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La trama secondo Emile Zolà

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La trama secondo Emile Zolà

Abbiamo già visto in precedenza nell’articolo su Stephen King che per molti autori la trama è secondaria o inesistente rispetto al resto del romanzo o racconto che sia.

Per molti autori classici o moderni è sempre risultato inconcepibile sviluppare un intreccio a tavolino, decidere a priori una scaletta, concentrarsi sulla storia al punto da sapere in precedenza cosa accadrà, a chi, come, quando e perché.

Ricordiamo, per chi non avesse letto l’articolo precedente sulla Trama Secondo Stephen King, che il Re del Brivido afferma nel suo libro On Writing, dedicato a tutti gli aspiranti scrittori, che la trama semplicemente non esiste.

Per King un’opera narrativa deve essere composta essenzialmente da tre elementi basilari e nulla più: Descrizione, Dialogo, e Azione.

Questi tre cardini narrativi, da soli, secondo King sono ampiamente sufficiente a costruire un romanzo o un racconto validamente congeniato e perfettamente funzionale. E se non lo sa lui, che da circa trent’ anni sforna almeno un best seller all’anno, chi lo può sapere?

Ma come abbiamo spesso avuto modo di constatare, e chi legge molto lo sa bene, nella storia gli eventi e le correnti di pensiero tendono a ripetersi costanti come il moto ondoso del mare, per cui non stupisce ritrovare nelle annotazioni autobiografiche di Zolà, un grande scrittore dei tempi andati, la medesima concezione narrativa del moderno Stephen King.

Emile Zolà, nato a Parigi nel 1840, e morto nel 1902 per le esalazioni venefiche di una stufa a gas, fu per la sua epoca uno scrittore fortemente innovativo e grandemente contestato e perseguitato dalla critica.

Influenzato dalle teorie positivistiche di Darwin, Bernard e Taine, risentì letterariamente delle esperienze precedenti dei grandi scrittori realisti francesi quali Balzac e Flaubert, e fece della sua produzione narrativa uno studio sulle variazioni del comportamento umano legate al verificarsi di determinati fatti e accadimenti.

Per Zolà la cosa più importante in una storia era il personaggio, il suo background culturale, l’ambiente in cui era nato, le sue predisposizioni, gli insegnamenti ricevuti, le esperienze vissute. Secondo Zolà tutto questo costitutiva un substrato, un sedimento, uno zoccolo duro che avrebbe influenzato per sempre gli eventi e gli accadimenti e anche i sentimenti di quella determinata persona, determinandone lo sviluppo successivo in una successione naturale di eventi.

Proprio per questo motivo egli riteneva totalmente inutile lo studio di una trama o la stesura di un intreccio, perché secondo il suo modo di vedere i personaggi si sarebbero comportati nel modo che era per loro naturale, avrebbero operato le scelte a loro più congeniali e si sarebbero trovati, da soli e autonomamente, a vivere degli accadimenti e delle svolte narrative che a loro volta avrebbero costituito "La Storia" da raccontare al lettore.
Zolà sosteneva di non essere assolutamente in grado di inventare dei fatti, il solo modo che egli conosceva per costruire un romanzo era lasciare che il romanzo si facesse da sé.

Aveva preso la risoluzione di non occuparsi mai del soggetto, preferendo che la storia si costruisse da sola.

"Comincio a lavorare al mio romanzo, senza sapere né che avvenimenti vi si svolgeranno, né che personaggi vi avranno parte, né quale sarà il principio o la fine."

Zolà iniziava a lavorare su un solo personaggio, lo vedeva, lo osservava, lo studiava, ne osservava abitudini e comportamenti, mentalità e predisposizioni, vicissitudini e temperamento. Per lui il personaggio era la chiave di volta di tutta l’opera, egli lo vedeva nascere, vivere e crescere e secondo le allora modernissime teorie Darwiniste identificava nella sua naturale evoluzione il fulcro stesso di un intero romanzo.

La classe sociale, l’ambiente di nascita, gli sviluppi futuri, l’educazione, la sua occupazione lavorativa, le passioni, i sentimenti, le caratteristiche caratteriali, le sue aspirazioni, le sue abitudini, ambizioni, rancori, sogni e desideri. Tutto questo per Zolà era il cardine narrativo attorno a cui gli eventi venivano a snodarsi in una successione estremamente naturale e in nessuna maniera anticipabile o governabile.

Egli, come Virgilio, era il cantore di fatti già accaduti, o ancora da venire, ma in qualche misura incontrollabili.

Questo modo di scrivere è oggi largamente superato, ma all’epoca costituiva una vera rivoluzione.

Scrittore naturalista, estremamente interessato ai risvolti sociali, si specializzò nella creazione di personaggi fortemente drammatici, di grande spessore, analizzando a fondo i substrati di una società degradata, brutale, povera e violenta, facendo delle sue opere concrete espressioni di denuncia sociale, con le quali fornì ai posteri una delle più spietate e documentate testimonianze della società francese del suo tempo, dilaniata da profondissimi contrasti di classe.

