Edilet, 2010
La complessità e la varietà delleargomentazioni che Linguaglossa affronta nel suo ultimo lavoro, sebbene annunciatein precedenti relazioni, interviste e articoli, pongono in sé la primaquestione: capirlo fino in fondo, nella finezza dell’analisi concettuale,sempre -efficacemente- allargata dal puro discorso sulla poïesis all’ambitodella filosofia e dell’accadere.
Per Linguaglossa, come per Heidegger,l’individuo, e quindi l’artista, non può essere inteso al di fuori dellapropria storicità e allora la sua proposizione è una continua intersezione trala linea della temporalità, che definisce il clima culturale in senso lato, equella dei linguaggi poetici, esemplificati attraverso gli autori proposti,spigolati nei tratti salienti con una concisione, come suo costume,illuminante.
Il vespaio di reazioni, come da tempo nonsi vedeva in Italia, indica senza equivoci che si tratta di un libro che meritaattenzione.
Detto questo, a un lettore più sprovveduto,come la sottoscritta, tocca esprimersi in punta di penna: più che di ungiudizio, si tratta di una verifica.
Credo di poter partire dallo scetticismoche l’autore nutre nei riguardi dei codici poetici del secolo scorso, sulle formulestereotipate adottate dagli epigoni, compresa l’insofferenza verso alcuniaspetti del modernismo, non ancora in grado di innovare i canoni del 900, chesenza alcun dubbio può essere definito secolo di crisi tout court.
Di recente ho ascoltato Linguaglossaaffermare, se ho ben inteso anche in quel caso il suo pensiero, che alcuneepoche non meritano la poesia, ossia non riescono ad esprimerla ed egli portavaad esempio il Medio Evo, dalla caduta dell’impero romano alla nascita dellapoesia del 200, periodo che non ha lasciato traccia di autori meritevoli.
Forse attraversiamo, allo stesso modo, untempo non congeniale alla poesia, nel quale il discorso poetico procede perapprossimazioni al suo oggetto, deviando verso forme retrograde, minimali o sperimentali, accerchiandolo e sfiorandolo, senza tuttavia riuscire a raggiungerlo. Accadeanche di peggio quando la scrittura viene sottomessa alla convenienza oaddirittura si svende a forze spurie del tutto aliene dall’autenticità dellarappresentazione poetica.
A questo proposito, se pure la vis polemicasia palesata con una misura che occorre riconoscergli, Linguaglossa non lesinastrali a quella che considera una sorta di prostituzione della coeva poïesis.
Col concetto di autenticità, invece,Linguaglossa indica la raffigurazione convergente tra il contenuto e la parolapoetica, alla luce della libertà della propria arte. E per libertà intende losvincolo da ogni tipo di condizionamento, soprattutto da quelli menopronunciabili.
Un fine nobile che indica senza equivoci lamodalità dell’espressione che dovrebbe arridere al poeta.
In ogni modo, la crisi della poesia è fattotanto evidente che oramai non occorrerebbe neppure nominarla. Basti considerareun solo aspetto. Si è rotto il patto comunicativo col pubblico, come non èaccaduto con le altre forme artistiche e pensiamo alla pittura. I lettori sonoquasi inesistenti e non credo valga la spiegazione che si tratti di artenobile, di fatto elitaria. Gli antichi Romani, per tornare al passato,riuscivano a cogliere la scansione dell’esametro e Boccaccio leggeva Dante inchiesa, s’immagina ad un pubblico folto.
La crisi di un’intera cultura, che si èprotratta per tutto il 900, ha provocato una frantumazione dei linguaggi,diventati sempre più settoriali e specialistici e quindi anche la frantumazionedel linguaggio poetico ed evidente involuzione.
Sembrerebbe che sia mancato un filoconduttore che potesse tenere insieme le coscienze e, di conseguenza,l’espressione poetica ha preso rivoli che non le hanno permesso di ambire levette.
