Sì, è un bel po’ di tempo che non ci vediamo, a quel tempo ero ancora un impiegato. Ti ricordi? Eravamo in questo bar, tu lavori nel settore zootecnico e mi parlasti di alcuni aspetti dell’allevamento del pollame. Mi raccontasti che un tempo i pulcini fin da giovanissimi dovevano essere divisi a mano tra maschi e femmine, e c’erano persone in grado di farlo in maniera molto veloce e con alta affidabilità. Queste persone tenevano vari pulcini alla volta tra le dita delle mani, e decidevano osservando la loro cloaca, dopo averne spremuto leggermente l’addome in una maniera particolare. Adesso invece molti allevamenti usano pulcini modificati geneticamente, affinché nascano con un marker fosforescente, che ne indica il sesso. Comunque ancora adesso i pulcini malati o malformati vengono scartati a mano, gettandoli semplicemente in un contenitore per poi essere uccisi.
Da giovane vidi molto bene com’è la cosiddetta bella vita da fattoria classica, di quelle che si vedono ormai quasi solo nelle pubblicità. In tali fattorie le cose vanno in maniera identica: era tutto un nascere e morire, o meglio uccidere. Anche lì i pulcini malati, se non muoiono subito, vengono uccisi e poi dati da mangiare ai fratelli.
I tuoi discorsi in qualche modo mi hanno un po’ galvanizzato. Dopo quella sera decisi di usare seriamente per la prima volta il mio diploma universitario in Ingegneria Meccanica. Inventai e costruii una macchina per sopprimere i pulcini, una ammazza-pulcini. Non è una macchina molto complessa, e sopra ha un imbuto che gli permette di raccogliere i pulcini anche se ce li getti dentro con un lancio molto inclinato. L’ammazza pulcini li uccide in un attimo decapitandoli con due ganasce che si mantengono sempre affilate, e poi li trita. Non è un bello spettacolo aprire la macchina e vedere un batuffolino di piume caldo diventare una testa e un corpo, e subito dopo diventare del macinato. Ma che posso farci…
Ne sviluppai due modelli, uno più grande, capace di uccidere fino a 10.000 pulcini all’ora. Dopo mesi passati a cercare di piazzare la macchina e a raffinarla, si vide che era utile e cominciai a venderla, soprattutto agli allevamenti di pollame veramente enormi, del tipo di quelli che sono nati dopo i problemi con la BSE. Iniziai a venderle bene e a fare un po’ di soldi, anche se di certo non diventai ricco. Ad un certo punto assunsi anche due aiutanti, ma i problemi tecnici più spinosi li risolvevo ancora tutti da solo. E dopo poco ne vennero, come è normale che sia con una macchina ancora relativamente nuova, e come mi aspettavo. Alle macchine che tenevo in prova avevo eliminato molti difetti, ma in quelle che funzionavano a pieno regime negli allevamenti c’erano sempre dei problemi, in particolar modo si verificano dei cortocircuiti strani. Eppure erano macchine molto semplici, erano elettriche, ma non avevano alcun microprocessore né microcontrollore.
I cortocircuiti erano sempre negli stessi punti. Provai a isolarli con delle barriere e coperture di varie plastiche, e poi anche di ferro, rame, piombo. In preda quasi a disperazione arrivai ad usare i materiali più sofisticati che riuscii a trovare. Per quanto assurdo i cortocircuiti continuano a verificarsi, anche se in certi casi con frequenza minore, a secondo dei materiali che avevo usato. Non era una bella situazione, rischiavo il fallimento, e mi ero licenziato dal mio vecchio lavoro. Era chiaro che il problema andava affrontato in un altro modo, ma non sapevo come.
Una volta mentre facevo una di queste riparazioni un interruttore salvavita scattò, comunque non a causa mia perché avevo scollegato l’alimentazione. Prima di accendere una luce portatile mi accorsi di una strana fluorescenza vicina a dove era avvenuto il cortocircuito. Appena aperta la complessa barriera multistratificata che avevo messo per tentare inutilmente di isolare il circuito, tale luminescenza si dissipò come fosse stata fumo. Non capivo. Allora provai di tutto, per giorni, e alla fine riuscii a capire che era tale luminescenza che si accumulava in certe parti dell’apparecchio a causare i cortocircuiti, e pareva che fosse l’apparecchio stesso a produrre tale fumo luminoso.
