KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Stato di diritto e stato di … rovescio

6 min read

Stato di diritto e stato di … rovescio:
storia di chi vuol cambiare la Storia


"L’avenir ne ressemblera en rien au monde d’aujourd’hui;
vous ne pouvez donc pas déterminer notre valeur en regardant le présent.
Il faut que vous fermiez les yeux,
et que vous imaginiez un monde nouveau
"
(M. Lewis)


Non me ne vogliano i lettori, ma in questo numero intendo sospendere la prevista disamina di argomenti riguardanti il diritto internazionale e la globalizzazione quali avevo proposto1 per raccontare una "storia".

Sì, avete capito bene, proprio una "storia"; non una qualche storia del diritto tanto cara ai nostri accademici ciceroni, ma una storia personale, reale, vissuta, una storia apparentemente ordinaria se non fosse ambientata in un Paese (e uso volutamente la maiuscola) come il nostro, culla di civiltà e legalità, ai giorni nostri, a cavallo tra il II ed il III millennio, ed avente per protagonisti dei giovani, non ancora uomini, non più bambini, sogni, progetti, speranze che vogliono diventare Storia.

Ed è proprio quella Storia, la Storia, che i personaggi del mio più modesto racconto, "storia", vogliono cambiare con la loro azione, con il loro esempio, con la loro vita e, così facendo, realizzare se stessi.

Ma andiamo con ordine.

I due giovani personaggi, si incontrano per caso proprio sulla linea dell’Equatore, nel cuore dell’Africa nera, quella linea che demarca convenzionalmente il Nord dal Sud del mondo, quel cuore che pulsa e batte come solo milioni di cuori possono fare e che, nonostante tutto, si finge di non sentire. Si incontrano su una linea che separa e loro si uniscono, e con essi pure gli universi che portano dentro si presentano e scoprono progressivamente e vicendevolmente, fino a svelarsi all’altro, fino a creare una sorta di unione che, in certi momenti, nonostante le differenze tra i due, faceva pensare di trovarsi davanti alla stessa persona, prima e dopo.

I loro nomi non interessano a nessuno, sono i loro significati quelli che importano: ciò che essi rappresentano, ciò di cui sono icona. L’uno, il Grande, dacché l’anagrafe lo rendeva tale e non certo particolari meriti o tanto meno la stirpe, l’altro, il Piccolo, d’età ma non di animo, accomunati da una travagliata biografia alle spalle, da una medesima avventura da vivere, da un futuro da scrivere.

Accomunati pure, e non lo si direbbe, dall’appartenere allo stesso stato di diritto, essendo entrambi cittadini, sudditi, soggetti del medesimo ordinamento giuridico italiano, quel sistema che, volenti o nolenti, ci regge e ci permette di vivere o sopravvivere come societas2.

Il Grande, appassionato della vita e di tutte le sue manifestazioni vitali, fiducioso in sé e negli altri grazie alla sua fede nel Signore, dottore in legge e sostenitore della legalità giusta, dal volto umano, contro gli abusi dei prepotenti e dei legulei; riscattatosi dagli oscuri natali per merito della provvidenza, destinato, chissà, a grandi cose ma non dimentico, né lontano, di ciò che è povertà.

Il Piccolo, più selvatico, più "zingaro", ostile al mondo, dalla mente pronta e la mano scaltra, un cuore grande, ma raffreddato dai grandi. Anche lui conosce la legge, in uniforme e sirene, e non crede più in niente, ed in nessuno. Ma vuole cambiare, e lo sta già facendo!

Le loro esistenze passate a raggiungere qualcosa partendo dalle periferie degradate della grande città in cui vivono, li ha condotti lontani: continuano a muoversi, sono arrivati fin nell’Africa più nera, ma vogliono andare avanti, vogliono "arrivare".

Sanno di essere nati «liberi ed eguali in dignità e diritti3», sanno pure che, almeno teoricamente, non possono essere oggetto di alcuna discriminazione fondata sulla propria origine «sociale, di fortuna, di nascita4», ma troppo spesso qualcuno ha sbattuto loro in faccia l’essere "figli di nessuno", cane bastardo abbandonato sul bordo di una strada destinato a diventar randagio, a frugare nei rifiuti di questa nostra società, a trovar conforto in una pistola o in uno spinello, a perdersi, per sempre, etichettati prima come soggetti a rischio, schedati poi da servizi sociali e polizia.

