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Ceramica del Ducato Estense (2)

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Ceramica del Ducato Estense (2)

Carpiti durante le sue visite a fabbriche non solo italiane, diligentemente annotati su un libretto puntigliosamente aggiornato, tramandato da Carlo Rubbiani, in cui emergono i nomi di Finck, J.P.Varion; inoltre, egli si soffermava sul "terzo fuoco", tipico della porcellana che non ebbe applicazioni a Sassuolo dove riprese l’attività. Nel 1776, Pietro Varion plasticatore e a Vincennes, poi a Nove di Bassano, presso Antonibon, a Bologna, a Este da Graziano Franchini. Poi offre di entrare in socetà al Dallari, per introdurre la porcellana a Sassuolo. La porcellana avrebbe dovuto essere diffusa da Marco Polo dalla Cina, ovviamente insieme ai bachi da seta. Mercanti italiani e Portoghesi l’avevano acquistata in Siria e in Egitto, fornendo le corti europee. Per assecondare il gusto della raffinata porcellana, i maiolicari cercarono di imitarne l’aspetto esteriore, adottando la decorazioe di fiori e di foglie blu sul fondo bianco, tipico della cultura Ming, come i ceramisti che facevano ceramica nera, a riduzione d’ossigeno, lasciandoci intendere che fossero "Buccheri", ma anche in questo caso la somiglianza è solo nell’aspetto esteriore. Alfonso II assunse Camillo e BAttista Fontana, urbinati (1561-2) per fabbricare ceramiche e porcellane, con una ricetta del 1583 dovrebbe sancire perentoriamente gli ingredienti della porcellana (Archivio di stato, Modena). Equivalenti a un impasto in parti uguali, di smalto stannifero e argilla, accostandosi alla porcellana in pasta tenera, i cui più antichi esemplari sono quelli dei laboratori Medicei. La proposta del Varion, ebbe risposta doppiamente negativa, da parte del Dallari e del Duca per cui rimase ad Este, dove si associò al franchini, creando l’ottima fama, per ceramica e porcellana, della città.
Simile esito ebbe la stessa richiesta di Giovanni Oxan.
Intanto era tornato a Sassuolo Pietro Lei (1782) che con Callegari e Casali, avevano impiantato una fabbrica a Pesaro, auspice G.B.Passeri, uditore del cardinale Merlini di Bologna. Egli era valentissimo pittore di maioliche, traducendo in una resa dettagliata e minuziosa, vari soggetti, delineati elegantemente, ricorrendo ad abile stesura cromatica, ottenendo autorizzazione ducale, per la pignatteria; del resto, il Dallari si batteva strenuamente per la privativa della maiolica. Siccome non aveva propensione per la terracotta, Lei tardava, ad avviare l’impresa; nel 1789 Giuseppe Magnani otteneva analogo permesso con l’appoggio del Dallari; però, gli si ordinava di attuare concretamente e urgentemente il progetto, pena la decadenza dei diritti.
Intanto, il Dallari entrava in contatto con Fink, a Bologna, dove gestiva una fabbrica; la collaborazione del Fink durava appena un anno, dopo di chè, se ne tornava a Bologna. Il Dallari ebbe controversie con Basilio Galavotti, di S.Felice, chiamando come perito Ignazio Cavazzuti, che si pronunciò sulla qualità sopraffina delle maioliche del Dallari.
L’inventario del guardaroba ducale del 1772 attesta la regolare fornitura, di maiolica, da parte non solo del Dallari, ma di fabbriche di Imola, di Lodi e perfino di Delft. Ma sono presenti gruppi di porcellana fine, ad esempio raffiguranti gli Elementi; altri le Parti del mondo in forma ovale sagomata e servizi raffinatissimi, per tè, caffè, servizio da tavola, due profumiere di porcellana su fondo bianco, con fiori turchini e figure di Sirene; oltre a una quantità di piatti di porcellana turchina e oro, 136 tondi di porcelllana fiorata, con oro e senza.
Se Gio.Maria Dallari aveva diviso con atto notarile i beni assegnando a Giovanni la fabbrica, a Domenico case e terreni, alla figlia divenuta suora un lascito. Ma, con la rivoluzione francese, molte cose cambiarono; nel 1791, si aboliscono le privative, mentre già si importavano maioliche e porcellane straniere.
O tempora o mores! Giovanni Dallari, fiutato il vento, entra nella giunta municipale di Sassuolo e poi si trasferisce a Modena, cedendo la fabbrica a Andrea Leonardi e dalla lista dei prezzi si può desumere la tipologia: tondi, fruttiere, catini, tazze, chicchere, rinfrescatoi, bacilli da barba, zuppiere tipo lodigiano, bicchieri a ruota, saline, vasi e scodelle da fiori.
Intanto si avviava la "socetà mercantile" di Luca e Giovanni Bontempelli, cui collaborava Pietro Lei, ma la produzione cessava ben presto. I figli del Dallari, costanzo e Onorio rilevarono la fabbrica Bontempelli, assegnando poi a ognuno una fabbrica diversa.
