KULT Underground

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Voci che sussurrano

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Voci che sussurrano

E’ bello pensare che alcuni, fra i lettori di Kult, leggeranno queste righe mentre sgranocchiano pop-corn e sorseggiano coca-cola, tra una chiacchiera e l’altra, alla MITICA festa di compleanno della rivista. Il momento è arrivato, sono passati sei anni dal primo numero: vi ricordate? Internet era allora un mondo misterioso, noi dalle nostre piccole città di provincia ne avevamo un’idea confusa e vaga, e un manipolo di giovani eroi informatici ebbe addirittura l’idea di creare un giornale "in rete", una pubblicazione virtuale, la prima nel suo genere in Italia!

Scusate, mi sono lasciata prendere dall’esaltazione del momento, ma torno subito al presente, cioè a SUSSURRI: che come sempre è ricca di temi e di spunti suggestivi, anche se non raggiunge la fastosa abbondanza di articoli a cui eravamo abituati – forse a causa dei tempi di consegna leggermente più ristretti?
Nulla da eccepire, però, sulla qualità delle opere, che sono davvero di altissimo livello: basti pensare all’elaborato del poeta Biagio Salmeri, vincitore di premi prestigiosi come l’Eugenio Montale, che ci ha mandato una sua breve raccolta.

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Tutto cambia: ma si può fare affidamento su una voce amica, sulla calda narrazione di Federico Mori, con il suo romanzo fiume Benaresyama. Rinnovo l’invito già espresso qualche tempo fa da Marco Giorgini: perché non illustrare questa storia con un fumetto, una striscia avventurosa?

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Federico Garcia Lorca, parlando di sé, del suo essere poeta, ebbe una volta a dire, all’incirca: "non so cosa mi accade…ho il fuoco nelle mie mani". Forse lo stesso si potrebbe dire di Myskin, che ci tiene compagnia ormai da qualche mese con i suoi versi rapidi e intensi come un’emozione – come un folgorante e immediato pensiero.
Poche parole, uno squarcio su un mondo: ecco in sintesi la lirica Ricordo, che è difficile dimenticare, come è difficile dimenticare uno sguardo penetrante.

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Violenza, sangue, disperazione, morte, dichiarazioni candide e crudeli di sbandati e assassini. Il mondo dello "splatter" è sempre stato un territorio poco esplorato dagli autori di Sussurri: ci prova adesso Enzo Moschetta, voce nuova e interessante, che già aveva affrontato temi simili nel crudo Il fautore di vittime.
Stazione di polizia, proposto questo mese, richiama il primo racconto per lo stile volutamente sconnesso, immediato, brutale; i fatti – una rapina, uno stupro – vengono narrati nel corso di un interrogatorio, e ciò spiega il linguaggio colorito, che spero non infastidisca nessuno. In alcuni punti si nota, forse, una esagerata ricerca per lo choc, con effetti gratuiti, volgarità quasi ostentate; ma è un bel testo allucinato, avvincente, con punte di sadico umorismo.

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Da un’opposto all’altro: dopo lo scrittore "pulp" Moschetta, il sapore letterario, tradizionale, vagamente retrò di Mariacarla Tarantola, con la sua lirica Luce. Da ammirare la compostezza, la precisione armonica della strutturazione del verso e dello stile; e anche la scelta del tema, una volta tanto, la protagonista è la felicità, e non la sofferenza.

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Il mondo degli amori mercenari, la femminilità vistosa e misteriosa delle donne di strada, sembrano esercitare una grande fascinazione letteraria in Joe Ferrara, che ambienta la sua intrigante "detective’story" in una morbida e lussuriosa Bari notturna.
L’incipit di Un caso scabroso per Jack Monara è ben scritto, appassionante, degno delle migliori storie d’Oltreoceano (la Puglia come l’America?); il finale è forse troppo frettoloso; ma la storia è bella, e l’autore ha già dimostrato di saperci fare con la penna (se controlla la sua inclinazione a dilungarsi in dettagli scabrosi…)

