KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

La fine del viaggio

6 min read

La fine del viaggio
(secondo classificato – sezione Horror)


Penelope ebbe di colpo la certezza che l’uomo di fronte a lei, seppur sotto le spoglie di un mendicante, era l’amato Odisseo, re d’Itaca, che vent’anni prima era partito alla volta di Troia e non aveva più fatto ritorno.
Rimase lì, come impietrita. Non sapeva cosa dire, cosa fare. Per anni aveva atteso quel momento, lo aveva desiderato con tutta sé stessa, ma, giorno dopo giorno, quel sogno si era sempre più affievolito.
La speranza di un ritorno di Odisseo era ormai del tutto scomparsa ed aveva fatto posto alla necessità di ricostruirsi una vita. Abbassò lo sguardo, disillusa.
Odisseo non ebbe neanche il tempo di realizzare. Una voce cavernosa, carica di odio, sembrò levarsi da tutta la grande sala del banchetto, dove da poco si era consumato il massacro dei pretendenti alla mano della regina, i Proci.
– Vigliacco!
Scandì, lentamente la voce. Non aveva una provenienza particolare, anzi, sembrava che fosse la sala stessa, a lanciare quell’infamante accusa.
Odisseo, il figlio Telemaco, il porcaro Eumeo e Filezio, il mandriano, si guardarono intorno sbigottiti del fatto che qualcuno potesse ancora trovare la forza di opporsi al ritorno del re.
Nella stanza erano presenti solamente loro. Gli altri servitori avevano da poco terminato di portare via dalla sala i corpi martoriati di Antinoo e dei suoi compari.
– Vigliacco!
Un’altra voce, rauca e stentata, si levò accanto alla precedente.
– Chi osa… – provò ad opporsi Odisseo, ma dei colpi alla porta gli fecero morire le parole in gola.
Filezio impugnò la sua spada corta:
– Che razza di scherzo è questo? – disse mentre spalancava l’uscio con rabbia.
Furono le sue ultime parole.
Braccia tese allo spasimo emersero dalla porta aperta e lo afferrarono, immobilizzandolo; corpi accalcati uno sull’altro lo sopraffecero, gettandolo al suolo; bocche fameliche si avventarono sulle sue carni, facendone brani.
Fu tutto così rapido che nessuno degli altri poté fare alcunché.
Quando i volti dei carnefici, coperti di sangue, si levarono verso gli altri occupanti della sala, tutti poterono riconoscere coloro che avevano appena sterminato: i Proci. Le loro espressioni erano le stesse dell’istante della propria morte ed i loro movimenti goffi e lenti. Solo Antinoo fissava Odisseo con un odio che nessun essere umano sarebbe mai stato in grado di trasmettere.
– Vigliacco!
Ripeté con voce cavernosa, senza levare lo sguardo dal legittimo re di Itaca.
– Vigliacco! – fecero eco altri.
Non facevano altro che ripetere quella parola.
Ad un tratto, come se avessero ricevuto un ordine, iniziarono a marciare in direzione degli uomini, alcuni di loro trascinavano i loro corpi martoriati con la forza delle braccia.
Eumeo cercò di recuperare delle armi migliori nel ripostiglio ma, appena aperta la porta, fu assalito dal corpo di Melanteo, il mandriano, colui che aveva cercato di aiutare i Proci prelevando delle armi proprio dallo stanzino e che Filezio, avendolo sorpreso, impiccò sul posto.
Odisseo ed il figlio si gettarono nella mischia, con le loro misere spade corte, per cercare di salvare il compagno, ma niente sembrava più ferire i loro avversari, i quali, lentamente, li accerchiarono. Ben presto le urla dello sventurato porcaro non furono più udite.
Nonostante questo, il prode re di Itaca continuò a combattere strenuamente, anche se coloro che cadevano innanzi ai suoi poderosi colpi si rialzavano subito dopo, per tornare ad attaccarlo con rinnovato vigore.
Sangue, arti staccati che si muovevano da soli, volti gementi, bocche spalancate nel costante tentativo di affondare i loro denti nella sua carne, infine braccia, tante braccia protese vero di lui, questo fu per Odisseo il vero bentornato che il regno di Itaca porgeva al suo re. Nessun festeggiamento, nessuna celebrazione. Solo odio.
I suoi fendenti iniziarono ad essere sempre più imprecisi e disperati. Disperati come l’uomo che, finalmente, credeva di essere in pace nella sua casa e che vedeva nuovamente le proprie speranze tradite dai fatti.
– Ora basta!
