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Breve saggio di Meccanica Quantistica

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Breve saggio di Meccanica Quantistica
Seconda Parte
Campo di applicazione della teoria


Scopo ultimo della ricerca fisica è indiscutibilmente quello di trovare un’unica teoria definitiva che possa essere applicata a tutti i fenomeni dei quali abbiamo esperienza, senza limitazioni di sorta. L’idea che una simile teoria esista, per quanto non sia fondata su alcun presupposto pratico, esercita un’influenza molto forte su qualunque ricercatore: l’esigenza di ordine è strettamente connessa all’analisi dei fenomeni naturali, così come è profondamente radicata la nostra esigenza fondamentale di ricondurli a leggi di validità più generale. Risalendo sempre più la scala che va dal particolare al generale, si immagina perciò un giorno di salire l’ultimo gradino che porti ad una teoria completa, alla luce della quale tutte le precedenti appaiano come singoli casi particolari. In fisica tale teoria è identificata talvolta come TOE (dall’inglese Theory Of Everything, ovvero "Teoria Del Tutto") oppure GUT (Great Unified Theory, cioè "Grande Teoria Unificata"), anche se ovviamente ancora non è stata proposta in alcuna forma.
Grande ovviamente fu lo stupore quando in pochi anni si presentarono sulla scena ben due possibili candidate a questo ruolo (la meccanica quantistica e la relatività), le quali sembravano quantomeno poter rappresentare un sensibile avvicinamento all’obiettivo. Paradossalmente però proprio il confronto tra le due fa emergere insanabili differenze, tali da farci concludere che ne’ l’una ne’ l’altra può essere la teoria definitiva ed omnicomprensiva che andiamo cercando. Come mai?
La meccanica quantistica ha per suo campo specifico di competenza il mondo microscopico delle particelle elementari, dei costituenti ultimi della materia. E’ in quest’ambito che le sue previsioni si rivelano efficaci; è ancora in quest’ambito che gli effetti da essa predetti, nonché le sue caratteristiche più bizzarre (come il dualismo onda-particella) si evidenziano con forza. A scale più grandi, come quella umana, gli effetti quantistici sono del tutto irrilevanti, ed entra invece in gioco la vecchia meccanica newtoniana. Questa, pur essendo stata resa obsoleta e sconfessata dalla relatività, non ha infatti perso tutte le frecce al proprio arco: nelle situazioni quotidiane rimane infatti un’approssimazione più che soddisfacente della stessa relatività, della quale costituisce un caso particolare e dalla quale si differenzia notevolmente solo in presenza di campi gravitazionali intensi o velocità prossime a quella della luce. Ciò significa che utilizzando le formule di Newton per calcolare il moto di una palla da biliardo non commettiamo alcun ‘sacrilegio’ fisico: quando però analizziamo fenomeni su scala cosmica, in cui entrino in gioco come detto intense attrazioni gravitazionali oppure oggetti dotati di velocità prossima a 300.000 km/s, la meccanica newtoniana perde la propria attendibilità e deve essere sostituita dalla relatività.
Il quadro completo vede pertanto tre teorie (o più correttamente due, se volessimo considerare quella newtoniana solo un’approssimazione di quella einsteniana): la meccanica quantistica per il mondo microscopico, la meccanica newtoniana per il nostro mondo di tutti i giorni, la relatività generale per i fenomeni su scala cosmica.
Tutti i tentativi di unire la meccanica quantistica e la relatività generale sono falliti di fronte al problema di incorporare nella prima la forza di gravità: la cosiddetta gravità quantistica è risultata una sfida troppo difficile per i fisici, o piuttosto per le teorie e la speranza riposta nella loro possibile universalità. La relatività non può dirsi completa senza la meccanica quantistica, nella quale però non riesce ad essere incorporata.
Esistono situazioni in cui i campi d’applicazione di entrambe, per quanto sembrino lontani, vengono infatti a coincidere: ciò avviene quando prendiamo in considerazione ad esempio corpi massivi drasticamente collassati fino a dimensioni pari a quelle di una particella elementare. In questo caso la presenza di fortissimi campi gravitazionali ci porterebbe ad individuare nella relatività la teoria più adatta per trattare la questione, ma le dimensioni del sistema analizzato ci impongono di tenere in debito conto anche la meccanica quantistica.
Un’altra situazione del genere è quella dei primissimi istanti di vita dell’universo, quando tutto ciò che ora possiamo vedere attraverso i telescopi era concentrato in una minuscola ‘pallina’ delle dimensioni di un atomo: di nuovo, dunque, una sola teoria non riesce a fornirci il quadro completo degli avvenimenti. Se seguiamo a ritroso la storia del nostro universo, notiamo che la teoria della relatività può essere sufficiente a descriverne l’evoluzione solo fino ad un certo punto. Risalendo ancora più indietro, gli effetti quantistici (solitamente trascurabili) diventano via via più evidenti al diminuire delle dimensioni dell’universo stesso, al punto che non possiamo più permetterci di ignorarli.
Una fusione tra le teorie però non è possibile. La relatività si fonda infatti sull’assunto che il tessuto spazio-temporale del nostro universo sia regolare a tutte le scale, mentre la meccanica dei quanti ci insegna invece (sarà più evidente nel capitolo dedicato alle fluttuazioni quantistiche nel vuoto) che a quelle più piccole tale regolarità non è mantenuta e vige invece una sostanziale instabilità caratterizzata da un turbinio di fenomeni fisici vorticosi ed infinitesimali, che nondimeno turbano l’equilibrio geometrico e sconvolgono i piani di Einstein.
In definitiva la meccanica quantistica è la teoria più efficace per descrivere ciò che accade su scala microscopica, mentre la sua efficacia sfuma mano a mano che prendiamo in considerazioni oggetti più massivi. E’ bene chiarire però che in questi casi essa non perde in se’ di validità: semplicemente, gli effetti che essa contempla diventano trascurabili ed essa non è più il sistema maggiormente efficace per descrivere la realtà che osserviamo.

Continua…

Fabrizio Claudio Marcon

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