Lasciarsi Andare
(ovvero, Scrivere con i bambini)
Sono appollaiata come un gufo su una sedia piccola e legnosa. Mi trovo in una scuola elementare, in un pomeriggio che sa di voci e strilli. Una decina di bambini mi guarda con sospetto e di sicuro si chiede cosa ci faccia io lì, grande e grossa più di loro. Sono alunni di quinta elementare, di classi diverse, che un pomeriggio alla settimana si incontrano in questi locali per fare qualcosa di speciale. Li osservo con un po’ di curiosità.
Mi sono tutti indubbiamente simpatici, da quella vezzosa fino al tipo più assonnato.
Sto aspettando la Signora Katia, si occupa di scrittura e di bambini. Buffo!
Buffo, soprattutto se si pensa che in genere lo scrivere, il raccontare, viene associato ad una certa maturità, capacità di dire le cose in modo pulito e forbito.
Quando la vedo entrare le sorrido cordialmente, mentre i bambini le vanno incontro appiccicandole mani e nasi ai pantaloni. Katia mi lancia un’occhiata e mi invita e fare la conoscenza di tutti.
Ci sono bambini differenti, mi sembra che ognuno sia lì con un "pacchettino di Sé" dentro alle tasche.
I piccoli vengono a scuola per scrivere di loro spontanea volontà, possono incominciare e poi lasciare perdere nel momento in cui l’attività diviene una forzatura. Un impegno aggiuntivo alle loro vite già frenetiche di ballerine o karateki.
La sensazione deve essere che "sei è lì perché ti va, perché ti interessa".
L’idea è quella di far passare il messaggio che la scuola può diventare anche un luogo creativo. Dove l’immaginazione può essere l’arma vincente. Ed, infatti, ci sono bambini "bravi", altri "meno", ma che si trovano dentro a questo pomeriggio perché si divertono.
Lo scopo dei lavori (o dei giochi creativi, direbbe meglio Katia) è quello di evitare di insegnare.
Si vuole fare in modo che i piccoli compositori imparino da loro stessi, da quello che scrivono e da come palesano i pensieri sul foglio.
E’ un lavoro duro, che richiede un alto grado di preparazione e, certo, una vocazione pedagogica non da poco. Katia sa perfettamente che le sue armi vincenti sono flessibilità e organizzazione. Un binomio che scredita e getta definitivamente nel pattume i percorsi prestabiliti che pretendono di sapere già prima, tutto quello che succederà poi.
Sul piano educativo, Katia non teme la contaminazione, il ri-pensamento di ciò che si fa e si vede.
Di conseguenza diviene importante, a questo punto, al posto della rigida pianificazione degli obiettivi, la progettazione delle stimolazioni, ossia, il creare attività e situazioni stimolanti, appunto. Le proposte di gioco-scrittura diventano occasioni volutamente e semplicemente provocatorie. Vogliono, cioè, scatenare qualcosa, in modo tale che i bambini si sentano presi nella rete e comincino a giocare con le frasi e a fare osservazioni.
Katia precisa che in queste ore non si parlerà di intelligenza in maniera canonica, ma piuttosto si guarderà alla mente dei bambini "in termini di immaginazione".
L’immaginazione porta a vedere le cose, la realtà, gli oggetti, in modo inconsueto. Aiuta ad avere immagini multiple, il che significa che quello che sei, che ti circonda, può acquistare una pluralità di significati. Per citare un noto pedagogista e sperimentatore, Loris Malaguzzi, si potrebbe aggiungere che si vuole "complicare il mondo".
Scopo generale, mi dice Katia "è quello di incentivare la formazione dell’Io, dell’identità personale attraverso lo sviluppo della parola, per affinare uno solo dei molti linguaggi possibili".
L’avventura comincia, tra un’alzata di mano e qualche risatina.
Non ricordo di essere mai stata così serena sui banchi delle elementari, in genere c’era sempre qualcuno che voleva sapere qualcosa. Già, la mia era una maestra vecchio stile!
Ma qui c’è tutta un’altra atmosfera.
Katia si siede sulla cattedra e mi fa l’occhiolino. Comincia a parlare piano, fermandosi, chiedendo e, soprattutto, ascoltando quello che i piccoli hanno da dire e da domandare.
