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Battaglie

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Battaglie

Per trovare il tuo corpo avrei ceduto volentieri il mio
Per trattenerti nel ventre ti avrei raccontato il silenzio
Quello che mi resta di te è un odore bianco

Pesanti tendaggi neri coprono le pareti. Il corpo di Giorgio è steso lungo il pavimento; respira con affanno. Gli osservo il volto. I bordi del mio campo visivo si scontornano. Tutto intorno degrada; colori che si sovrappongono.

Immagine sovresposta di Giulia su sfondo giallo. Sbavature di colore arancione rendono il volto poco distinguibile. Loro sono dentro una stanza. È buio, non ci sono finestre: impossibile stabilire se fuori sia giorno oppure notte. Non si accorgono della mia presenza. Di lato, accostato alla parete sta un letto metallico arancio in struttura tubolare; poco discosto, quasi al centro, si intravede appena un tavolo col ripiano in legno a forma quadrata.

Giorgio: "Fissi il tavolo?"
Giulia: "Tu riesci a vederlo?"
Giorgio: "Appena. Se vuoi accendo la luce…"

Sopra il tavolo stanno due arance, un candelabro e posate sparse.

Giulia: "Non ha importanza."

Il candelabro ha forma cilindrica, perfettamente levigata; sarebbe privo di rilievi se non fosse per il profondo solco che ha inciso su una porzione della sua superficie. Il solco ha forma di parabola ed è ben percepibile al tatto. Lei poggia la testa sul suo ventre.

Giulia: "Parla ancora."
Giorgio: "Di cosa?"
Giulia: "Qualsiasi cosa."

Per scivolarci di fianco
lambirci il ventre
smetterla coi punti morti
Ci avrei messo poco
Tu avresti attraversato
con me mondi di
cartapesta

Per strada, con la giacca in mano. Il sole si staglia diagonalmente sulle pietre che a centinaia formano il manto stradale, giallo di polvere. Mi soffermo a fissarle; ne conto una decina rotolandoci sopra gli occhi. Studio uno tra i possibili percorsi. Sceltone uno mi avvio ritto sui calcagni un passo per volta contando. Alla ventitreesima pietra mi blocco brusco, col piede destro ancora per aria. Mi palpo il corpo con le mani, mi frugo addosso, nelle tasche. Resto immobile. Mi urtano: perdo l’equilibrio, quasi cado in terra; mi guardo intorno. Mi riempio di aria i polmoni: "Scusami, avresti una sigaretta?"
Un uomo si allontana in fretta con gli occhi altrove; scompare, voltato un angolo a sinistra. Con le unghie mi scrosto di testa la forfora, il piede destro ancora sospeso. Qualche secondo me lo fisso, lo ripongo al suolo. Riprendo a camminare sulle pietre sconnesse. Mi fermerò duecento metri più avanti: entrerò in un bar a sinistra sotto i portici. A un tavolo in fondo starà seduto un vecchio, con una sigaretta appesa alle labbra e, poggiato dinanzi, un pacchetto di MS. Io mi allargherò nella voce: "Avrebbe una sigaretta?"
A quel punto il vecchio si alzerà e uscirà dal bar salutando, il pacchetto di sigarette stretto tra le mani.


Mi sta urtando con il braccio quasi fosse per lei un gesto casuale. Stringe tra le dita una sigaretta in parte compromessa dalla pioggia.
Il tabacco ha ucciso popoli.
Lei non mi crede. Il suo volto è incastrato tra capelli neri di acqua irrancidita. Aspiro dalla sua sigaretta fino a sentire i bronchi aprirsi. Tossisco. Lei si appiattisce, cerca di ripararsi dal cielo inscurito. "Me ne andrò di qui: non ci resto…Oppure una sera mi trovo uno di quelli che stanno sempre al bar sul corso là davanti e mi faccio mettere incinta. E poi vedrai le risa…" Siamo poggiati l’uno di fianco all’altra contro il muro. Mastica veloce un chewing-gum: le cerco i denti con le dita. Le copro con le labbra gli occhi. Mi sfilo di dosso la giacca per coprirle le spalle dall’aroma abboccato di lievi sentori, floreali di arancio e animali di pelliccia.


