Le passeggiate al Campo di Marte
il Capolavoro di Robert Guediguian
Le "Passeggiate al campo di Marte", ultimo film del regista marsigliese Robert Guediguian, è un capolavoro di certo non solo indirizzato ai profondi conoscitori di cose francesi.
Il regista dell’indimenticato "Marius e Jannette" e di tanti altri film dove Marsiglia con la sua luce splendida, i suoi quartieri operai, i suoi panorami di saliscendi era sfondo, scenografia e protagonista,( in questo un po’ come accade nei romanzi di Jean- Claude -Izzo), abbandona (per il momento, è di sicuro un arrivederci) la sua città, i suoi attori- feticcio e ci regala il punto più alto del suo percorso estetico e creativo.
E’ un film con molte chiavi di lettura. Vorrei cominciare dalle meno scontate, o dalle meno appariscenti. E’ un film che racconta un corpo. Il corpo di un vecchio, un uomo vulnerabile, friabile, stanco, con un male che lo sta mangiando dentro. E’ un corpo destinato a morire in un tempo molto breve. L’occhio del regista sulla decadenza inevitabile, sulla fine che aspetta ciascuno di noi, che sia stato uno dei grandi potenti della terra o un uomo qualunque è un occhio con diottrie piene di compassione sulla sorte della natura umana. Un occhio che potrei definire debordante una compassione mai retorica, ma profonda e carica di intensità. L’uomo e’ Mitterrand, Presidente francese per due legislature. Sta morendo ma è ben deciso a portare a termine questo secondo mandato e ci riesce stringendo i denti, fra dolori lancinanti e fra momenti di tregua che la malattia gli lascia. In questi momenti mantiene intatto il gusto dei piaceri. In riva al mare a mangiare ostriche speciali coperte da un pezzettino di salsiccia che consiglia caldamente ai suoi commensali, i libri antichi, le cattedrali, i panorami della Francia che osserva dal treno domandandosi di che colore è. Non il colore politico, il colore del paese. In fondo i paesi e le città hanno un colore, secondo Mitterrand la Francia, i suoi tetti e le sue campagne sono contrassegnate dalle tonalità del grigio, e afferma che il grigio è proprio un bel colore, solo gli imbecilli non ne vedono le sfumature. E il regista offre uno spettacoloso grigio cangiante che accompagna il viso del protagonista, perfetto nella parte, mentre si illumina di un sorriso malizioso.
Quest’uomo decide di dettare le sue ultime memorie a un giovane giornalista che gli è quasi sempre accanto: lo ascolta, gli pone domande precise, vuole chiarire le ombre che permangono sulla sua figura(nessuno come Mitterrand fu mai così chiacchierato, amato e odiato in egual misura dai francesi)
In questo senso è un film onesto, onestissimo. Guediguian non lascia correre i sospetti che il Presidente mai chiarì di collaborazionismo con chi organizzò la più grande deportazione di ebrei mai avvenuta in Francia durante la guerra. Il giornalista incalza, il Presidente svicola, ritrova la sua dialettica feroce, la sua arroganza cinica, i suoi raffinati virtuosismi letterari. Il regista non vuole fare a meno di mettere in evidenza le parti mai del tutto svelate della vita di Mitterrand. Parti forti e dure della narrazione. Le luci e le ombre di un personaggio che come nessuno forse ha saputo rappresentare la diversità di un paese come la Francia, uno strano paese a volte conservatore, a volte rivoluzionario, un po’ a destra, un po’ a sinistra. Nessuno meglio di Mitterrand ha incarnato questa complessità facendosi amare e anche profondamente odiare. Facendosi venerare da tanti e disprezzare prima da pochi poi da moltissimi. In questo film si mostra anche come è facile odiare chi il potere lo sta perdendo, chi non sta perdendo la forza, chi si sta frantumando adagio, chi ha avuto tutto e presto non avrà nulla e non sarà più nulla anche se ha segnato la storia e molte utopie della sinistra, e forse qualcuna di queste utopie l’ha resa persino possibile, o quanto meno realizzabile a costo degli inevitabili compromessi del potere, quelli che il giovane giornalista idealista gli rimprovererà con insolita asprezza. E in quel rimprovero sull" aver perso il sogno" ritroveremo il Guediguian che non rinuncia alle sue convinzioni comuniste e operaiste, che continua a sperare e a pensare che la sinistra debba guardare ai deboli, a chi non ha niente, a chi sarà sepolto e travolto da questo tempo in arrivo dove "il danaro sarà capace di produrre solo altro danaro"( e ci siamo già, temo)
In questo film prezioso viene citata la Marguerite Duras, grande amica del Presidente, e un passo struggente tratto dal suo libro "Il dolore", quando suo marito Robert Antelme tornò da Dachau, ritrovato da Mitterrand. Il titolo è come un riassunto di uno dei tanti temi che si intrecciano in questo capolavoro. E’ un film sul dolore. Sul dolore di un uomo vecchio che ha avuto tante donne e che adesso non viene più guardato quando cammina per la strada. Il dolore dei piaceri che sono sempre più fugaci lenimenti, capaci di agire soprattutto nella memoria(un libro antico, una buona bottiglia di champagne) piuttosto che sul presente. Il presente è solo perdita, sfaldamento e solitudine.