Oggi si parla di come si è. E’ un momento decisivo nella crescita naturale del percorso che i bambini stanno affrontando. Si è scritto di diverse cose (proposte da loro stessi, come la felicità o l’amicizia), ma questo pomeriggio si chiede di fare lo stesso esercizio con più accuratezza. Di guardarsi senza un veicolo (un tema) che faciliti il compito.
Mi gratto la testa, e penso che io non avrei saputo cosa scrivere. E’ la domanda granitica che perseguita l’uomo dalla notte dei tempi: "Chi sono?"
Ed invece, contro il mio razionalismo cinico, noto che i bambini rispondono al tema con grande entusiasmo. Con voglia di fare. Lo scoramento sembra aver catturato solo me.
Katia mi spiega che si procede in maniera differente ogni volta.
Scrivere con i bambini implica accettare l’incertezza, l’imprevisto come elementi essenziali del processo di conoscenza. "E’ un circolo, bisogna prepararsi a questi incontri predisponendo il lavoro in modo tale da avere spazio per l’improvvisazione".
Non si tratta di lasciare tutto al caso, ma di preparare e organizzare il lavoro preventivamente ed in modo chiaro, aggiungendo la flessibilità che serve con i bambini e l’accettazione che, nel confronto diretto con loro, può accadere di farsi trasportare in direzioni impensabili.
Un altro elemento fondamentale è il tempo. I margini entro cui si dipana il laboratorio sono le tre ore settimanali di Katia, la quale sa però molto bene che questi stessi margini diventano labili ed estremamente mobili sul lungo periodo.
Se i bambini negli incontri successivi alla scrittura di un tema dimostrano la voglia (e la necessità) di rifletterci ancora, Katia, sebbene sia pronta a partire con qualcosa di nuovo, si ferma, dedicando anche altre 3 o 6 ore a sciogliere dubbi e a svelare arcani. In questo modo lavorare con i piccoli è davvero osservarli, imparare dal confronto e dalla negoziazione delle esperienze.
I bambini agiscono da protagonisti.
In effetti, il fattore tempo, che è solitamente escluso dalle ore di lezione, è qui davvero forte, assume un valore decisivo.
Quello che si vuole fare è dare tempo ai bambini, il tempo necessario per sviluppare immaginazione, capacità critica, di racconto, interesse, e cercare di mantenerli più a lungo possibile.
Il tempo dei bimbi non è sempre quello dell’orologio.
Katia spiega che in questa sede l’importante è aprire la porta della fantasia, sbrigliare le energie creative, usare la testa non per memorizzare. Al contrario di quello che sembra, non è una demagoga della grammatica. Katia spinge affinché le parole siano scritte nel modo corretto (per mostrarne l’importanza ed il peso) e spesso corregge errori e scarabocchi, ma lo fa nel grande rispetto del bambino e dei contenuti che ha espresso. Spronando a "guardare bene", ma dedicando il grosso delle ore a discutere su quanto emerge rispetto ai racconti di ognuno.
In genere, e anche questo pomeriggio, c’è grande voglia di leggere. Raramente mi confessa la mia amica qualcuno preferisce tacere. "Il foglio, ai bambini, fa prendere distanza da tante cose".
E il risultato è sorprendente. Una valanga di idee, ruoli che si sovrappongono.
Non ci sono limiti e i bambini lo sanno. Non c’è pericolo di andare fuori tema o la paura di prendere brutti voti. Così, ecco la frana delle certezze e dei limiti imposti alla fantasia e all’immaginazione.
Ma non è sempre stato facile. Katia mi parla di questo risultato come di una conquista dura e faticosa. In principio i lavori dei bambini erano più macchinosi, pesanti. Come se fossero legati alla scuola, "alla tele".
"C’è stata molta difficoltà a sentire la propria voce, e a capire che si può scrivere e leggere anche per piacere e non solo per dovere". Problemi gravi e che anch’essi si perdono nei decenni, fino a non sapere neppure più quando sono comparsi.
Katia non ha la soluzione, Katia sa che domani mattina dovranno fare un tema e scrivere quello che viene chiesto loro stando attenti alla bella grafia, alle righe, al voto.
Il laboratorio vuole essere un’occasione per poter mostrare che ci può essere qualcosa di diverso, che si può essere anche in un altro modo davanti alle parole. Che ci si può lasciare andare e divertire con quello che si scrive, si crea. "Il laboratorio è una possibilità".
"Io sono quello che sono. Una bambina"
Esperienze di Scrittura 2:
(Simona)
Elisa Rocchi