Ci sono libri che cambiano alla vita, fanno crollare sicurezze, idee preconcette, i sentimenti stessi e le emozioni: perché anche le emozioni possono crescere, cambiare, divenire "adulte". È un brivido improvviso, quasi una scossa elettrica: la mente si spalanca su abissi inaspettati, in cui i principi della morale, il buon senso, il conformismo, le ristrette leggi del "saper vivere" si confondono vorticosamente nel caos dell’originaria creazione, per diventare a pieno titolo le nostre idee. "In principio era il verbo": le parole sono forma, sostanza, fonte unica dei pensieri, che senza espressione non sono nulla, un inutile, fredda materia inorganica vagante nel nostro cervello.
Le parole aprono porte, scavano, illuminano gallerie dimenticate, sono l’unica chiave per capire, e per possedere il mondo. L’aveva capito bene Don Milani, quando affermava che l’ignoranza dei poveri è il miglior sistema di sfruttamento da parte dei ricchi: avere la lingua è avere il potere.
Resta da definire quali opere siano via per la conoscenza (del macrocosmo e di quel microcosmo che è l’uomo) e quali mucchi di carta. Rispondere non è facile. È vero, ci sono capolavori universalmente riconosciuti, e una netta distinzione fra la letteratura "alta" è la letteratura cosiddetta "popolare" o "di genere": gialli, fantascienza, horror, thriller, da Agatha Christie a Christian Jacq, passando per Grisham e Ken Follet. Ma è ancora valida la distinzione delle antologie scolastiche e della critica?
E’ raro che un epoca riconosca i suoi grandi uomini, che "professori" ancorati a regole e schemi possano apprezzare ciò che è nuovo, diverso, rivoluzionario, e quindi infinitamente stonato, disarmonico, ostile: come la musica rock per orecchie avvezze alla melodia, o l’arte astratta, per animi modellati da secoli di classica bellezza e definite forme.
L’impressione (molto da "uomo della strada", intendiamoci) è che la critica ufficiale arrivi sempre ritardo di una decina d’anni almeno. Improvvisamente opere bistrattate, insultate, fraintese, diventano unico modello, legge vincolante, e quasi a far ammenda della passata incomprensione ci si prostra, con lodi tanto sperticate da apparire quasi ridicole. La beatificazione di Totò né è un esempio lampante: aspetto con terrore, nel 2010, analoghe rivalutazioni, con Susanna Tamaro letta in classe al posto di Manzoni e i film di Alvaro Vitali proiettati nelle sale d’essai.
Per fortuna però l’onda lunga della storia si prende gioco delle mode, dei ripensamenti, degli errori, delle bizzarrie umane, e come un turbine spazza via castelli di polistirolo, pompose scenografie di cartapesta, per lasciare in piedi solo pietra e marmo.
Qualcuno ha mai sentito nominare, per esempio, l’inglese Anna Radcliffe? All’epoca di Balzac i suoi racconti storici, zeppi di passione, intrighi, ministeri, colpi di scena, erano divorati, adorati e imitati come i best-seller di oggi: eppure anche il ricordo del suo nome si è perso. La polvere ha ricoperto anche Alfred De Musset, George Sand e una certa "maniera" romantica, la sfilza dei petrarcheschi, tutti gli imitatori, troppo legati a gelide convenzioni: ricoprirà anche che Ken Follet e Jacq, pur simpatici e divertenti, ricoprirà la Tamaro (almeno spero), e quel nutrito gruppo di giovani autori che si sforzano di ricreare in laboratorio il mondo dei giovani, copiando pedissequemente il linguaggio dei giovani, le espressioni dei giovani, i gusti e le abitudini dei giovani… un’effimera superficie insomma. Senza accorgersi che l’unico modo che ha lo scrittore per far rivivere il mondo, è di plasmarne un’altro ancora più vero, e che per farsi amare per sempre non bisogna cercare di piacere subito a tutti.
E noi lettori? Divoriamo pure allegramente best-seller, romanzetti strappalacrime o in gergo giovanilista (dammi un 5, fratello!).
Ricordiamoci però la regola fondamentale:
E i suoi corollari:
Un capolavoro non si riconosce
Buona lettura.
Perché leggere i classici parte II
Lorenza Ceriati