Dal 1814, Francesco IV d’Austria Este, dopo il congresso di Vienna, prendeva possesso dei suoi domini. Odoardo Dallari ottiene dal nuovo duca il rinnovo della rivativa per 10 anni, ma con limitazioni territoriali al modenese.
Gli affari del Dallari languivano con l’aggravante della nascita di nuove fabriche di "pignatteria". Dopo varie cessioni e cambiamentio di proprietà, le due fabbriche si riunivano nelle mani di Costanzo Dallari che diventava anche podestà. Intanto, nell’orizzonte ceramico Sassolese, si profilava il conte Gio.Francesco Ferrari Moreni che era stato Conservatore a Modena e a corte era designato come ciambellano. I contatti con la ceramica erano scaturiti da accertamenti nella "pignatteria" presso S.Pietro, dopo un incendio. Nel 1835, decideva di acquistare la fabbrica Dallari con materiale, utensili, oltre al diritto di estrarre argilla dal fondo "S.Polo". La richiesta di avere privative ed esenzioni fiscali, veniva respinta dal duca, come anacronistica, però impediva di fatto, che analoga produzione sorgesse a Sassuolo, in concorrenza al Ferrari Moreni.
Una breve stagione salutava l’attività di Vito e Ludovico Bocelli a Scandiano, che ebbero come collaboratore il pesarese Terenzio Rizzoli, reduce da esperienze sassolesi con i Dallari, oltre a Francesco Caiti e Andrea Lazzarini della stessa zona sfornando esemplari in bianco o azzurro, con decorazione floreale cinese Ming, come del resto, di gusto orentaleggiante sono gli esemplari della "compagnia delle indie".
Intanto il conte Ferrari Moreni, divenuto podestà di Modena nel 1851, cedeva la fabbrica al Rubbiani che avrebbe dominato per un ventennio la produzione ceramica estense. La prematura scomparla di Luigi Rubbiani creò una crisi. Don Antonio trascurava i doveri religiosi, per ricoprire cariche pubbliche, e la Curia reggiana lo fece sospendere "a divinis"; il suo ruolo nell’ambito ceramico fu preponderante, fino a partecipare alla mostra di Firenze del 1881, esperienze poi sfociata nella partecipazione all’Expo di Parigi, dove la produzione si era classificata con la medaglia bronzea; veniva poi l’Esposizione di Torino a valorizzare esemplari di gran pregio, in cui si revelava il vistuosismo pittorico in quella "ceramica artistica" che lo porterà a dividersi dal fratello e ottenere numerosi riconoscimenti anche all’estero; parteciperà a diverse esposizioni, rispettivamente a Padova (1869) nel ’70 a Teramo, nel ’73 a Vienna, cui confluiranno fabbriche importanti come Ginori, Ferniani, Antinibon; comunque, il rubbiani ottiene menzione onorevole; identico riconoscimento otteneva nell’expo di Parigi nel 1878, con vasellame e utensili di cunsumo e prima necessità. Ancora aveva remore nell’esporre le pregevoli ceramiche artistiche decorate dall’ottimo pittore Domenico Bagnoli; esemplari d’imitazione cinese furono iviati all’esposizione di Milano nel 1881, ottenendo la medaglia d’argento e la menzione critica dell’esperto di ceramica Antonio Corona. Inoltre il vaso "barocco" esposto fu comprato dal re per mille lire. Altra medaglia d’argento ebbe all’Expo di Torino del 1884. Ma la sua geniale intuizione, fu quella di tradurre la maiolica in materiale di rivestimento per piastrelle esposte a Roma nel 1889, dove ebbero gran successo, mentre fioccavano le ordinazioni di grandi quantità; inoltre, introdusse la riproduzione meccanica della decorazione. Morendo Carlo nel 1891, gli subentrava il figlio Ugo, ma non era tagliato; i tre fratelli e i nipoti si dibattevano in difficoltà.
Comunque l’attività ceramica del Rubbiani continuava a rivestire grande importanza, per vasellame da tavola e "quadrelle" verniciate per pavimanti con sei forni e 40 dipendenti.
Purtroppo, la famiglia Rubbiani fu funestata dalla scomparsa si orazio, poi del nipote Ugo (1901), mentre Don Antonio ormai novantenne stilava il testamento, ma le passività imposero di vendere fabbricati e terreni, mentre continuavano l’attività i nipoti Francesco e Giovanni, ma la falla economica non si poteva tamponare e il tribunale ne sanzionava la liquidazione nel 1910.
La società fu rilevata da Matteo Olivari, con l’ausilio di 99 operai. Dopo la Grane Guerra, la ceramica fu ceduta a Odescalchi che, a sua volta, la rivendeva alla Marca Corona.
