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La Pergamena

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La Pergamena

Circondato tutt’intorno d’alti e lignei scaffali
Sedevo, curvo sul piccolo scrittoio antico
Con le mie mani tremanti la pergamena stringendo
Solo, silenzioso, di prodi condottieri leggendo

Alla flebile e tremolante luce di candela
Sforzavo i miei occhi sull’arcana grafia perduta
Che al paziente lettore narrava d’epoche passate
Di re, regine, di Dei, di riti, di druidi e fate.

Ad un tratto qualcosa io percepii, di insolito
Com’un impalpabile eppur netto agitarsi d’aere
Il quale punto mi spinse il capo a sollevare
E dopo, incredulo, gli occhi stanchi a sgranare.

Dissolti eran gli scaffali, scomparsi i volumi
Che fino a poco prima coprivano le pareti
Adesso nude e fredde, di grigie umide pietre,
Non dissimili da quelle di luride celle tetre.

Una stretta feritoia si apriva in fronte a me
Allora d’istinto mi alzai, e colà mi diressi
Affacciandomi lentamente per poter contemplare
Qual paesaggio si fosse offerto al mio osservare

Tremai, stordito dallo spettacolo che si parava,
Travalicando ogni più fervida immaginazione
Perché in armi vidi dei cavalieri medievali
Sul castello ov’ero gettarsi qual fieri animali!

Al galoppo la schiera tutta avanzava possente
E seguendo stolida il proprio distinto signore
Fremer pareva in vista dell’imminente battaglia
Un’orgia di spade, di elmi e di cotte di maglia.

Più oltre non seppi guardare, ed ammetter lo devo
Perché non cuore ne’ mente ancora regger riuscirono
Meno mi vennero i sensi, ed altro non ricordo
Che me cadere a terra, e di ciò il tonfo sordo.

Dire non so quanto tempo aspettai il mio risveglio
Ma quando avvenne nulla intorno era rimasto,
Ché rassicurante la stanza d’archivio mi accolse
E dall’arcaica visione misteriosa mi sciolse.

Lesto fui ad attribuire il tutto a un sogno
E questo avrei anche potuto tenere per vero
Ma per quanto tutto intorno, da lì a sera, cercai
La vecchia pergamena ingiallita mai più ritrovai.

Fabrizio Claudio Marcon

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