La Mostra di Pesaro è nata come vetrina del nuovo cinema. Dai primi anni 60 ha presentato e fatto conoscere tutte le principali esperienze legate alle Nouvelles Vagues degli anni Sessanta e Settanta: il nuovo cinema esploso in Europa occidentale e orientale, ma anche in America latina e in Oriente. Più recentemente, la Mostra si è dedicata alla scoperta di cinematografie emergenti: ha portato alla ribalta paesi come Cina, Taiwan, Hong Kong, Iran e ha indagato il cinema europeo del métissage, sempre con un’attenzione centrale per gli autori che sperimentano nuovi linguaggi e forme espressive personali.
Quest’anno è arrivato sulle sponde dell’Adriatico il nuovo cinema giapponese, con 20 opere in pellicola e 15 in video di nuovi filmaker, per offrire una vasta e approfondita indagine della produzione nipponica degli anni Novanta. Un viaggio che si è soffermato, in particolare, sull’ultimo biennio dei film made in Japan, dalla produzione più spettacolare e commerciale, a quella, invece, "indipendente" e sperimentale, senza dimenticare il cinema-manga e lo yazuka film. Tra le opere, tutte inedite in Italia, sono state proiettate sia quelle dei più significativi esponenti della nuova leva (AOYAMA Shinji, KAWASE Naomi, KUROSAWA Kiyoshi, MOCHIZUKI Rokuro, SABU, SAKAMOTO Junij), sia quelle selezionate tra i nuovi cineasti emergenti e sperimentali.
Questo cinema giapponese che abbiamo potuto vedere ci rimanda alcuni temi ed ossessioni ricorrenti – il terzo occhio elettronico, che sembra essere oggi l’unico che ci può permettere di vedere davvero; il ricordo del passato, da recuperare alla luce di una sensibilità contemporanea (ad esempio in H-Story, di SUWA Nobuhiro, che parte da Hiroshima Mon Amour di Alain Resnais per parlarci di un uomo e una donna che si incontrano a Hiroshima, oggi) – e rispecchia una radicalità di stili e contenuti, che probabilmente appartiene alla società giapponese tutta: contrasti tra generazioni, tra ceti, ecc..
Questo cinema richiede un certo livello di concentrazione, per penetrarne la densità. Per cui, dopo aver raggiunto un discreto stadio di saturazione, ho sentito spesso la necessità di immergermi in un altro immaginario, andando a recuperare qualche classico della commedia italiana, nella bella retrospettiva integrale di Mario Monicelli1 che accompagnava tutto il festival.
In occasione del cinquantenario della rivista francese Cahiers du Cinéma, vera ed unica bibbia dei cinefili di tutto il mondo, il festival ha organizzato anche una retrospettiva di film rari che hanno fatto la storia del nuovo cinema degli anni ’60. E non poteva mancare, parlando di nuovo cinema, quasi in un ritorno al futuro, o corto circuito tra passato, presente e futuro del cinema, l’ultimo lavoro di Jean Luc Godard, Eloge de l’amour.
Chissà qual’è oggi il nuovo cinema italiano, veniva da chiedersi a Pesaro: Corsicato? Winspeare di Sangue vivo? Alessandro Piva di Lacapagira? E l’erede di Monicelli è Muccino? Nell’incontro dedicato proprio al tema del nuovo cinema, ieri e oggi, spiccava l’assenza di qualsiasi autore italiano: Bellocchio, invitato, non è intervenuto; Bertolucci era presente solo nel film collettivo Paris vu par…, manifesto programmatico della Nuovelle Vague. Forse il nuovo cinema può nascere solo là dove esiste un contesto sociale ed economico in profonda trasformazione, anche tra contrasti e mutazioni, mentre nel nostro paese il cinema cosa può rappresentare di diverso da una società che si vuole pacificata e placidamente ripiegata su sé stessa?
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Pesaro 2001: ritorno al passato/futuro
Paolo Baldi
Sullo sfondo la locandina dedicata alla rassegna sul regista.