Ed è infatti un uomo solo, nonostante la scorta e gli ultimi amici e talvolta i giornalisti che si ritrova a meditare sulla metafisica, sulla religione, sulla possibilità che la morte possa essere un compimento. A riflettere su ciò che ci può essere dopo con i mezzi che abbiamo tutti, quasi nulli. Per fare questo si sa che dialogò a lungo con un teologo e consultò una donna che da tempo lavorava coi malati terminali. Voleva capire. Capire se era possibile colmare quell’abisso, morire dicendo sì alla vita ancora una volta.Questo non prima di essere passato ad accarezzare le statue dei re di Francia che non sono fredde ma calde del sudore delle tante mani che ci sono passate,come lui, in quel momento, a tastare la consistenza di quegli "immortali": si mischia alla gente e li tocca, ne descrive le espressioni, analizza il dettaglio in cui sono stati colti dalla fine e ritratti nel marmo. Poi il Presidente dice al giovane giornalista che lo segue per raccontare le sue ultime memorie destinate ad essere incompuiute:" avanti tocchi" e in quel momento sale strozzata,( a me è salita) una commozione per quel sudore di mani, per l’uomo che muore, per il Presidente attento a un dettaglio apparentemente irrilevante, per quel viso perfetto dell’attore, tutti questi elementi sono raccontati dal regista con una narrazione senza sbavature, carica di una partecipazione trattenuta ma fluida, vera, umanissima , intensa.
Altra chiave di lettura potrebbe essere dimenticare che il protagonista è stato un grande presidente . In fondo lui, coltissimo, curioso di tutta l’arte, l’architettura, la musica, la letteratura, poteva essere il protagonista di uno dei romanzi che cita continuamente, col suo tono divertito, quasi malizioso. Quindi, se facciamo finta di non sapere che è stato presidente francese per due legislature, possiamo facilmente lasciarci trasportare da una storia che si fa romanzo, dove il vecchio protagonista un giorno si sdraia davanti all’ altare della cattedrale che tanto ama e prova. Prova a morire. a vedere cosa succede. Si sdraia e si capisce che i suoi occhi ancora vivissimi e curiosi sono attratti dalla cupola, dalle vetrate, e hanno un guizzo di vita ancora piena e intensa nonostante tutto che non può non commuovere.
E’ un film sul resuscitare il sogno. E quando, con tanta fatica Mitterrand parla a un gruppo di operai, e prima è stanco poi acquista verve e forza in un crescendo filmico e attoriale che coinvolge e travolge, che fa battere i cuori di chi quel sogno di sinistra, operaista, di valori e di diritti lo porta ancora con se, in quel momento si piange, si piange tanto, io ho pianto, senza ritegno.
Questo film è un capolavoro. Un capolavoro vero da non perdere, su cui meditare. Sulla grandeur e il potere, un certo tipo di potere che non potrà mai più essere così, che verrà affidato a burocrati e funzionari ora, con l’Europa unita, con la globalizzazione. Un potere ,in ogni caso, con una sua arroganza,( e potrebbe esserci un potere senza arroganza?), e questa caratteristica endemica di chi governa viene ritratta da Guediguian, non tralasciata, non esagerata, ritratta. E fa bene il regista, fa bene a non esagerare. Ci fosse un Mitterrand in ogni generazione. E un film così, ogni mese, anzi ogni anno.
Da Marsiglia a Parigi:
Francesca Mazzucato