Per l’esaustiva mostra allestita a Modena Antiquaria, usando come Baedeker, l’ottimo saggio di Elisabetta Barbolini-Ferrari, ripercorriamo le tappe della evoluzione stilistica degli esemplari fittili, tra cui annoveriamo i più antichi, quattrocenteschi, rientrano nell’ambito ferrarese, con notevole decorazione a "sgraffio" di produzione curtense, con stemmi, motivi araldici e coppe d’amore, costellati di ornati, di fogliame, con l’emblematica cerva, simbolo di fertilità, come si desume dall’esemplare verde-giallo del piatto del XVI sec., rinvenuta presso il duomo di Modena.
Fa parte del repertorio "amatorio" la scodella, in cui tra motivi fitomorfi verde-gialli, si staglia il profilo di donna che consente di tracciare una evoluzione di costume, attraverso le foggie dei capelli, i copricapi a turbante o reticella (XV-XVI sec.).
Sono da attribuire alla produzione fittile sassolese, le belle "crespine" in maiolica decorata con fiori e rocaille, che sigla gli esemplari del Dallari con fiori stilizzati, "ciocche" di rametti e fiori singoli sparsi, per l’ornato. La conformazione dei "versatoi" ad elmo è d’ispirazione ai modelli metallici, con il fusto slanciato, scandito da costolature fatte risaltare da incisioni verticali su base polilobate, in smalto bianco-latte.
Altri esemplari presentano forte aggetto modulato ed estroflesso, con decori a graticcio e profilatura più blu cobalto; una foglia a rilievo ne costituisce il manico. Avvincente, il bacile, con moduli stilistici desunti da suppellettili in rame e argento. Ma il decoro figurativo s’ispira a Jaques Callot. La decorazione "alla Brain", decoratore al servizio di Luigi XIV influenzò la produzione della ceramica di Moustiers, con tardi influssi sul lodigiano Giorgio Rossetti. Interesanti, le "profumiere" in maiolica a fiori, con coperchio traforato a cupola. I fiori del coperchio mimetizzano i fori che crivellano lo smalto bianco; i morivi decorati, due sul coperchio e due sul vaso, hanno valore apotropaico,come imitazione dei simboli beneauguranti della porcellana cinese.
Il bel "trionfo" da tavola, è dominato da Nettuno, ispirata alla scultura, su disegno del Bernini, che domina insieme a Galatea, il vestibolo della Delizia di Sassuolo che sormonta un gruppo di delfini che inseguono Anfrite, in sintonia con motivi di divinità marine e fluviali, ispirate in Dallari alle decorazioni del Palazzo Ducale e alla Peschiera o Fontanazzo. Il trionfo sembra attribuibile al Giraud.
La bella statuetta di "cinese" sembra ispirata ai modelli di Felice Clerici del 1770, di sapiente stesura cromatica a manganese. Il vassoio decoato da Pietro Lei, raffigura castelli che si stagliano in entità verdeggianti.
Le forme plastiche naturalistiche raffiguranti pesci d’imitazione dei Della Robbia, che avrebbe influenzato la produzione di Meissen, Strasburgo, Nove e Milano, sembrano eseguite dal Giraud. Le figurette, ispirate a modelli classici, eleganti e sobrie, sarebbero attribuibili a Pietro Varion, ottenute da stampi in gesso, poi decorati a barbottina.
Belli i vasi a torchon del XVII sec., di forma rastremata e modellata con anse a mascheroni, con bella cromia in porpora, ispirati a Meissen e Capodimonte. Nè mancano le mattonelle da camino, eseguite dal Dallari, decorate a fiori e a motivi stilizzati, in cui si percepisce l’influsso di Lei, Fink. Fa parte del repertorio di "cineserie", il vasetto, decorato del Cacciatore di farfalle, con cappello a larghe falde; gli elementi decorativi di foglie, fiori e insetti accentuano il lirismo di questo "cinese".
Altre cineserie in bianco e blu sigla la Bocelli di Scandiano.
Vari personaggi della "commedia dell’arte", di moda nel XVIII sec., soprattutto le 32 Disgrazie di Arlecchino di matrice Goldoniana, sono del 1830-40.
Molto graziosi, i calamai "ad urna" del XIX sec., bianco-blu, con ghirlande e mascheroni a bassorilievo; un esemplare ha sostegni a zoccolo di capro; l’altro calamaio reca sulla sommità una elegante figuretta bianco-latte, che raffigura il genio della pace che spegne la fiaccola della guerra; entrambi sono della produzione Ferari-Moreni. Neo-classiche, le statuette del Campioli di Correggio, raffiguranti Mercurio, con petaso e borsa di denaro, essendo addetto a traffici non solo metaforici, circondato da 4 figurette, alla base del piedistallo con conchiglie e acquile estensi.
Umoristico, il fermacarte del Rubbiani, raffigurante un uovo, da cui esce una rana (XIX sec.).
Grazioso, il vaso con Fanciulli che scalano un albero, in vivace policromia, del Rubbiani (XIX sec.).
Giuliana Galli

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