Odore di grano fermentato.
Ti piace?
Sono seduto a un tavolo in legno di noce disadorno scavato in alcuni punti da profondi solchi. Sul mio palmo destro sta un oggetto metallico. Ha i colori dello smeraldo, del cobalto e dell’oro. "È uno scarabeo, vero?" Giulia mi sorride. Mi fa cenno di sì col capo. "È molto bello." Tenerlo mi affatica il polso: lo poggio sul tavolo. "E ora aspetta" Esce dalla stanza con passo svelto, diretta verso la cucina. Ne seguo il calpestio dei passi soffocato dalla moquette blu stesa nel corridoio. È già di ritorno con in mano una bottiglia di Vodka liscia, bianca e due bicchieri nell’altra. Posa la bottiglia di fianco allo scarabeo. Mi porge un bicchiere. "Non sapevo cosa regalarti…Davvero ti piace?" Giulia si piega sul busto. "Sì…" Apre la bottiglia. "Perché se non ti piace non mi offendo…è uguale…" Si versa nel bicchiere la vodka.
"Mi ami?"
"Ti amo."
Un sorriso breve.


Labbra sottili. Ossa lunghe gonfie di carne biancastra, occhi stretti tra capelli azzurri e zigomi; mani stese a misurare la terra, tracciare cerchi.
Giulia cammina lungo la linea grigia che taglia in diagonale la stanza. Pressione dei piedi nudi contro il pavimento. Giorgio volta il capo, le sorride; la tiene per la testa. Lampi arancione gli attraversano gli occhi. Ora lei è in ginocchio. Gli sta dinanzi, il capo inclinato, le mani congiunte; tra le labbra uova marce.


Polvere rossa di metalli ossidati copre la terra argillosa. La zona industriale si disegna ai lati della strada: ciminiere disuguali, alte, sporche di un bianco sfrangiato di rosso si accampano intorno; ritmano in sequenze costruzioni grigie di cemento, sparse un po’ ovunque.
Sono tutte uguali le zone industriali, a seconda delle tipologie e dei periodi di sviluppo.
L’autobus vibra nella sua struttura A tratti la strada è attraversata da binari ferroviari corrosi dalla ruggine: l’autobus rallenta spesso. Giulia si muove a scatti. "Hai visto che cielo?" Alzo gli occhi. Il cielo è una coperta blu. Scendiamo al capolinea. Prendo a camminare, con Giulia che mi sta di fianco. Avverto fin dentro la gola l’odore del metallo. Entriamo in un vecchio edificio stile 1920. Per terra sono ammatassati cumuli di lana vetro, costellati di polvere di ruggine. Nell’angolo in fondo a sinistra sta un mucchio di stracci. Giulia si avvicina lenta al cumulo di lana vetro più prossimo, vi affonda dentro le mani: ne tira fuori un giornale pornografico. Lo squaderna, lo annusa. "Odora ancora di sperma…Perché resti lì?" Mi avvicino a Giulia. Noto qualcosa muoversi sotto gli stracci. Immagine di Giulia nuda, la schiena tesa contro la lana vetro.

Tengo aperti gli occhi. Pesanti tende di cobalto coprono in parte il corpo di Giorgio, nudo, steso lungo il pavimento. Mi ci stendo di fianco. Le ore ridisegnano i contorni sfocati degli abiti sparsi intorno. Le zone scure si estendono, la luce si è assottigliata in linee che diradano in pulviscoli giallo limone. Entro breve sarà impossibile percepire nulla di ciò che è dentro la stanza.

Christian Del Monte

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