"Non ti sopporto più!" gridò Lisa, sbattendo violentemente il pugno contro il tavolo.
"Sei un bastardo, irresponsabile. Tonto. Stupido." infierì, scandendo ogni singola parola come fosse una filastrocca per bambini.
Camminò furiosamente davanti a lui con gli occhi spiritati e tenendosi le mani nei capelli.
"Sei…" disse con tutto il fiato che aveva, tirandogli giù il giornale che lui continuava imperterrito a leggere, "…antiquato!"
Lui la guardò calmo, con gli occhiali appoggiati stancamente sul naso, i primi capelli grigi, e lo sguardo di chi non era nuovo a scene del genere.
Prima la moda punk, quando lei aveva deciso di mollare il lavoro da ricercatrice e di seguire un qualche gruppo musicale pieno di tossicodipendenti e di mezzi criminali.
Poi quella setta pseudo religiosa, che chiedeva di rinunciare a tutti i beni terreni in cambio di un fantomatico contatto con la madre di tutte le creature.
E adesso questo.
Lui aveva già rinunciato da tempo a capire sua moglie. Si erano sposati giovani. Si erano piaciuti subito, e subito si erano trovati attratti l’uno dall’altro. Ma poi tutto era precipitato. Senza un motivo. Così come era iniziato. Lei aveva cominciato a trovare stressante quella stessa posatezza che prima l’aveva affascinata. E lui aveva iniziato a capire che il suo ardore, la sua voglia di sperimentare tutto non era poi così piacevole.
Ma questa storia degli UFO, beh…
"Allora?"
Lei lo fissava con lo sguardo delle grandi occasioni. I suoi occhi scuri erano appoggiati su di lui come le zampe di una pantera, e aspettavano solo che lui sbagliasse risposta per farlo a pezzi.
La sua mano copriva i titoli di terza pagina. "Nuovi avvistamenti sulle montagne".
Fanatici, pensava lui. Pazzi.
Pazzi, come sua moglie.
"Te lo chiedo per l’ultima volta: vieni con me o no?"
Dentro di lui una minuscola parte del suo cervello valutò l’ipotesi di abbandonare la sua casa, il suo lavoro, la sua vita, fatta di partite a tennis, lezioni all’università, golf, e conferenze per seguire una banda di svitati che pensava di avere capito il "pattern", la sequenza di apparizioni "extraterrestri", e che voleva a tutti i costi farsi portar via dai marziani, o dai venusiani, o da qualunque forma di vita avesse deciso di infestare i cieli della terra con le proprie sfuggenti navicelle.
Una minuscola parte del suo cervello valutò questa ipotesi per un tempo infinitesimale, e poi scoppiò in una fragorosa risata.
Lui rimase serio, con un viso tranquillo ed impassibile, ma sapeva di quella parte, e sentiva ben chiare le risate.
"Guarda Lisa, è inutile che continui a chiedermelo."
Scostò il giornale e avvicinò il viso al suo.
"Non intendo imbarcarmi in niente di questo tipo. Non intendo seguire nessuno, calcolare niente, e, che tu ci creda o no, neppure farmi "rapire" dai tuoi amici…"
"RAPIRE!" gridò lei. "Sentitelo! Non ne sa niente! Non sa nulla e parla! Oddio, ma sei rimasto all’età della pietra. Ma cosa credi ? La Gente Nuova non è una setta di matti che vuole farsi "rapire"… vogliamo entrare in contatto con loro da pari a pari, e salire sui loro mezzi per esplorare l’universo!"
Lisa si rialzò e si mise ad indicare fuori dalla finestra. "Là c’è il futuro. Cosa mai c’è ancora qua per noi ? Cosa c’è per me su questo lurido pianeta ?"
"I tuoi corsi." rispose lui. "Le tue amiche. La tua macchina nuova, la biblioteca. L’università."
Lei lo guardò come se lui le avesse elencato i sette nani.
"Non capisci nulla." disse sconsolata. "A volte sai, mi chiedo come ho fatto a sposarti."
"A volte", rispose lui, "me lo chiedo anch’io."
In effetti, la casa aveva un altro suono senza Lisa. O meglio, non aveva NESSUN suono.
Assaporò il dolce silenzio di quel posto che ora sembrava vuoto, sorrise stancamente e si sedette sulla sua poltrona, di fianco al camino spento e di fronte alla grande vetrata. Aveva un bicchiere di brandy a metà in mano, il telecomando dello stereo sul tavolino. Un vassoio con delle noccioline. Un libro di poesie.
Non si sentiva particolarmente male.
Lisa se la sarebbe cavata. Come sempre. E lui pure. Per il momento quindi, tanto valeva godersi quel periodo di tranquillità.
Sorseggiò il brandy, lo appoggiò e si immerse in quel romanticismo meditato di Coleridge.
Certo che.
Certo che, pensò, è buffo inseguire gli UFO.
Appoggiò il libro sulle ginocchia e chiuse gli occhi. Cercò di rammentare quello che sapeva di statistica e di calcolo delle probabilità. Sì, si ricordava come il calcolo delle probabilità rendesse molto inverosimile un numero così elevato di avvistamenti; già erano inverosimili quelli capitati negli anni ottanta.
Ma, e qui si grattò la fronte con un dito, gli sembrava che ci fosse qualcosa in più.
Mettiamo che si stia giocando al lotto. Mettiamo che i numeri che devono uscire rappresentino i posti in cui gli UFO si faranno vedere. Mettiamo anche che non sapendo quale schema ci sia dietro si possa valutare come equiprobabile ogni singolo numero.
Ha senso, si chiese, muoversi? Ha senso inseguirli? Ha senso cercare di intuire la loro prossima mossa, sapendo che ci sono pochissime possibilità, diciamo infinitesimali, che con un numero di dati comunque così ridotto, si sia riusciti a capire come si spostano?
Sorrise, e, sempre ad occhi chiusi, allungò la mano per riprendere il bicchiere di brandy.
Che scema, pensò, mentre la sua mano si muoveva stranamente nel vuoto. Sua moglie, si disse, avrebbe fatto meglio a rimanere a casa.
E, forse, lo pensava anche la strana piccola creatura che in quel momento stava annusando il suo liquore.
Probabilità
Marco Giorgini