Il secolo trascorso si è aperto con unaguerra, ha vissuto in parte, almeno in Italia, la crisi economica del ’29,l’affermarsi delle dittature, una seconda guerra mondiale, ha assistito allacritica del positivismo ottimistico col nascere di posizioni di pensiero e diconcezioni artistiche legate al soggetto, così che la filosofia ha indagato ildramma esistenziale dell’uomo, con risvolti angoscianti ( l’essere e il nulladi Sarte; l’essere per la morte di Heidegger; il nichilismo di Nietzsche,l’assurdo della condizione umana analizzata da Camus…).
In poche parole, il tutto ha provocato unasorta di straniamento, una specie di deragliamento dell’io che ha avuto inpoesia, come conseguenza, una specie di babele espressiva molto simile almutismo.
Se il linguaggio è la casa dell’essere,la dispersione dell’essere ha comportato l’impossibilità di esprimerlo.
Neanche l’assestarsi degli statidemocratici, ha creato le condizioni per la ripresa di valori di autenticitànel discorso poetico, per la nascita di una borghesia che ha imposto canonisuoi e ha privilegiato i poeti conformi.
Ciò ha dato modo ad una certa areageografica, più ricca e quindi capace di concepire quel contesto, di proporreun proprio punto di vista con l’emarginazione di altre aree geografiche inrelazione all’espressione poetica.
Sembrerebbero affermazioni marxiste, inrealtà Heidegger -e con lui Linguaglossa-, in queste posizioni è vicinissimo aMarx, sebbene non ne condivida affatto il destino finale rivoluzionario.
E, dunque, Linguaglossa ribadisce ildiscorso già presente in altro suo saggio, ossia che il secolo si è chiuso inuna specie di afasia che ha avuto il suo culmine nel minimalismodiventato presto maniera: minimalismo che ritiene abbia a sua volta attuatoun tentato omicidio della poesia, proponendo un’arte poetica senza carnené sangue, sterilizzata.
Nel saggio cui mi riferisco, Linguaglossachiarisce bene il suo punto di vista: la poesia (e la critica che dovrebbeaccompagnarla, illuminarla, sostenerla, in certa misura anche orientarne ilcammino e la ricerca) deve avere il coraggio di riscoprire il sublime, ilclassico, l’altezza e la profondità del pensiero e della parola.
Su questo ruolo didattico della criticasuppongo che non molti siano d’accordo e sembra più interessante il prosieguodell’argomentazione e cioè che nel nuovo millennio la poesia stia riprendendovigore, soprattutto col contributo di una schiera di poeti giovani, che si sonolasciati dietro le spalle l’ossessione della Parola e la sua assolutizzazione,come contenitore al minimo o anche al massimo dell’emozione. Con le nuovegenerazioni il lessico si presenta legato indissolubilmente all’esperienzaintima di ciascuno e ogni termine evoca per le nuove leve esattamente quello cherappresenta, pur nella forma dell’allusione e della metafora.
A questa generazione manca l’accanimentoespressivo, che finisce per farsi maniera.
Il nuovo atteggiamento ha garantitoun’ondata di svecchiamento e di originalità significativa, con dei giovanivalenti che seguono il proprio estro, senza alcuna pretesa di resuscitaremoduli tematici e stilistici del passato, impegnandosi col dialogo con sestessi a recuperare la poesia come atto che viene fuori non dalla mente e dallacostruzione a posteriori, ma dal nucleo arcaico dell’emotività.
Suppongo che, dopo la pars destruens,questo sia il messaggio che, al di là della dichiarata sfiducia ad oltranza, sidovrebbe cogliere, sebbene trapeli nell’opera di Linguaglossa ancora qualcheincertezza sui futuri sviluppi della società virtuale che dopo aver abbattuto ivincoli spazio-temporali, non sa con certezza dove si dirigerà.
Ci troviamo nel mezzo di una trasformazioneepocale, simile all’avvento della stampa, che potrebbe condurci in un altrovenon ancora misurabile.
Che sia una macchina pensante l’ultimorisolutivo assassino della poesia?