrazione di genere Giallo o Noir. Come mai? Una tua caratteristica precisa, o una scelta voluta?
Grazie per l’eleganza. L’eleganza è una meta.
Questo tuo libro, che tocca in alcuni punti momenti di vigore stilistico molto forti, tratta in sostanza della sconsiderata avventura di un Milanese rampante nella Locride, alle prese e a confronto con un mondo, per così dire, parallelo e sotterraneo. A cosa si deve la scelta di questa particolare ambientazione, è una zona che conosci bene?
Ci passavo le estati da bambino. La costa dello Jonio reggino era un posto meraviglioso e lo è ancora. C’è il deserto, il mare e la montagna, spiagge semivuote anche a Ferragosto. Mi dispiace che il resto dell’Italia, i vari governi e governicchi, se lo siano dimenticato e lo abbiano regalato ai delinquenti.
Ho già scritto nella mia recensione che nei tratti finali questa avventura raggiunge vette di supremo lirismo, nel progressivo disfacimento del protagonista che nelle ultime trenta pagine tenta inutilmente di districarsi da una serie di eventi negativi che si rovesciano a catena su di lui smantellando i suoi folli progetti di gloria. Impossibile non parteggiare per questo Stefano Airaghi che vediamo trasformato da irridente avventuriero a semplice pedina su una scacchiera troppo grande per lui, in lotta contro qualcosa che non si può combattere. Vuoi parlarci di questo tuo smaliziato protagonista, e dirci cosa ha significato per te?
Airaghi è un eroe tragico classico, tolti gli dei. Non ha il senso del limite che gli è stato destinato e corre verso una sconfitta evidente a tutti tranne che a lui. L’idea del Fato oggi è sostituitada un quadro sociale strutturato in modo ferreo, per caste. Lui si ribella a questo in tutti i modi sbagliati perché sono gli unici che ha a disposizione e il suo desiderio di agire è inarrestabile.
Al di là delle ricchissime descrizioni ambientali, colpisce nel tuo libro la fortissima introspezione psicologica che ci proietta, letteralmente, dentro una realtà piuttosto specifica, che tu sembri conoscere bene. È davvero così o è tutto lavoro di ricerca?
Per questo libro non ho dovuto cercare niente.
Insomma Airaghi pensa di dominare il mondo, vuole affrontarlo a viso aperto, è convinto di saperne una più del diavolo, e invece si ritrova invischiato in un meccanismo antico quanto il mondo. Una lezione di vita?
Non sono sicuro che lui la capisca, la lezione.
E la banda di ragazzotti che lo circonda, tutti destinati a una brutta fine, sui quali egli domina, illudendosi di poterli controllare? Volevi lanciare un messaggio preciso, inquadrando questo gruppo di moderni vitelloni di una provincia meridionale languida e stanca?
Più che vitelloni sono i ragazzi delle mie parti. Quelli che non studiano e non si vanno a cercare lavoro al Nord ma del Nord e dei settentrionali hanno il mito.
Perfino il piccolo tentativo di riscatto di uno dei protagonisti minori, che vuole elevarsi forte del suo prossimo titolo di Perito Agronomo, contando di lasciare il viscido impantanarsi della sua terra, per emigrare altrove, finisce male, anzi malissimo, disperdendo i suoi sogni così come gli ultimi brandelli della sua vita in una fragorosa esplosione. Insomma allora tutto è destinato a compiersi, e alla fine non cambia mai niente?
Enzino capisce che se ne deve andare per non restare schiacciato. Purtroppo lo capisce tardi. Sui futuri cambiamenti non so cosa rispondere.
E il vecchio Saro che mimetizzato nella folla assiste al passeggio serale sul corso, nella quotidiana sfilata rituale delle sette della sera, non sembra forse una specie di divinità occulta, che tutto sa e tutto controlla, celato sotto mentite spoglie?
Sì, è esattamente questo, una divinità che non ha bisogno di rivelarsi. Esiste e tanto basta.
Un libro interessante, devo dire, che va oltre le apparenze. Con molti personaggi tridimensionali così reali da sembrare vivi, che spiccano dalle pagine e assumono una forma e una connotazione precisa, come Saro Morabito, e la madre di Airaghi. Un lavoro veramente ben fatto, che cosa te ne pare, ora che lo hai visto pubblicato?
La cosa più bella è che possa essere letto da persone che non conosco. Questo lo trovo esaltante.
E infine quali sono adesso i tuoi progetti per il futuro? Che cosa hai in preparazione?
Un romanzo completamente diverso, comico. Nella letteratura italiana si ride troppo poco.
Sabina Marchesi