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Certi titoli sono già un’illuminazione, che rischiara la poesia di luce intensissima: è il caso di L’esatta cubatura del vuoto, del catanese Biagio Salmeri, già insignito di vari importanti riconoscimenti nel campo della poesia.
Il titolo comprende varie liriche, splendide nella complessità articolata di forma e contenuto.
La prima, che presentiamo, richiama la struttura intellettuale e raffinatissima, pur nella leggerezza calibrata del verso, di certo ultimo Montale: è quasi un manifesto della poetica dell’autore – alla ricerca del "senso ultimo della misura, dell’esatta cubatura del vuoto".
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Un numero, questo, ricchissimo di voci liriche: con mia grande gioia torna anche Mario Pischedda, autore – ormai è passato più di un anno – dell’indimenticabile Perfugas.
Sarà quel che sarà ha la stessa intensità disperata e struggente, quasi una ballata medievale di morte, ossessiva e angosciosa nel suo ripetersi: una strofa scandisce l’assurdità di ogni speranza, creando quell’effetto di straniamento tanto caro a questo autore. ("
Sarà quel che sarà/ Le parole sono uguali e senza senso/ Senza tempo e senza posa/ Saranno i morti ammazzati o quelli impiccati/ Sarà quel che sarà")

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Ricordate 160, le poesie da affidare ai messaggi SMS? Era un’idea – bellissima, anticipatrice, vista la diffusione della telefonia cellulare – del vulcanico Enrico Miglino. Per la gioia di molti, tornano, rinnovate e rischiarate di nuovo, quelle brevi, folgoranti liriche, che nessuno può presentare meglio dell’autore (anche la breve prefazione è un manifesto di poetica): "Centosessanta. Parole per attimi dimenticati di ieri dimenticati."

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Dopo tante poesie, un racconto: ma è un racconto più lirico e sognante di mille versi. Come l’ultimo dello stesso autore, pubblicato lo scorso giugno, è senza titolo, solo una data, 23-01-97; e come l’ultimo è una fiaba, un mito arcaico e struggente nella sua simbologia, sottile e bellissima. L’amore e l’odio, la generazione del mondo e la sua eterna sofferenza, il giorno e la notte che si fuggono senza sapere di amarsi; e anche la perdita del senso delle parole, la mancaza di senso nella distruzione e nella morte.
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Antonio Corradi, conosciuto (ai vecchi lettori di Kult) per le sue rivisitazioni della saga di Star Trek, si cimenta con una breve poesia, Giorno di pioggia (ho inserito io il titolo).
Interessante l’esperimento di inserire una breve traduzione in inglese: il testo sembra adattissimo a venir musicato, ed esprime tutta la malinconia decadente dell’acqua che cade (mi fa un po’ effetto scrivere queste parole mentre mezza Italia è allagata…), della speranza che svanisce.

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Malinconica, ma alla sua aggraziata malinconia eravamo abituati, è pure Giovanna Cieri. Una parola sola: Fine.
Ancora un domani che è solo una speranza, piena d’angoscia, una speranza che non è più più nulla.
Bellissima la strofa finale, con quel gioco di significati della fine che è senza fine: il senso del dissolvimento non ha neppure il pregio di durare poco, la fine si consuma lenta, interminabile.

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Coraggio, risollevatevi il morale, che cominciano le danze: torna La Sibilla di Deban, di Claudio Caridi, con due nuovi avvincenti capitoli. Riuscirà il capitano Kirk ad aggirare il divieto della Federazione e a raggiungere la bella chiromante prigioniera dei Klingon? Leggete e (forse!) saprete…

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A questo punto, come al solito, vi devo salutare: spero di vedervi numerosi alla festa di Kult, e di potervi salutare di persona.
Vorrei anche mandare un abbraccio, per quel che può contare, a tutti quelli che sono stati colpiti in qualche modo dall’alluvione. Buona fortuna
Arrivederci al prossimo mese

Lorenza Ceriati

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