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Lo Zio d’America

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Lo Zio d’America

"Sembra mio zio Oscar!" sembra sia stata la frase che ha generato il nomignolo dell’evento cinematografico più conosciuto del mondo. E cosa c’è di più rassicurante di un vecchio zio americano che vedi una volta all’anno e proprio in quell’occasione ti riempie di coccole e soldi?
Niente, naturalmente. Le nostre zie sono anche più giovani di Oscar ma loro ci sbaciucchiano fastidiosamente, ci ingozzano di piatti antichi e strappano le guance per poche lire a Natale mentre lui, anzi LUI, sembra sempre più giovane così come i suoi nipotini hanno sempre la stessa età, a differenza di noi comuni mortali. Lo zio Oscar ha però un difetto: è un maledetto conservatore. Non è ancora successo che dalla notte degli Academy Awards albeggiasse qualche novità, qualche sorpresa, qualche cambiamento. Niente da fare. A Hollywood vince sempre e comunque il film concepito e sviluppato col solo scopo di vincere l’Oscar. Tranne qualche lodevole eccezione si pensi agli ingredienti dei cosiddetti "filmoni": spese folli, grandi paesaggi, moltitudine di comparse vere o virtuali, sceneggiatura poco impegnata anche su temi di una certa profondità. Ci avete riconosciuto "Titanic"? Ci avete riconosciuto "Balla coi lupi?"
Bene, proprio lì volevo arrivare. Nonostante ci siano stati anche premi più che meritevoli come "Schindler’s list", "Gli spietati" o "Il silenzio degli innocenti", è stato proprio con quest’edizione che Hollywood ha voluto ribadire la sua diversità fatta di sfarzo, di gigantismo, di quantità prima che di qualità. Non è stato premiato il film ma l’evento, non è stato premiato Jack Nicholson ma il personaggio col ghigno, non è stata premiata "My heart will go on" (gli appositi sacchetti di carta sono di fronte a voi) ma la sua chirurgica instaurazione nel nostro cervello.

Michele Benatti

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