Il modo di narrare di Zolà, come tutta la sua concezione letteraria, era totalmente incentrato sul punto di vista del personaggio. Le descrizioni, come le riprese di una telecamera, erano riportate secondo "l’occhio" soggettivo di chi le viveva e le scene si rivelavano al lettore nello stesso modo in cui erano percepite e assimilate dal protagonista.

Questo conferiva alla narrazione una fortissima potenza sensoriale, portando il lettore a vivere, a sentire, e a vedere come il personaggio viveva, sentiva e vedeva, in una totale immedesimazione.

Per capire la completa innovazione di un tale modo di narrare basti pensare che nel campo cinematografico fu Hitchcock il primo, già dopo la seconda guerra mondiale, a sperimentare questo tipo di vista personalizzata a stretto campo, portando la telecamera a incarnare la vista del soggetto, e lo spettatore a vivere gli eventi, per così dire, in presa diretta e in prima persona.

Strumento narrativo particolarmente potente ed evocativo dunque, ma estremamente pericoloso da adottare, in quanto nasconde alcuni trabocchetti assai pericolosi.

Uno tra tutti, non dimentichiamolo, esiste il pericolo che, travolti dalla fatale possessione medianica dello scrittore, dopo cinque o sei pagine altamente ispirate, si approdi a un seguito sconclusionato e confuso in cui, dopo momenti di puro delirio, ci si ritrovi costretti a gettare via il tutto e a ricominciare da capo.

Secondariamente esiste poi la possibilità che si partorisca un’opera in cui tutto, assolutamente tutto, funzioni a perfezione: gli ambienti saranno sapientemente descritti, i personaggi avranno uno spessore a tutto tondo, le descrizioni saranno suggestive e profonde, i dialoghi magari riusciranno adeguati e convincenti ma, morale della favola, alla fine dei giochi ci accorgeremo che in questa storia, ahimè, non è successo assolutamente niente. E non si può raccontare nessuna storia se non succede niente.

In terzo luogo, per la maggior parte delle volte, quando non si ha una trama, o un canovaccio precedentemente accennato o almeno abbozzato, succederà che la narrazione ci prenderà la mano. Alla rilettura dell’opera ci accorgeremo che i tempi narrativi non saranno organici, le sequenze temporali non saranno concatenate, gli eventi si succederanno in maniera confusa ed oscura, i personaggi appariranno e scompariranno in maniera totalmente irrazionale, e i dialoghi, se pur convincenti, saranno sicuramente collocati nel momento sbagliato, le descrizioni appariranno troppo prolisse e circostanziate, e i momenti di azione resteranno soffocati dall’ambientazione, eccessivamente curata e didascalica.

Per tutti coloro che sono comunque alla ricerca di una certa libertà nello scrivere e che ritengono, a ragione, che la letteratura non sia algebra, e che dunque non debba sottostare a criteri logico razionali eccessivamente restrittivi, esiste, come per tutte le cose, una soluzione adeguata che sta esattamente in "media res".

Se proprio non amate adeguarvi alle prescrizioni rigide e asettiche di una trama o di un intreccio stesi in precedenza, se in nessuna maniera riuscite ad adattarvi alle imposizioni da voi stessi create, e non trovate giusto seguire un iter narrativo già preconfezionato, se intraprendere un cammino minuziosamente tracciato vi annoia a morte, almeno mentre navigate, tenete d’occhio la costa e le stelle, se non volete imbattervi nelle infide secche rocciose del temutissimo blocco dello scrittore.

In poche parole chiedetevi sempre, prima, dopo e durante la stesura.

Che cosa voglio narrare?

Di cosa voglio parlare?

In che modo ci voglio arrivare?

Cosa mi propongo di dimostrare?

Che tipo di messaggio voglio trasmettere?

Diciamo che questi sono i riferimenti stellari che dovete sempre tenere in considerazione durante la vostra navigazione, e vedrete che uno sguardo alla costa e uno alle stelle, la vostra rotta si traccerà sì da sola, ma vi eviterà anche di naufragare su secche, scogli e fondali infidi.

Non perdete mai di vista i vostri obiettivi. Lasciate pure che i personaggi si muovano da soli, che vi prendano la mano, che si ammutinino perfino, se lo vogliono, e si ribellino ai vostri comandi, ma tenete d’occhio la bussola. Se andate troppo sottocosta correggete il timone, pochi gradi bastano per ritornare sulla giusta rotta, e se le stelle si allontanano, mettete le vele alla cappa ed aspettate, i venti giusti soffieranno prima o poi, e alla fine arriverete in porto, sani e salvi, voi e il vostro carico più prezioso, costituito dalla storia che state narrando.

Buona Navigazione!

Sabina Marchesi

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