La voce di Antinoo, carica di disprezzo, fermò l’assalto dei Proci, i quali, come tigri ammaestrate, si ritirarono di pochi passi. Il capo si fece largo tra loro e fronteggiò il re.
Il colorito, fino a poche ore prima scuro, della pelle, lasciava ora il posto ad un pallore cereo, mentre le occhiaie pesanti rendevano il suo volto ancora più truce e carico di astio. Un ghigno di perversa soddisfazione gli si disegnò in volto. Nella sua gola era ancora chiaramente visibile il foro della freccia che l’aveva ucciso, e proprio da lì sembravano uscire le sue parole.
– Bentornato, vigliacco!
– C… che razza di maledizione è questa, – balbettò Odisseo – V… voi siete morti. Perché Poseidone non mi lascia…
– Poseidone non c’entra. Ciò che hai davanti è solamente la rivolta di alcuni fedeli sudditi di Itaca ad un usurpatore.
– Usurpatore? Io? – disse incredulo Odisseo.
– Sì, tu, che hai peregrinato per tutti i mari conosciuti, perdendo tempo e uomini per la tua curiosità, come in Trinacria, – accusò Antinoo – o soffermandoti al cospetto di altre donne, come Calipso e Circe, mentre il tuo regno, qui, cadeva lentamente nell’anarchia. Ciò che ti dico è questo: tu non sei più il legittimo re di quest’isola. Altri hanno dimostrato di saper meritare quest’incombenza meglio di te. Vattene!
– Come sai, tu, dei miei viaggi?
– Tutti noi sappiamo. Per questo siamo d’accordo che questo regno non ti spetta più.
– E a chi spetterebbe? A te, forse?
Antinoo scoppiò in una fragorosa e distorta risata, sembrava provenire dal sottosuolo, più che dalla sua gola.
– Non capisci, vero? La tua consorte, con grandi sacrifici e devozione, è riuscita a guidare questo regno e a crescere un figlio meglio di quanto avresti saputo fare tu. Lei è il nostro legittimo re, e a lei sola noi c’inchiniamo.
I Proci tutti, a queste parole, s’inginocchiarono, lasciando che lo sguardo di Odisseo incontrasse la figura di Penelope, la quale, accanto a Telemaco, lo fissava duramente.
– Penelope, tu… che succede?
– Non avevi capito nulla, vero? – disse lei sprezzante – Credevi forse di ripresentarti qui dopo venti lunghi anni e di trovarmi pronta a gettarti le braccia al collo? A rimetterti nelle mani un regno che non conosci nemmeno, tanto poco lo hai governato? Credi forse che sia disposta a cancellare con un colpo di spugna tutti i tradimenti che mi sono giunti all’orecchio? Gli anni spesi a governare un Paese che tu rifiutavi di raggiungere?
– Ma quali tradimenti? Io non…
– Non mentirmi! So tutto! So di Circe, di Calipso e persino di Nausicaa. – le sue parole iniziarono ad incrinarsi – Come hai potuto?
– Ascoltami, ti prego – implorò Odisseo – tutti i miei sforzi erano puntati verso Itaca, solo il fato avverso mi ha impedito di raggiungerti subito, come desideravo!
– Perché non vuoi capire? – esplose lei, in lacrime – Non sono la sola a pensare ciò che ho detto! Coloro che vedi qui, oltre che miei pretendenti, erano miei sudditi devoti. Miei, capisci? Loro sono tornati dalla morte solo per farti comprendere che è Itaca stessa a non volerti più.
Odisseo si rese conto di avere davanti una donna indurita da anni di attesa e ormai definitivamente rassegnata ad essere una regina senza re. A quel punto accettò il suo fato: ciò che lui aveva per anni agognato come "patria" non era più intenzionata ad accoglierlo nuovamente. Poco importava che molte delle cose che Penelope aveva detto non fossero vere. Non c’era più posto, per lui, a Itaca. Doveva cercarsi un’altra casa. Il suo viaggio non era ancora terminato.
Mestamente, in silenzio, voltò le spalle alla consorte e si diresse verso l’uscita della casa.
Raggiunse la spiaggia, prese una barca e si diresse verso ovest, alla ricerca di una nuova terra, magari oltre le Colonne d’Ercole.

Una lacrima scorse sul viso di Odisseo addormentato, una mano dolce gliela asciugò, sfiorandolo delicatamente.
– Povero amore mio – disse affettuosamente la ninfa continuando ad accarezzare il suo amato – il sogno magico in cui ti ho immerso ti fa soffrire, vero? Non ti preoccupare, ci sono io con te. Pronuncia il mio nome, desidera Ogigia come patria e me, Calipso, come sposa e ti risveglierai. Ed avrai nuovamente un regno ed una regina.

Fabrizio Vercelli

Commenta

Nel caso ti siano sfuggiti