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Puente al punto arte di Modena

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Puente al Punto arte di Modena

Solarità ammaliante e immagini-illustrazioni di fiabe e sole caliente sono alla base della produzione dell’artista spagnolo, che produce anche squillanti sculturine, o megliostrutture plastiche decorate a colori primari.
Belle sorprese con Franco Passoni, presente dopo anni, con una splendida serie di raffinatissime nature morte, di squisita fattura, che hanno una delicata struttura compositiva, impaginata con rara perizia, con un’acribia, che sembra presentare una "ahlverwandtschaft", un’affinità elettiva con la tecnica menticolare dei fiamminghi, pur rivelando la contemporaneità nei soggetti, in un repertorio di oggetti e strumenti di uno studio d’arte o architettura, come rivelano le carte arrotolate dei progetti, le mappe di un geografo o cartografo, sempre secondo rigore e una sapienza pittorica che si effonde, anche nei suggestivi eleganti paesaggi, che serbano l’antica grazia del Manierismo, di Nicolò Dell’abate, dei Primaticcio e del Rosso fiorentinoper il tema quasi arcadico; distese verdeggianti, boschi che sembrano popolati da elfi e fate, in cui si sprigioni un’"arcana melodia", come nel Flauto magicomozartiano o nel Sogno di una notte di mezz’estate di Shakespeare, uno scienario in cui si schiudono sioari e corine verdi, sembra di assistere a una cratofania vegetale e pan stia celato in una nicchia verde, come il Dio nascosto" di Goldmann. Franco Passoni è un minuzioso valente indagatore del datosensibile, sottoposto a un lavorio accurato, traducendospartiti di entità, come Tranches de vie, con la rara finezza delle immagini preziose dei codici miniati della Tres Riches heures del duca di Berry dei De Limbourg.
Passoni potrebbe fecondamente applicarsi anche all’illustrazione di libri per l’analisi dell’immagine, le squisitezze dei dettaglidi sapore fiabesco. Opere sintetiche, ci fa osservare Carlo Barbieri, in una resa sintetica di una naturalità, tradotta in laverti guizzantie usano una gamma affocata per dar vita alle sue immagini stringate.
Maria Zanetti sciorina le sue qualità nelle squisite rarefazionitonali, nei collages, d’estrazione lirica, nelle sculture astratte e nel recente repertorio iconografico concettuale, in un tema dominato da azzurre effusione dell’abstraction lirique, in cui alla struggente levità delle composizioni si accoppiauna micro-struttura in certe opere pagliuzze dorate impreziosiscono l’impianto delle composizioni. L’artista mette in pratica le tecniche di Goetz, inserendo un modulo nel torchio, facendo acquisire un gioco plastico di pieni e vuotialle sue calibratissime strutture.
Edi Brancolini espone una discreta messe di opere alla 3E di suzzara, offrendo in visioni le sue ottime prove di cui cito la singolare Deposizione, ammirata ad Artefiera, di superbo impianto, che nulla ha da invidiare alle grandi tele, di analogo soggetto, dei maestri del passato, tradendo un accurato senso di armonia compositiva, la perizia nel delineare eleganti anatomie dei gruppi, affollati di figure, nell’impaginazione scenografica e nelle terse modulazioni cromatiche di una tavolozza ben calibrata, che non conosce toni squillanti, ne scivola nell’accattivante o lezioso. L’artista è sempre andato per la sua strada, senza farsi ammaliare dal canto delle sirene di tendenz alla moda, ne citazionisti, ne mitologisti, creando un personalissimo repertorio iconografico di un Pantheon elaborato in anni di ricerca infaticabile.
Son simboliste, queste figurazioni di Gino di Sorbara per i paesaggi che rinenano di pastosità, macchie che rendono onirici questi scorci di vegetazione soffuse di un velo di nebbia azzurrina che si insunui discretamente tra i tronchi degli alberi, nell’atmosfera ovattata che fascia i contorni di personaggi e cose, che rende impalpabili le chiome versi-azzurre degli alberi, prima che l’autunno traduca in tappeto di fianna l’erba, chiazzata di foglie rosso-giallastre.
La resa espressionistica di questi paesaggi padani si traduce in una resa sintetica del dato sensibuile, senza indulgere a quel realismo fotografico che ne raggerelerebbe le fattezze.
Stranamente, appare deserta questa ferra ferace. scorcio di Padania, tradotto in toni sommersi e pacati, sfiorato in punta di piedi , con buona pace del bolso bulldog vociferante Bossi.
Anche il ricorso ha un olio molto tirato che sembra in sospetto di pastello o tempera, fa emergere, dalla coltre nebbiosa, appena trafitte di soleri velli di pecore.
La mostra è curata dal maitre a penser Dondi pittore, gallerista e critico e scusate se è poco?.
E’ all’insegna della solarità la produzione di D. Torresan, ospitata da Gualmini. Sono scene ben impaginate, acquerelli, in cui si dispiega una luce abbagliante, che smangia i contorni delle cose e dei personaggi su cui si riverbera, rendendo suffusi i paesaggi in cui avvertiamo un repechage del repertorio iconografico della pittura ottocentesca.
L’eclettica Cristina roncati, ha riscosso un lusinghiero successo, con la recente personale, in cui ha esposto i lavori degli ultimi due anni, alcuni delle quali erano stati il clou dell’ìantologica che le ha tributato il Comune nella sala ex-Sip in piazza Grande. ho seguito le tappe dell’intinerario artistico di Cristina dalla serie delle donne intrise di una Nigredo bituminosa, che coagulava, in raggelata fissità, l’espressione e l’atteggiamento bloccato da un trauma, come i personaggi dei Compianti di Niccolò Dell’Arca, Mazzoni e Begarelli di una concisa plasticità. L’artista guarda ai modelli classici, all’alto magistero del Bernini, nella serie delle Novizie, l’Antenata: figure, i cui volti accorati sono appena dissimulati da viluppi di veli, panneggiamenti che adottino un fittile modellato vibrante. L’Amor di scultura le è sgorgato spontaneo già negli accumuli tridimensionali di Ragazza dell’Emilia, in cui s’intuisce la sagoma morbidamente curvilinea, delle movenze flessuose, nel polimaterico in cui tessuti, frgi, acquisiscono valore plastico. Anche certe nature morte, ispirate alle Stagioni, in un serto floreale per la Primavera, in un viluppo di frutti sapidi, per il rigoglio dell’estate cui cede un’entità fiammeggiante, per l’autunno, riserbando una scabra equazione formale di legni e spine, per la nudità dell’inverno. Il tutto all’insegna della leggerezza, traducendosi in pizzi, veli, su cui si riversi un bagliore dorato, come nel Cavaliere, intento a un’impresa iniziatica, effettuando una Nekja, una discesa agli inferi, munito di fatidico Ramo d’oro, quel vischio, che nell’accezione di James Fraser, è dotata di poteri magici.
La scultrice inserisce alcuni personaggi in vani scenografici, tra cui Maddalena nell’armadio, brutalmente smembrata, per l’ignoranza del personale della Permanente di Milano, per l’incuria colpevole dei funzionari; del resto, nel Bel Paese, non c’è da meravigliarsi: rammentiamo la criminale cancellazione delle scritte e dei disegni della porta di Duchamp alla Biennale di Venezia.

Giuliana Galli

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