KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Giuliana Chiodini

5 min read

Giuliana Chiodini

Nella serrata impaginazione formale di Giuliana Chiodini, si avverte il pattern dell’architetto, tradito da strutture plastiche, che scivolano inavvertitamente nel design, la cui Gesamtkunstwerk, opera totale, imperniata sulla manualità di ispirazione naturalistica, assimilabile all’handicraft, quella fabrilità di William Morris, che Leroi-Gourhan intende come ‘reticolato di gesti’, per mettere a punto strumenti, con cui plasmare la materia, per foggiare manufatti e utensili, come archetipi universali.
L’artista subisce il fascino discreto dell’arte preistorica e antica, in una rivisitazione riveduta e corretta del gusto d’ispirazione naturalistica e archeologica. E sono i Dolmen, tavole di pietra, segnacoli di monumenti megalitici, come le pietre di Stonehenge, Triliti, il cui rigore plastico di profili netti sia smussato dall’insinuarsi di motivi curvilinei. Oppure sono stele, piastre costellate da una ridda di segni, crivellate di fori, che fanno loro acquisire quella terza dimensione spazio-temporale, messa a punto da Bergson e da W. James, ma innescata in arte dal ‘Manifesto Bianco’ di Lucio Fontana, aprendo un pertugio alla luce, in cavità compiacenti, spiragli, alternati a modanature icasticamente modulate, in un gioco di bassorilievi appena percettibili.
S’individua, in queste strutture verticali, percorse da teorie di motivi reiterati, rinserrati asfitticamente, in una trama fitta di rimandi, sino a rasentare l’horror vacui. Oppure queste sculture sono segnate da incisioni, come nella "ceramica a sgraffio" estense, percorse da scalfitture e rastremature, come ‘tracce del negativo’ (Adorno) nei simulacri di forme viventi, solchi di un codice naturalistico, ridotto a fossile. Altre forme rammentano la Civiltà rupestre della Val Camonica, per l’essenzialità formale e simbolica.
Altre strutture plastiche sono dilaniate da fenditure e slabbrature, che intacchino la compattezza, altrimenti a tutta prova, della materia tormentata e corrosa dall’usura del tempo, dagli insulti degli agenti atmosferici, rilevabili nelle ossidazioni e nelle alterazioni cromatiche.
Si capta una sorta di sedimentazione, geologica negli scatti timbrici, che accendano di accenti policromi la gamma cromatica variegata del Raku, antica tecnica ceramica giapponese, inteso come interlocutore materico privilegiato dalla scultrice, per il sapiente dosaggio dei pigmenti e l’inedito accostamento tra l’opacità scabra e la polita lucentezza glauca degli smalti, con avvincenti sfumature turchesi, in cui s’insinuino toni ferrigni, la cui algida struttura simuli i riflessi cangianti dei bagliori metallici. In certe opere, la materia porosa sembra aver subito la metamorfosi di un’eruzione, avvertibile negli ispessimenti della materia calcinata, in cui s’avvicendi il nero-pece di una lava consolidata dal magma affocato. Negli orli frastagliati della scultura, a struttura piramidale, dagli spigoli acuminati, lucenti come ossidiana, s’individuano i motivi e i fregi, i pinnacoli e le guglie dell’architettura gotica e le ibridazioni metamorfiche dei capitelli e delle architravi romaniche. O son curiose sculture, stilizzate a fiore e foglie, corolle d’invenzione, che si schiudano su esili, filiformi steli, come nella ‘Botanica Parallela’ di Leo Lionni.
Oppure son nuclei a goccia, intaccati da fenditure, elegantemente modulate, in progressione, in un digradare di fori ovoidali inanellati, come nell’arte MAC.
O son stele, evocative di una simbologia arcaica di motivi atavici, in suggestive reminiscenze ancestrali, in sintonia con l’esigenza di scavo, in un sondaggio nella struttura della materia, intuita come forma latente, come ben aveva inteso Michelangelo, con radici che affondino in un naturalismo assimilato a fusione panica, trasfigurato in slancio creativo, che non estingue quel fuoco dell’intuizione, enucleato da Gaston Bachelard, come energiaallo stato nascente, di una luce che affiori da una polla riposta di chiarore, germinando come effiorescenza iridata alle soglie della coscienza a tradursi nel bagliore creativo dell’Istante, sintetizzabile nel ‘fermati sei bello!’ del Faust di Goethe.
L’artista, agli esordi, si è servita ecletticamente di materiali disparati, come il rame, assimilabile al fuoco, con cui ha foggiato fiori pirotecnici, ma attualmente si serve del Raku, come medium specifico della sua produzione.
Del resto, la ceramica si serve dei 4 elementi, in un Opus alchemica all’insegna del ‘solve et coagula’, per simboleggiare le fasi della Metamorfosi, con cui la materia subisce emblematiche trasformazioni, per consolidarsi nel Fuoco. La struttura di queste forme sintetiche, sia pur aniconiche, ha radici profonde, in consonanza con gli "ismi" degli albori del secolo e rivela negli essenziali elementi formali, la costruzione di una Gestaltung, sia pur enucleata come figurazione embrionale, la cui evoluzione sia suggerita da ritmi naturali, come l’intese Klee, in "Teoria della forma e della figurazione". Queste strutture evocative son intaccate da vuoti; oppure son strutture totemiche, sia pur costruttiviste, che rivelino nelle modulazioni angolose, che scalfiscano la materia, in un ritmo plastico, con tensioni e attrazioni, di richiami reiterati, animati da un’interna dinamica, risolvendo gli elementi compositivi nella superficie, intersecata da cavità ritmiche, in un gioco plastico di concavi e convessi, come in uno spartito materico.
Non mancano nella produzione plastica dell’artista, sculture bidimensionali ridotte a lamine, in cui atavici totem perdono rilevo e spessore, in una materia intaccata da segni scabri e pertugi, in una dicotomia che diviene motivo strutturale.
Giuliana Chiodini interviene drasticamente sulla struttura, servendosi di materiali disparati, mutilando la materia con perforazioni, torturandola con ferite e abrasioni, fenditure slabbrate, ustioni e ossidazioni, che ne compromettono la compagine e la saldezza volumetrica, assestandone la tensione strutturale e indagandone le potenzialità espressive, in una genesi primordiale in mito dell’Eterno Ritorno, individuandone fermenti in sfaccettature di una creatività, come nucleo di energia che si propaghi alla matrice plastica, incisa con acredine, assumendo cadenze ritmiche contratte che valorizzino una struttura espressionista, come in un pattern materico, in cui i motivi a rilievo assumano valore di codice semantico, di notazione, alternati a segni-scavo, assunti a segni del negativo, come nelle scritture cuneiformi dei libri litici e fittili della Biblioteca d’Alessandria, percorsi da pittogrammi plastici.
Le angolosità e spigolosità della conformazione plastica si distendono in intimità tenera, in soavi concavità, per poi tornare irte, esprimendo una gamma di gradienti di tattilità, come nei libri illeggibili e tattili di Bruno Munari.
L’artista dovrebbe mettere a punto installazioni e impaginazioni scenografiche in un habitat, in cui ambientare le sue recenti sculture che trovino un coerente apparato plastico.
Giuliana Galli

Commenta