Mercoledì sera …… scegliere se annoiarmi con la solita opera iraniana vincitrice del festival di Venezia ("Il Cerchio1" di Jafar Panahi), ormai consueta alternanza fra cinema cinese e iraniano, oppure sterzare decisamente verso un film come "Zora la Vampira" dei Manetti Bros, una delle pellicole italiane trombate da Barbera per la selezione a quest’ultima kermesse lagunare, e cercare di capire se è stata giusta e accorta decisione.
Telefono a Michele che ha visto "Il Cerchio": "….. solito film che parla della condizione delle donne in Iran, niente d’eccezionale, migliore "Kadosh", film uscito la stagione scorsa che trattava le medesime tematiche".
Siccome non avevo visto nemmeno il film israeliano, perché non mi ispirava troppo (ma non è detto che lo recuperi in videocassetta), e memore de "Il Palloncino Bianco" primo film pluripremiato Jafar Panahi (evidentemente la cinematografia iraniana non fa per me), decido per i Manetti Bros.
Forse alla base della mia decisione c’è anche un recondito desiderio di ritorno all’adolescenza, quando "Zora la Vampira" era uno dei fumetti erotici che si trovavano nel retro delle botteghe dei barbieri, prima che i Manga giapponesi invadessero e inghiottissero il mercato di questo genere e prima che le botteghe dei barbieri sparissero per far posto ai "Coiffeur" multitendenza. Ma quella era un’altra epoca e un’altra generazione, e nelle sale cinematografiche si assisteva al fenomeno "delle liceali e delle dottoresse", film di serie "B" che vedevano fra i suoi protagonisti attori del calibro di Alvaro Vitali e Lino Banfi e tutta una serie di "bonazze" che hanno fatto epoca, da Edwige Fenech a Gloria Guida passando per il "posteriore" di Nadia Cassini. Ed è proprio a questo cinema che i fratelli di Roma si ispirano, a partire dalla loro precedente collaborazione ne "Il Ritorno del Giaguaro" insieme ad Er Piotta.
In questo loro ultimo film prendono a prestito il mito di Dracula trasportandolo nella Capitale, un po’ come aveva già fatto il gruppo di Andy Warhol all’epoca del loro sbarco in Italia, oppure in epoca ancora antecedente un giovane Renato Rascel (ma qui è già preistoria). Ma il famoso conte sanguinario, deciso a spostarsi dalla patria romena alla capitale italiana, richiamato anch’egli dal mito di benessere che attraverso l’antenna satellitare, posta sul torrione del proprio castello, la televisione italiana gli porge sotto gli occhi, deve fare i conti con la realtà extracomunitaria, in cui gli immigrati dell’est vengono fatti entrare clandestinamente e in cui la ricchezza di un Conte Dracula vale poco o niente con una moneta debole ed un cambio sfavorevole. Si deve quindi adattare ad una sistemazione in un fatiscente buco di periferia, ed in questo modo entra in contatto con la realtà dei centri sociali e con le persone che li frequentano. Qui conosce Zora, una giovane writer che tappezza i muri della città con il suo nome, che gli ricorda nel nome e nell’aspetto la sua antica e defunta compagna, e se ne innamora. Zora ricambia il suo amore, affascinata dai suoi nobili modi che gli scrutano nell’anima, così diverso dalla realtà misera della periferia in cui vive. Il conte giura che il bianco collo della giovane non sarà mai sfiorato dai suoi denti. Ma Dracula deve pur nutrirsi, e la lunga scia di morti che si trascina, mettono in allarme la polizia che con una squadra speciale antimostro capitanata da un duro ed improbabile Carlo Verdone, gli da la caccia. Ma non solo lui lo bracca: anche i giovani dei centri sociali, fra i quali si contano diverse vittime, lo cercano per combatterlo e strappare dalla sua influenza Zora, capitanati da un prete studioso di esoterismo e vampiri. Proprio attraverso di lei lo riescono a scovare nella sua nuova villa napoletana (ora il conte ha veramente il denaro grazie al suo servo che si è trovato un lavoro nella malavita), alla celebrazione delle loro nozze. L’alleanza fra il pittoresco gruppo dei centri sociali con il loro vessillo del "Che" e la chiesa rappresentata dal prete, riesce a sconfiggere a colpi di croci ed Acqua Santa le schiere dei servi vampirizzati di Dracula. Al conte, messo alle corde, viene permesso di giustificare le proprie azioni. In un "toccante" discorso, Dracula afferma di essersi sentito braccato, in Italia, non solo come mostro, ma anche come uomo, data la sua condizione di extracomunitario, e di aver trovato solo in Zora la sua ragione di vivere. E poi …… c’è il finale che non racconto.
La pellicola dei Manetti Bros, interpretata e prodotta da Carlo Verdone, diventa uno spaccato di una certa periferia romana, che gira intorno ai centri sociali ed alla propria musica (e di musica del genere rap/hip-hop italiano ce n’è veramente tanta, colonna sonora ininterrotta di gruppi più o meno underground che vanno dai "Sottotono" ad "Er Piotta"), e che analizza in maniera ironica la condizione dei nuovi giovani "borgatari" alle prese con la droga e con i propri miti musicali, politici e calcistici (la maglia della Roma n° 10 di Totti è quasi una divisa). Il film dovrebbe essere divertente, e non lo è, a parte qualche battuta qua e là (se tali si possono definire ormai le stanche gag di Verdone, ormai da troppi anni chiuso nei suoi personaggi), vorrebbe essere superficiale e spensierato, ed in qualche maniera non ci riesce. Alla fine è solo noioso.
Andrea Leonardi
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Zora La Vampira
In effetti una delusione, non tanto il film quanto che abbia vinto un premio.