Ma loro due no, non ci stavano, non potevano permetterlo: perduti nei labirinti del tempo i padri, e ciò che portavano in sé, dovevano fare in modo che i figli, e i figli dei figli, potessero essere uomini, veramente e pienamente degni di tale nome, orgogliosi di esserlo perché capaci di esserlo.

E per diventare uomini, non santi, non eroi, ma uomini, è necessario credere in qualcosa. Un tempo si proponevano quali tre grandi princìpi su cui avrebbe dovuto reggersi il nostro sistema Dio, la Patria e la Famiglia, ma oggi, superando gli schemi ideologici che questo trittico può richiamare alla mente, si deve riconoscere che Dio è morto, e non è solo gravemente ammalato come qualcuno oggi va dicendo5, e non siamo neanche sicuri che dopo tre giorni possa risorgere, che la Patria sta scomparendo, o è già sparita, stiracchiata tra europeizzazione, globalizzazione, balcanizzazione e mercantizzazione del tutto e d’ogni cosa e che la Famiglia, poveretta, rimane forse solo nei presepi e negli album di foto.

Oggi, dunque, credere (e potrei aggiungere, obbedire e combattere) è arduo. I nostri due giovani, in fondo, credevano e credono in loro stessi, obbedivano ed obbediscono a ciò che il loro animo, il loro cuore, la loro testa suggerivano, combattevano e combattono ancora, giorno dopo giorno, per raggiungere i propri obiettivi più veri e più grandi. Ma credere a sé stessi, obbedire ai propri desideri e combattere per realizzarli può forgiare degli esseri freddi, cinici, egoisti, tipici esponenti di questo mondo impersonale ove la forma vale quale e più dei contenuti, ed ecco allora che Grande e Piccolo partono per l’Africa, proprio quella terra ove il sole fa dimenticare i rigori dei freddi europei e gli occhi dei bambini fanno scoprire di poter credere nell’Uomo, ed nel Signore Iddio. E proprio qui, iniziano a vivere, a vivere da Uomini, ed a desiderare ardentemente di tornare nel proprio mondo per vivere come mai prima, per vivere veramente.

La legge più importante, quella dell’Amore6, ha trionfato; il tempo, ora, solo deve fare il suo corso e portare a compimento ciò che è iniziato. Il di poi è dei profeti, a me non resta che augurare di tutto cuore "buona strada!" ai due, ed a tutti quelli che li incontreranno sul loro cammino.

"L’eccessiva libertà mi ha fatto conoscere la vita in strada.
Questo mondo mi affascinava,
vedevo zingari e figli di pregiudicati che ogni giorno cambiavano motorino
mentre io non potevo permettermene neanche uno(…)
l’unico sistema era "arrangiarmi", nel bene o nel male(…)
incominciai a commettere i miei primi errori, (utilizzare la parola rubare mi sembra eccessivo)(…);
mi sentivo importante, ero solo un bambino che pensava di diventare un duro rubando".

(G. Marando)

Davide Caocci

1
Cfr. Temi di varia mondialità, in KultUnderground, n.65, Giugno 2000.

2
Uno dei più famosi brocardi latini recita: Ubi ius ibi societas, ubi societas ibi ius.

3
Vd. Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, art.1, che dispone: «Tous les êtres humains naissent libres et égaux en dignité et en droits. Ils sont doués de raison et de conscience et doivent agir les uns envers les autres dans un esprit de fraternité».

4
Vd. Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, art.2.1, che dispone: «Chacun peut se prévaloir de tous les droits et de toutes les libertés proclamés dans la présente Déclaration, sans distinction aucune, notamment de race, de couleur, de sexe, de langue, de religion, d’opinion politique ou de toute autre opinion, d’origine nationale ou sociale, de fortune, de naissance ou de toute autre situation».

5
Cfr. W. Veltroni, «Forse Dio è malato. Diario di un viaggio africano»,Rizzoli, 2000.

6
Cfr. Mt 22, 34-39: «Quando i farisei vennero a sapere che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei si radunarono attorno a lui. Poi, uno di loro, che era maestro della legge, volle fargli una domanda per metterlo alla prova. Gli domandò: – Maestro, qual è il più grande comandamento della legge? – Gesù gli rispose: – Ama il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il comandamento più grande e più importante. Il secondo è ugualmente importante: Ama il tuo prossimo come te stesso».

Commenta

Nel caso ti siano sfuggiti