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Reggio in arte

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Reggio in arte
Aperture inedite e "alla grande" battezzano la seconda edizione della manifestazione fieristica, sotto legida di Patrizia Lodi della Steccata di Parma. Insolito clou della vernice, recital, della fulva Milva al teatro Valli. La Rossa di via Tadino, qui sembra essersi ispirata, per la mise la sinuosa sirena, Jessica Rabbit, in pieno fulgore, ha sfoderato inossidabile fascino nella grintosa estensione canora, da vedette internazionale, ha rispolverato repertorio brechtiano di ieri, mediato dal coltissimo filtro mitteleuropeo di Strehler, senza scordare i preziosi consigli dell’ex-marito Maurizio Corgnati, non solo nell’impostazione della voce, che avrebbe dovuto dedicare alla lirica, sia nel look, sia nel repertorio internazionale, che comprende Lieder di Kurt Weil, attingendo anche alle canzoni della Piaff, scritte da Prevert, esprimendosi fluentemente ben quattro lingue.
La diva, madrina di Reggio in arte, ha esposto la sua collezione con l’immancabile genius loci, Ligabue, ma anche con superbe opere di Spazzapan e di esponenti del "Gruppo Cobra", dietro consiglio del Corgnati, coltissimo esperto di varie arti, che ha dato vita al Museo di Maglione Canvese, in quelle Langhe, già care al Pavese di "Luna e falò", "Dialoghi di Leuco" e di "Lavorare stanca", che affondano le radici nell’humus di una terra espressa in una cultura dai toni dimessi. L’eredità del regista è stata raccolta dalla figlia Martina, docente a Brera.
La manifestazione riassume radici popolaresche del museo1 naif di Luzzara, che sciorina, nella sua raccolta, opere di un predecessore del tutto-tondo Botero, Lovo; espressionistiche le "Lampare" di Lazzerini, in cui ravvisiamo un riflesso di Guttuso, ormai relegato nel dimenticatoio, dopo anni di eccessiva grancassa; sempre siculo, il "Funerale" di Bolognesi; un Covili DOC ci offre espressionistico "Cavallo morente"; il Museo naif è intitolato a Cesare Zavattini, da cui fu fondato, insieme all’alter-ego, Alfredo Gianolio, sensibile critico reggiano ed erudito conoscitore di antichità locali, specialista canossiano, alternando le pandette a tomi, incunaboli e carte polverose d’archivio.
Questa fiera si è rivelata ottima palestra, in cui si cimentino emergenti e gallerie recenti, anche se non mancano i decani Rotta e Forni, rispettivamente facendoci ammirare Paola Campanella un’arzilla ottantenne coniatrice di terse nature morte. Una delle mogliori artiste nazionali, è Gabriella Benedini, celebrata dalla Biennale ’91 con polimaterici ben calibrati.
Mondino inocula inossidabile verve nell’esotico, caliente Granada, con sfondo arabo, irto di minareti.
Marchese ospita, il metafisico Lucio Del Pezzo, i pop illusionismi di Gilardi, il decano dell’astrattismo Dorazio, mentre restano virtuali, gli aquiloni di Diotallevi; ci si addentra nel labirinto di M. F. Roncoroni, rimpiangendone i lignei libri-oggetto; si deliba il raffinatissimo, impalpabile Dessi, valori plastici esalta, l’eclettico Maraniello; il nipotino di poesia-visiva, gruppo ’63, Roffi; il raffinato sperimentatore materico, Benfenati.
Tra i figurativi raffinati, le entità verdeggianti di Fissore, gli scampoli paesistici e i velieri di Tofanelli e le fantastiche ludoteche liriche di Antonio Possenti.
No starò a citare i soliti noti, inamidati, mummificate reliquie del déjà vu incapsulate come ex-voto, nelle teche della memoria museificata.
Ammiriamo gli spartiti grafico-musicali di Chiari, in sintonia con il gruppo Fluxus oggrtto di una personale alla Cavalieri.
Alla tredici, le effusioni liriche azzurre, solcate di personaggi misteriosi, di Rognoni, in buona compagnia dei paesaggi pastello di Gianquinto.