Continuavo a non capire, ma per risolvere un problema ingegneristico o medico non è sempre necessario capire tutto. La soluzione mi era ovvia, provai a mettere un collettore con delle palette per raccogliere tale fluorescenza fumosa. Feci in modo da farla finire in piccole bottiglie di vetro che mi ero fatto fare, rivestite internamente di alcuni strati speciali, che erano in grado di contenerla. Sembrava fin troppo facile fare in modo che le bottigliette non facessero fuoriuscire il contenuto fino a che non erano quasi piene, a quel punto bastava toglierle a mano e sostituirle con una bottiglietta vuota. Le bottiglie erano piccole ma si riempivano lentamente e andavano cambiate poco frequentemente. Il problema era risolto con poca spesa e poche modifiche alle macchine, gli allevatori erano felici!
Non svuotavo mai le bottigliette piene, le conservavo tutte, parevano mantenere indefinitivamente la loro luminosità, anche se tenute al buio per settimane. Non erano radioattive e dei topi e ratti a cui avevo fatto annusare varie bottigliette erano rimasti sempre in salute. Erano carine, così mi misi a venderle nelle cartolerie della città. A quanto pare andavano a ruba, e non bastavano mai. Per fortuna gli allevatori non facevano storie nel darmele, anzi. E comunque avevo modificato i contratti di vendita delle mie macchine, in modo che le bottigliette piene rimanessero di mia proprietà.
Quando stavo iniziando a pensare che le cose sarebbero andate bene, scoppiò un piccolo scandalo, su un giornale locale uscì un articolo che mi denunciava, e ovviamente avevano ragione loro, dato che il contenuto delle bottigliette che vendevo in realtà mi era ancora ignoto. Per cui fui costretto a smetterle di venderle, e anche a ritirarne alcune ancora in circolazione. Prove nel gabinetto d’analisi legale risultarono inconclusive. Furono controllati meglio anche i progetti delle mie macchine, ma sono sempre risultate perfettamente conformi a tutte le leggi. Alla fine non subii processi.
Ma sono una persona curiosa, così spedii delle bottigliette ad un centro di ricerca negli Stati Uniti, che me ne aveva richieste alcune. Mi dimenticai quasi di tale spedizione, quando alcuni mesi dopo un fisico italiano emigrato negli Stati Uniti annunciò che tale gas in realtà non è gas, ed è composto di solitoni che non si dissipano mai, fatti di non capii cosa, ma non era assolutamente in grado di spiegare come potessero continuare ad emettere fotoni apparentemente senza assorbire energia dall’esterno o perdere massa. Probabilmente in questo momento li sta ancora studiando, ogni tanto mi scrive qualcosa.
Tali solitoni a quanto pare sono localizzati nello spazio, ed emettono qualche fotone solo quando si toccano tra loro, e nelle bottigliette sono visibili solo perché sono tantissimi molto ravvicinati in poco spazio; anche milioni.
Meno di due ore fa sono andato da solo in aperta campagna, sembrava che lì le bottigliette emettessero anche più luce del normale, e ne ho aperte moltissime contemporaneamente. È stato bellissimo, ed anche se non c’era vento, prima di dissiparsi le volute di fumo fluorescente azzurrino mi si avvolgevano attorno in spirali. Era talmente bello che ho pensato che in spettacoli del genere forse avrei potuto vendere dei biglietti. Ma quelle spirali e volute di fumo erano strane, e così alla fine ho messo insieme i pezzi e ho capito cos’è quel fumo. Ovviamente non posso esserne certo, e non pretendo che tu ci creda, ma mi è sembrata la spiegazione più semplice.
Così sono tornato in questo bar, a bere. Penso di ritirarmi dal mercato, ma devo mantenermi, e poi se smettessi di produrre quelle macchine altri inizierebbero a produrne di simili. Quello che mi sorregge adesso è soprattutto il sapere che la mia macchina è molto veloce, e non provoca troppo dolore. È un modo di morire meno peggiore di altri. Gli allevamenti di pollame hanno comunque necessità di uccidere i piccoli malati, e lo farebbero comunque, in un modo o nell’altro, probabilmente in modi peggiori del mio. Alcuni di quei piccoli sarebbero comunque destinati a morire presto.
Prima o poi anche altre persone arriveranno alla mia conclusione, e allora si vedranno gli effetti, che prevedo saranno spettacolari.
Mi auguro solo che la mia anima sia bella almeno la metà di quella dei pulcini.
Il difetto
Leonardo Maffi
Fonti: l’idea delle anime come solitoni è copiata da un noto romanzo di SF di Van Vogt "Crociera all’infinito".