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Memorie

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Memorie

Ricordo…
O forse no; forse sogno semplicemente.
Rivivo però immagini, sensazioni…, lacrime.
Il mio io di circa quattro anni fa:
fragile; così piccolo, indifeso.
Pronto a piegarsi…, a spezzarsi.
Me ne vergogno, ma… ma sono pur sempre io; e devo difendermi.
Rivedo il cielo diurno; lo scorcio di mare (quei pochi centimetri d’azzurro che riuscivo appena a scorgere); quel palazzo rossastro, irto davanti a me; le mille, impassibili antenne… e io mi piego su me stessa, sul mio corpo: non oso guardare oltre; temo di rimanere assorbita da questi ossessivi ricordi.
– – –
Tutto è cambiato, in un solo attimo.
Rivivo quel giorno… stavolta non è un sogno.
Rivedo le persiane aperte; le tende, in un leggero svolazzare, si prostrano verso di me… o forse cercano di raggiungermi, di toccarmi ancora un’ultima volta, come tanti anni fa.
Ma io sono qui, troppo lontana.
… un altro ricordo in questo ricordare così assurdo: sono sdraiata a terra, tra il muto pavimento e le tende.
Piccola, con le bambole (ormai senza volto…) intorno a me.
Ridevo… com’ero vuota , allora! Vorrei poterlo essere ancora.
Quell’impercettibile stoffa mi sfiorava continuamente il volto, in un gioco di andare e tornare; andare e tornare…
Tornare.
… ed ecco il tavolo; proprio lì, dove ricordavo: regge tanti, troppi bicchieri; si stringono in un eccessivo involucro di carta… temevamo potessero rompersi; facile durante un viaggio (… un momento, come faccio io ad essere sicura che quelli siano bicchieri?; possono essere solo mucchi insignificanti di carta, o qualcos’altro…)
Pensavo di aver dimenticato; ma mi accorgo di ricordare e basta.
Nonostante tutto.
Io sola…
I mobili sono scostati da muro… riesco a malapena a passarci in mezzo, ma non vedo niente: è così buio!
L’unica luce è quella tenue della candela.
… una candela!?! No… due, tre… miriadi candele!!!
Ma… ?!?… ah, già.
Questo l’avevo dimenticato: il giorno dopo sarei partita; per l’ennesima volta, instancabilmente.
Avevamo staccato la corrente.

Sono fuori… no; mi sporgo dalla finestra della mia vecchia camera.
Ricordo bene il blu opprimente di quella notte.
Ricordo bene quei piccoli puntini luminosi che tutti chiamano stelle.
Ricordo bene la luna che, così vanitosa, si specchiava ripetutamente sul mare; sul mio mare…
E ricordo il buio.
Il mio buio,
il buio della mia casa.
Il gelo.
La paura, forse… come ogni volta.
Mi volto e non posso impedirmi di guardare la mia stanza: anche qui è già tutto pronto.
Ora, senza tutti quegli inutili mobili, sembra tutto così dolorosamente grande! Dove prima c’era il mio letto, ora c’è solo un mucchio di cartoni e… no; non mi sembra quasi possibile: … è ancora lì, proprio come quella volta!
Allora non ho davvero dimenticato…
Mi chino sulle mie ginocchia, vicino a quella insulsa massa di cartoni… ma solo uno mi attrae: è piccolo, forse il più piccolo di tutti… ci sono delle lettere su uno dei lati; lettere scritte a mano; lettere scritte così male, da farmi pensare che fu proprio una "bambina" a farle…
Provo a leggerle; ma ad ogni simbolo che riesco a decifrare, sento un dolore profondo; sempre più netto… devo fermarmi.
Vedo tutto come oltre una fitta nebbia di lacrime… ma forse, sto davvero piangendo?
E poi, questa fastidiosa luce di candela avvolge così fittamente la stanza, da farmi star male.
– – –
Non oso dimenticare.
Sarebbe giusto farlo… o forse, sarebbe semplicemente più facile.
Credimi, io ci provo; ci metto tutta me stessa e, qualche volta, perfino ci riesco!… ma poi, è come se qualcuno mi chiamasse; gridasse il mio nome… e mi accorgo che quel qualcuno è proprio il mio passato…
Non può sopravvivere senza di me come io non posso (o forse non voglio?) vivere senza di lui.
Fa male.
Ma dimenticare, significherebbe non sentire più…
– – –
La strada si consumava…
La vedevo allontanarsi da me sempre più in fretta, inesorabilmente…
Le gridavo in silenzio di non lasciarmi andare; mi prostravo verso di lei immobile… ma non ero infelice.
Perché avrei dovuto esserlo? Cosa lasciavo?
Amici, affetti?…
Vedevo tutto come da un’ottica diversa; come se tutto ciò che accadeva non mi riguardava, come se per me ci fosse qualcos’altro…
Stavo cominciando ad essere solo una macchina.
Una vuota macchina viva.
… e quando ti vidi, mio nuovo intreccio di strade, di case ammucchiate ad altre, di persone…, ebbi solo un attimo di paura.
Poi, verso di te non provai più nulla (mi ci vollero degli anni per provare affetto per te); ti vedevo solo nel tuo grigiore, nel tuo squallore.
Eri solo una montagna di asfalto, dove la gente passava solo per quel poco di tempo che è la vita. Niente di più.

Damiana Guerra

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