Da volumi, incunaboli, Armodio è passato a raffigurare cumuli, risme di "sudate carte", negligentemente ammonticchiate, rivelando consueta perizia grafica.
Reiterata riprova del talento scultoreo si ha con Antonio Caselli, in una stringatezza plastica che rammenta il binomio cavallo-cavaliere di M.Marini e la scabra abbreviazione stilistica delle anatomie di Arturo Martini.
Sempre ispirata a immagini equestri, M.L.Tedeschini.
Belle prove astratte sono offerte da Asveri; policromi polimaterici, di Zaffanella.
Metastasio offre sinestesie di languide fanciulle romantiche, candidamente ammantate alla Isadora Duncan, che odorano fiori, sullo sfondo di villa palladiana.
Sfilano personaggi mitologici di Edi Brancolini, figurazioni allegoriche.
Della numerosa tribù artistica reggiana, spiccano i simboli gli archetipi delle sintetiche alchimie di N.Fontanesi, sculture simboliste di Marmiroli, curiose installazioni di Garzelli. Stefano Grasselli un repertorio animalistico wildlife, inteso come fabliaux; protagonista delle sue iconografie, la Jena dai fosforici occhi sbarrati, come lapilli di un vulcano in eruzione. La Jena, come il lupo, è calunniata, condannata in contumacia, senza prova d’appello; last but not least, suo soggetto recente, l’avvoltoio, appollaiato su un picco, a spiare un monte impervio, in acquaforte, esposta nella recente mostra di Mantova.
Da Contini, belle nature morte di Agazzi, i volti amaciati e spiritati di Ida Barbarigo, in sintonia con il cupio dissolvi dei personaggi del consorte, Music; superbo il Bambino di Medardo Rosso, un miracolo di dissolvenza, all’insegna della luce fantasmagorica dell’impressionismo. Raffinatissimo, il luministico affabulatore Guarienti.
Lo Spazio-tempo, per l’eclettico fiuto di Frittelli, ci propina il rigore ben calibrato di Uccio Biondi, fumetti metropolitani di Matti, esponenti della poesia visiva, Ori e Marcucci; le effusioni lirico-luministico cromatiche che sembrano accogliere suggestioni musicali, di Riccardo Guarnieri. Astrazioni geometriche del neo-Mac, Paolo Masi.
Rivive la stagione dei caffè storici, polo di attrazione di varia cultura, con l’espressionistica "Donna al caffè" di R. Melli, sobrio protagonista della Scuola Romana, con Scipione, Mafar e la Raphael che scrisse, polemicamente con Arturo Martini "scultura lingua viva".
Tra gli scultori, citiamo per la concisione l’essenzialità dei volumi, Ghidini a Punto Arte.
Altra colonia reggiana, alla 8,75, oltre alle opere fittili della scultrice bolognese, Giuliana Chiodini, che tradisce la formazione architettonica, nell’adozione di moduli stilizzati, desunti da fregi gotici e romanici, in terracotta patinata che rasenta l’imitazione del lustro metallico: Reggiani DOC il bravo scultore Giansoldati, con volumi sfaccettati in marmo; si affaccia da illusionistici oblò, Paroli; Ferrari diffonde papaveri a profusione; sfila un gruppo di pittrici figurative: Scapinelli, Tedoldi, Martini; raffinati, i fiori delicati di Verzelloni; stringate le astrazioni di Corrado Tagliati.
Celebra i fasti di un vissuto metropolitano obsoleto, Ossola, in uno spaccato day after di un cupio dissolvi di un edificio abbandonato in una nigredo, appena scalfita da sprazzi di luce giallastra, che indaghi impietosamente gli aspetti di una realtà desolata, da uno squarcio, praticato nella frontalità dell’edificio, ormai decadente.
Ha lasciato azzurri spazi infiniti, post-nuclearisti, Ponzi, optando per più asfittici e domestici interni, investiti da una fiammata in contrasto con il verde intenso della macchia della vegetazione, che smussa i contorni di oggetti, rischiarati dalla finestra, accorgimento prospettico per dialtare i limiti angusti del quadro.


Giuliana Galli

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