Lo Strano Destino di Edgar Allan Poe
Poteva mai sospettare questo schivo personaggio, che a distanza di 150 anni il suo nome sarebbe stato indicato e citato da migliaia di opere di critica letteraria, e che negli anni a venire sarebbe stato identificato come il padre fondatore di un intero genere letterario, e di tutti i relativi filoni di derivazione?
Era solo un timido e riservato giornalista americano, sempre in bolletta e troppo dedito ai piaceri dell’alcool, completamente ignorato dai suoi contemporanei, che invece era destinato a diventare uno dei simboli ricorrenti della letteratura moderna.
A lui si deve la nascita non solo del metodo d’indagine deduttivo, da cui è poi fuoriscito il mitico investigatore londinese di Baker Street, quello Sherlock Holmes che fece la fama e la fortuna del suo creatore Arthur Conan Doyle, ma anche la creazione di un intero genere letterario che oggi comprende il Noir, il Giallo, il Mistery, la Detection, il Thriller, l’Horror e la Fantascienza, oltre svariati altri filoni, tutti comunque originariamente coniugati dalla sue opere.
Ci dice Italo Calvino che dal lavoro di Poe derivarono opere prestigiose a firma di Hoffmann, Baudelaire, Rimbaud, Mallarmè, Verlaine. Che a lui si devono i movimenti simbolisti, decadenti e surrealisti. Che tutti, ma propri tutti, i maestri del genere Giallo, hanno attinto in un modo o nell’altro alla sua fonte. Senza contare i numerosissimi padri della Fantascienza, da Lovecraft in poi, che sempre hanno trovato in Poe la loro ispirazione primaria.
Se a questo aggiungiamo la capacità che i suoi scritti hanno tuttora conservata intatta, di conquistare le nuove generazioni, a distanza di un secolo e mezzo, compiendo incursioni indiscriminatamente tra tutte le categorie di lettori, da quello evoluto, all’adolescente, passando attraverso tutte le settorizzazioni intermedie, allora possiamo comprendere che Edgar Allan Poe, benchè lui non lo sospettasse minimamente, è finito per diventare uno dei miti letterari più incredibili di tutti i tempi.
Ma chi era Poe in realtà, per riuscire a tanto?
Figura letteraria di non facile collocazione, difficilmente interpretabile, contraddistinto da laceranti contrasti, l’unico e certo il primo che abbia saputo coniugare una fervida fantasia con un rigore teorico. Le sue opere sono constantemente soffuse di una delirante trama narrativa, simile a fuochi artificiali, composta da miriadi di dettagli, messi a fuoco e posti al servizio di una rigida teorizzazione, dove il suo lucido intelletto componeva la storia in base a precisi criteri razionalistici e scientifici. Un mixer letterario praticamente perfetto.
Come egli stesso disse delle proprie opere il suo progetto consisteva nel mostrare che “non un solo passaggio […] può essere ricondotto al caso o all’intuizione; e come il lavoro sia venuto progredendo passo per passo, fino a concludersi con la precisione e le implicazioni rigorose di un problema matematico.” Quella stessa matematica che sarà poi posta alla base dell’intero genere del Giallo ad Enigma e del Mistery.
Ma come dobbiamo interpretare in Poe questa rigorosa impostazione razionale, posta a contrasto e a controllo di una forse eccessiva ispirazione emotiva, dalle connotazioni quasi deliranti, tormentate, ed oscure?
Quello a cui assistiamo con Edgar Allan Poe è praticamente la teorizzazione di un modo di concepire la realtà sottilmente deformato, e canalizzato dentro i potenti argini constrittivi della logica razionale. Una sorta di mondo parallello dove le cose non sono, ma sembrano.
E che cos’altro è La Caduta della Casa degli Usher, uno dei suoi racconti più celebri, se non il completo abbandono di ogni ulteriore pretesa di realismo?
I personaggi praticamente non esistono, se ne avverte solamente la presenza, e le loro connotazioni sono simili a quelle di un dettaglio geografico, di una descrizione ambientale, ridotti e equiparati a semplici comparse, come la luna, lo stagno, la crepa sul muro. La magione stessa degli Usher allo stesso modo folle e paradossale vive invece la vita umanamente, soffre, invecchia e respira.
Un panorama inquietante forse, dove l’artificio prevale sul reale, in una proiezione fortemente orinica, eppure nella sua lucida follia, fortemente logica.
E questo, a ben guardare, è un solenne anticipo di quello che sarà poi il realismo magico alla Garcia Marquez.
Minuziose intelaiature per contornare un arazzo pazzesco. Ma cesellato come una scultura del Cellini. Fili di un intreccio che lentamente si dipana e che riconducono il lettore, novello Arianna nel labirinto del Minotauro, verso la condivisa visione di un sogno.
La rappresentazione mentale di un panorama distorto, dove Poe si addentra come un esploratore, riportando mappe cartografiche di rilievi, montagne e corsi d’acqua, una descrizione morfologica dettagliatissima, dove per narrare un territorio occorre disegnarne i confini, e al loro interno mantenersi. Follia e lucidità per uno dei maggiori geni del secolo.
Immagini di sventura, di drammatica inadeguatezza, fantasia delirante, proiezioni oniriche, lucida follia, esaminate con distacco analitico e approccio scientifico da un’autore che riesce a analizzare se stesso attraverso le proprie personali visioni.
Si passa dunque con Poe, e definitivamente, dagli sconclusionati lirismi del filone romantico, all’approccio sistematico di uno scrittore che opera professionalmente e che, come uno scienziato, si propone di divulgare e di far comprendere le sue intuizioni. È con Poe che la scrittura diventa fruibile, logica, comprensibile, vero veicolo di comunicazione e non più semplice mezzo vettoriale di stupore e meraviglia.
Una lezione che giunge dal passato, e che si dovrebbe tenere presente, soprattutto oggi, quando tanti nuovi autori sembrano dimenticare che lo scopo principe della scrittura è la comunicazione, la fruibilità dell’opera, e in fine ultimo, il gradimento del lettore e non l’autocelebrazione o l’estetismo stilistico dell’autore.
Sabina Marchesi